Vivere a impatto zero

Mi ha colpito l’esperimento di Colin Beavan, giornalista che scrive di temi legati all’ambiente per giornali come l’Esquire e il New York Times.
Un giorno di gennaio in una New York con un’ improbabile temperatura di 22 gradi, il signor Colin decise di darsi da fare in prima persona per vivere in maniera eco-sostenibile. Nel cuore della Grande Mela, Colin e la sua famiglia (moglie e figlia) hanno incominciato a vivere a “impatto zero”, cioè hanno gradualmente eliminato detersivi, ascensori, mezzi pubblici, cibo confezionato, aria condizionata, televisione, carta igienica. Questo esperimento è diventato un libro e poi un documentario, ma ciò che mi sorprende è che vivendo come se la rivoluzione industriale non ci fosse mai stata, si risparmiano soldi (e su questo non c’erano dubbi), ma soprattutto si guadagna in felicità.
Se ci pensiamo bene la nostra è una società drogata (in senso ampio, intendo), perchè non riesce più a fare a meno di cose che sono del tutto inutili o non necessarie per la nostra felicità. C’è sicuramente un limite al di sotto del quale la vita si fa miserabile, ma il possedere tante cose, o il desiderare di averle non fa di noi delle persone felici. Sentite cosa dice il signor Colin: “La mia è la storia di uno stupido che si è stufato di sentirsi dire “fai schifo” dalla pubblicità e di passare da un giocattolo all’altro per stare un po’ meglio. Siamo noi a decidere cosa rende migliore la vita. Che differenza può fare una persona sola? Assolutamente nessuna, se non ci si prova”(Dal Resto del Carlino di domenica 16 maggio 2010).

una questione di scatole

Dove trovare Dio

Dio è più addentro del tuo stesso cuore.
Dovunque fuggirai è là.
Dove andresti se volessi fuggire da te stesso?
…Rifugiati presso di lui
                                                                                                   (Sant’Agostino)

Il Decalogo della Tata

Mi capita a volte di vedere SOS Tata: bambini pestiferi, genitori disorientati…chi più ne ha, più ne metta.
Le Tate, dopo un po’ di osservazione, propongono alla famiglia le regole, poche, presentate in modo coinvolgente, molto semplici, e ci si chiede come mai non ci si era pensato prima.
Credo che nell’educazione sia importante ritornare alla semplicità e al buon senso (e le Tate del programma questo lo fanno), perchè educare non è complicato, ma richiede responsabilità, chiarezza dei valori che si vogliono insegnare, buon esempio, pazienza. Come dice Tata Lucia, il più delle volte non sono i bambini a dover essere educati, ma i genitori.
Da Avvenire, che proprio ieri ha pubblicato un servizio sul fiorire di libri di “bon ton” per i bambini, vi propongo il Decalogo della Tata (e di ogni buon genitore ed educatore)

1)Stabilire le regole e farle rispettare (troppa libertà non sempre è felicità)

2) Rispettarsi reciprocamente (senza rispetto è tutto un dispetto)

3)Programmare i tempi della giornata (essere in orario è straordinario)

4) Rispettare i propri spazi e quelli di casa  (A ciascuno il suo e un po’ per tutti)

5) Urlare non serve mai (Anche l’orecchio vuole la sua parte)

6) Comunicare con sincerità (Le bugie hanno le gambe corte e i musi lunghi)

7) Essere complici nell’educare i figli (È il vostro bellissimo progetto di vita)

8) Non alzare le mani: servono per milioni di altre magnifiche cose (Gioco di mani, gioco da villani)

9) Mangiare è sempre un rito importante (Intorno al tavolo in compagnia, è il segreto dell’allegria)

10) Trovare ogni giorno almeno dieci minuti di tempo di qualità per stare con ogni
bambino (Fai venir fuori il bambino che c’è in te… E il gioco è fatto!)

Un anno alla casa di riposo

Sono più di dieci anni che le classi della “P. Tacchi Venturi” si recano ogni mese alla locale casa di riposo, per festeggiare i compleanni o per animare la tombalata. Le colleghe Maria e Lina sono ormai in pensione e ho ereditato quello che era stato il loro impegno: organizzare le visite ed eventualmente accompagnare le classi e i loro insegnanti. Anche quest’anno siamo riusciti a portare momenti di festa e di allegria ai vecchietti, che ci attendono sempre con cordialità e affetto.
Purtroppo la famosa influenza A, che ha “colpito” alla grande nelle classi, ci ha costretto a saltare alcuni appuntamenti, ma siamo riusciti ugualmente a far fronte, con regolarità, al piacevole impegno che ci siamo presi, concludendo le nostre visite sabato 22 maggio.
Ringrazio le colleghe che si sono prestate ad accompagnare le classi, i ragazzi e i loro genitori (in particolare le mamme) che non ci hanno fatto mai andare a mani vuote.

