Tra fede e non fede

C’è chi vede nella fede un impiccio, una zavorra che impedisce all’uomo di esercitare in pienezza la libertà, c’è chi invece…
Così rispose un vescovo italiano, noto teologo, ad un giovane che gli si presentò dichiarando…

Tra fede e non fede

Poster multimedia online

Dal sito dell’amico Cesar scopro un’applicazione online per costruire poster multimediali. Si tratta di  Glogster.  Funziona come un murale su cui è possibile inserire testo, immagini, video e audio. Mi sembra molto interessante.
Perchè ve ne facciate un’idea, inserisco uno dei lavori presentati da Cesar sulla riforma protestante.

Il giorno più bello

Il giorno più bello? Oggi.
L´ostacolo più grande? La paura.
La cosa più facile? Sbagliarsi.
L´errore più grande? Rinunciare.
La radice di tutti i mali? L´egoismo.
La distrazione migliore? Il lavoro.
La sconfitta peggiore? Lo scoraggiamento.
I migliori professionisti? I bambini.
Il primo bisogno? Comunicare.
La felicità più grande? Essere utili agli altri.
Il mistero più grande? La morte.
Il difetto peggiore? Il malumore.
La persona più pericolosa? Quella che mente.
Il sentimento più brutto? Il rancore.
Il regalo più bello? Il perdono.
Quello indispensabile? La famiglia.
La rotta migliore? La via giusta.
La sensazione più piacevole? La pace interiore.
L´accoglienza migliore? Il sorriso.
La miglior medicina? L´ottimismo.
La soddisfazione più grande? Il dovere compiuto.
La forza più grande? La fede.
Le persone più necessarie? Gli amici.
La cosa più bella? L´amore.”
Madre Teresa di Calcutta

La fede in musica

La rinuncia al superfluo; la cri­tica alla sessualità usa e getta; la necessità di assumersi re­sponsabilità e sacrificarsi per cam­biare le cose, invece di fare gli ar­rabbiati o gli indifferenti; un no al dilagante modello del «vincere». Sono solo alcuni dei temi che ren­dono l’album dei vicentini The Sun, Spiriti del sole, in uscita martedì pri­ma di un tour (debutto il 27 a Pra­to), una gran bella notizia. Non so­lo perché Francesco, Matteo, Gian­luca e Riccardo, tutti tra i 25 e i 30 anni, non cantano le solite cose. Perché sono ragazzi normali, petti­nature e linguaggio di oggi: ma in­vece di gridare sorridono, e canta­no solo «ciò che conta». In un rock ben suonato ed arrangiato da band che sa cos’è la gavetta. E ora, dopo 13 anni di essa, approda ad una multinazionale: prima band italia­na esplicitamente credente, che della fede canta la gioia, senza pre­diche.
C’è un brano che pare il nucleo del disco: ‘Oggi sono solo’. Parla di de­pressione, parrebbe…
Depressione post droghe, sì. Pur­troppo un’esperienza fatta. Quan­do arrivi al momento in cui sembra che la vita non abbia senso, o ti di­struggi o ti risvegli. Chi di noi è ar­rivato lì ha scelto la fede e l’amore dei genitori: ora cantiamo di aver scelto la vita.

Fino a mettere la fede nel rock. Quali le difficoltà?

È un’esigenza. Non siamo cresciu­ti in parrocchia, siamo arrivati a Dio nel tempo: pure come band. Però quando ci arrivi ti rivoluziona tut­to, anche la musica. Difficoltà? Non c’è vergogna di credere.

Durante la gavetta avete colpito Mtv, avete suonato punk all’este­ro, avete aperto concerti dei Cure e degli Offspring: tutti mondi lon­tani da quanto cantate…

Sì, nell’ambiente siamo una faccia diversa della medaglia. Però vedia­mo che un segno positivo rimane, in chi ci ascolta. E già impostare un possibile confronto coi ragazzi di oggi è molto. Ci pare troppo sem­plice la risposta rabbiosa di molti al degrado. Solo dentro di noi c’è la chiave per cambiare l’esterno, e noi facciamo questa proposta.

Cosa significa per voi fare, come dite, musica etica?

Scrivendo possiamo agire: anzitut­to su di noi. E la musica poi è an­cora il mezzo migliore per aggrega­re. Quindi per noi farla ha assunto nel tempo il senso di una piccola missione. È un talento da sfruttare.

Nel disco «Il giorno di Alice»: rock per una ragazza morta di leucemia. I genitori come l’hanno presa?

Con gioia. Perché hanno trovato senso alla perdita testimoniando il dolore: per aiutare chi soffre come loro. E nella canzone c’è vita vera, quanto Alice pensava e diceva. Co­me dono che rimane.

«San Salvador» invece è un’espe­rienza in un monastero. Perché cantare un fatto tanto privato?

Perché non farlo? È vita anche pre­gare. Forse i big che non osano can­tarlo hanno solo paura di perdere il successo. Noi vogliamo segnalare le positività in cui crediamo, fidu­ciosi in chi ascolta.

Dall’articolo di Andrea Pedrinelli sull’Avvenire di ieri.