Un sorriso arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona,
non dura che un istante,
ma il suo ricordo è talora eterno.
E’ un bene che non si può comprare,
ne prestare, ne rubare,
poiché esso ha valore solo dall’istante in cui si dona
                                                                                                                              (P. Faber)

Per l’integrazione

Nello “Spazio di profrel”, l’altro mio blog in cui inserisco esercitazioni e altro per i miei alunni, ho creato uno spazio per l’integrazione in cui sto inserendo attività o proposte per gli alunni stranieri o con problematiche nell’apprendimento. In questo modo spero di poter avere del materiale sempre a disposizione a cui attingere per coinvolgere questi ragazzi in modo attivo e adeguato alle loro possibilità. Come diceva don Milani:

non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali“.

Per visitare il sito cliccare sull’immagine.

Ognuno ha la sua croce….

Quante volte ci sarà capitato di sentire questa espressione: “E’ proprio vero, ognuno ha la sua croce”, per indicare che in fondo siamo nati per soffrire e che, chi più, chi meno, abbiamo tutti i nostri grattacapi.
La croce è quindi vista come qualcosa di scomodo, qualcosa da cui liberarsi. Eppure, come ha detto il Papa al termine della Via Crucis del Venerdì Santo, l’amore di Dio sulla Croce è l’unica forza capace di cambiare il mondo, di trasformare la morte in vita, il tradimento in amicizia, l’odio in amore.
Qualche giorno fa mi è arrivata per e-mail questa storia a vignette. Ve la propongo, come ulteriore invito a riflettere sul mistero della croce.

La vita di clausura

Uno scalatore amante della montagna fa di tutto per raggiungere la vetta: trova un sentiero sicuro e panoramico, si procura un’attrezzatura idonea e tiene vivo il desiderio di godere della bellezza della cima da contemplare. Da sempre questo è stato il mio desiderio: non accontentarmi di vivere stagnante nel basso, ma puntare alle altezze!
  Come fare? Le vie sono così tante e non tutte portano in alto. Camminando sulla mia strada il sentiero si è fatto una Persona, che già aveva percorso proprio per me, per te, questo sentiero e raggiunto la vetta: Gesù Cristo. Aprendo la mia vita a questa Persona ecco che si è riempita di gioia, di luce, di vita, quella vera. Ma mai avrei pensato che si affacciasse un cartello con scritto «clausura». Eppure indicava proprio la vetta a cui io stavo puntando. Io? 25 anni, piena di vita, mai ferma, una laurea brillante, un lavoro, tanti amici e il desiderio di viaggiare. Ma quando una persona è innamorata fa cose che mai avrebbe pensato di fare; ed ecco che mi sono affacciata a questo monastero che ora è la mia casa. E non sapete quale gioia scoprire la bellezza di questo sentiero. Scoprire che non sono affatto in clausura, per come la intende il mondo! In «clausura» vivevo prima, quando volevo inquadrare la mia vita dentro i miei schemi. È liberante invece camminare sulla strada pensata per te. Sì, ho scelto la libertà di camminare verso le altezze, di amare tutti inginocchiandomi come Maria, di vivere nel silenzio per viaggiare alla scoperta di ogni angolo della terra.
  Ho scelto di amare il mio Sposo nei volti delle mie sorelle. Ho scelto di vivere nell’obbedienza per essere libera nell’amare. Ho scelto di gioire pienamente nel Signore e di raggiungere cieli nuovi dove il sole che sorge non tramonterà mai. Non so quale sia la tua strada per raggiungere le vette, caro giovane scalatore, ma ti assicuro che è bello ricevere in dono la propria
strada, Gesù stesso. Arrivederci in vetta.
  suor M. Aurora, abbazia benedettina «Mater Ecclesiae» isola San Giulio (Novara)
in
Avvenire del 27 aprile 2010

Storia di Shazia, 12 anni

C’è una storia di cui si è poco parlato.
Antonio Socci nel suo blog esordiva così: “Nessuno a Hollywood le dedicherà un film (che pure sarebbe da Oscar), nessuno scrittore la immortalerà in un romanzo, nessun giornale occidentale – che dedica pagine e pagine al burqa in Francia – ha sollevato clamore”.
Ci sono storie di cui si fa fatica a parlare, perchè sono scomode, perchè possono suscitare malumori, perchè non interessano.
Eppure Shazia aveva 12 anni ed era il 22 gennaio quando è morta per le violenze inflitte dal suo datore di lavoro, un ricco e potente avvocato musulmano di Lahore.
L’agenzia Asia News che dette la notizia scriveva: “La 12enne è morta il 22 gennaio scorso in ospedale a causa delle ferite subite”. Sohail Johnson, (coordinatore della ong protestante Sharing Life Ministry Pakistan, Slmp) confermava che il cadavere presentava i segni delle torture in 12 punti diversi del corpo e che la ragazzina era stata ricoverata con la mandibola fratturata.
Shazia era cristiana.
Secondo l’organizzazione umanitaria Slmp, il 99% delle ragazze cristiane, provenienti da famiglie povere ( in Pakistan i cristiani sono una minoranza ridotta alla miseria), lavorano come domestiche per ricchi musulmani. Esse sono sovente vittime di abusi e violenze fisiche, sessuali e psicologiche. In alcuni casi i loro padroni le danno in sposa a domestici musulmani, obbligandole a convertirsi all’islam.
E’ una storia triste, ma ancor più triste è il silenzio costruito intorno. Un silenzio che però, attraverso canali alternativi, come la Rete, viene squarciato. Su Facebook è sorto il gruppo « We want intense sentence for little Shazia’s killers » («Vogliamo una sentenza severa per gli assassini della piccola Shazia »), perchè la storia di Shazia non venga dimenticata e soprattutto perchè, come dice il nome del gruppo, la legge faccia il suo corso e non si dimentichi di questa ragazza. La speranza è che con lei possano avere giustizia anche  quelle bambine e quei bambini costretti al lavoro minorile o perseguitati a causa dell’intolleranza, sia essa religiosa, sessuale o etnica.

La mamma e le sorelle di Shazia

Da Pisa un gioco da tavolo per conoscere la vita di Gesù

Da Betlemme a Gerusalemme, passando per il deserto e la Galilea, in un viaggio nell’antica Palestina attraverso la vita di Gesù. E’ il nuovo gioco da tavolo ideato a Pisa da ‘Rebus Project’ e intitolato ‘Vita di Gesu”.
Gli autori del gioco sono Antonio Aiazzi (tastierista dei tempi d’oro dei Liftiba) e la moglie Nathalie Chaineux.
Sentite cosa racconta Antonio: «Una sera di due anni fa eravamo davanti alla tv con Nathalie: passava un programma («non ricordo il nome, ma mi fece proprio arrabbiare»). Un attacco diretto, duro, implacabile non solo contro la Chiesa ma anche contro il cattolicesimo e la sua cultura». Aiazzi ci tiene a dirlo: non è praticante. «So che la fede è qualcosa di forte che devi sentire dentro e che ti cambia la vita. Io tutto questo, dentro, non ce l’ho».
Come milioni di altri bambini, fece il chierichetto e il suo primo strumento, lui che poi sarebbe diventato un mago delle tastiere, fu l’organo nella sua chiesa. «Abbastanza agnostico», quella sera qualcosa comunque scattò. «Con Nathalie ci siamo sentiti feriti. E pure incavolati perché nessuno, tranne Massimo Cacciari, ritenne di infuriarsi e di protestare davanti a quel tipo di attacchi che colpivano una identità precisa, la nostra». E fu allora che nacque l’idea del gioco sulla vita di Gesù. «Anche perché – prosegue l’abbastanza agnostico Aiazzi ed è facile riscontrarlo – a giro c’è poca conoscenza sulle Scritture. Basta ricordare le figure, nei quiz, quando arrivano domande su fede e religione».
Il gioco si basa su domande: 6 tipi di argomenti differenti. Si sceglie un argomento tirando il dado blu e per avanzare si getta il dado rosso. Durante il percorso viene gestito un piccolo budget (per le spese di viaggio, le escursioni, la locanda…) e si incontrano «tanti piccoli dispetti» capaci di movimentare il gioco. I più piccoli – fra i 4 e i 9 anni – possono giocare con il solo dado rosso e, allora, tutto si riduce a un semplice gioco dell’Oca. I più grandi (e non esistono limiti di età, in alto) fanno il gioco completo.
Ecco alcune tra le 600 domande (Antico Testamento, Geo&Natura, Gesù nel suo tempo, Parabole&Miracoli, Storia di Cristo. Più un Pappa Ciccia&Vino con quesiti su aspetti legati al cibo nelle Scritture): Fino a che età visse Matusalemme? Cosa chiese Dio ad Abramo come prova massima di fede? Quale albero annunciava la primavera in Palestina? Quale era la lingua parlata ai tempi di Gesù? Quale apostolo lo ha tradito? Di cosa si nutriva Giovanni Battista nel deserto? Quale bevanda veniva offerta per dare il benvenuto agli ospiti? Come Gesù guarisce il lebbroso? Chi era Erode il Grande? Cosa è il Campo di Sangue? Che successe al velo del Tempio alla morte di Cristo?
Per preparare le 600 domande, gli autori si sono avvalsi della collaborazione dell’Arcidiocesi di Pisa e del Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei.
Il gioco sta per essere distribuito, in tutta Italia, nelle librerie San Paolo e da Giochi Uniti che ne cura anche l’edizione.
Alla domanda che rivolgono ad Antonio, se è affascinato dalla figura di Gesù, la risposta è: «Bella domanda. A me non sono le domande a mancare: casomai mi mancano le risposte. Posso però dire di sentirmi diverso e forse è anche merito di questa avventura che, con un gioco, mi ha fatto scoprire cose che ignoravo, aspetti che mi hanno meravigliato. Io – ripete – la fede non ce l’ho, ma non accetto ciò che vedo: praticanti che quasi si vergognano di dirlo e non reagiscono a offese verso una identità comunque importante».
Adattato da Toscana oggi on line