Giorni fa Benedetto XVI si è collegato con la Stazione spaziale internazionale, non per fare un discorso, ma per rivolgere domande e scambiare impressioni con i dodici astronauti, in orbita lassù, a 400 chilometri dalla Terra.
Vi riporto alcuni passi dell’editoriale di Marina Corradi pubblicato su Avvenire del 22 maggio.
Può succedere, a bordo di una stazione spaziale orbitante sulla Terra, di guardare l’Universo, e pregare? Lo ha domandato Benedetto XVI agli astronauti della Iss, la Stazione spaziale internazionale raggiunta ora dallo shuttle Endeavour. E da lassù l’astronauta Roberto Vittori ha risposto che sì, dopo una giornata di ricerca accade, di guardar giù, verso la Terra: «Un pianeta blu, e bellissimo».
Quella bellezza, ha detto Vittori, «prende il cuore, e guardandola viene spontaneo pregare».
(…)
Guardare la bellezza del creato e essere spinti a cercarne il creatore, è cosa antica; accadeva alle tribù primitive, sotto le stelle; accadeva agli antichi Greci, che chiamavano ‘thauma’ quello stupore. Accade ancora ai nostri figli, quando sono piccoli, davanti al mare, o nelle notti limpide; chi ha fatto le stelle, domandano – come se fosse evidente che la realtà non s’è fatta da sola.
E anche in orbita a 27 mila chilometri orari, a 400 chilometri da Terra, accade agli uomini, stanchi di calcoli, di guardar giù, e aver voglia di pregare. Domanda ancora il Papa all’astronauta Paolo Nespoli, che ha perso la madre mentre era quassù, se si sia sentito solo, quel giorno, lei morente e lui così lontano. «Ho sentito arrivare quassù le vostre preghiere», risponde Nespoli. Poi dalla stazione spaziale mostrano a Benedetto la medaglia di Michelangelo da lui donata che fluttua dolcemente, libera dalla gravità: e a lui scappa un sorriso di meraviglia infantile, nel vedere l’eterna legge che ci costringe al suolo cancellata.
Nel congedarsi un astronauta si lascia andare a sollevarsi nella cabina: ancora il Papa sorride. Di quel sorriso che hanno gli anziani quando vedono i giovani partire per una grande avventura.
Proprio un’ora prima, agli studenti dell’Università Cattolica, Benedetto aveva ricordato la tendenza della modernità a ridurre l’orizzonte umano a ciò che è misurabile e a eliminare dal sapere critico la questione del senso, la ‘domanda cruciale’. Ma ora forse, guardando quei giovani russi, americani, italiani, scienziati, esploratori del cielo, misuratori di stelle, ha ragione di confortarsi. Interrogando quella pattuglia, che dice che anche lassù succede di stupirsi della bellezza del mondo, e di pregare; che anche lassù arrivano le preghiere, e accompagnano nell’ora del dolore. La legge di gravità sovvertita, un’altra legge resta, dentro agli uomini: più chiara anzi quando la Terra appare piccola, là in basso, e l’Universo immenso. La legge antica che spinge a alzare lo sguardo, e a cercare. Oltre le stelle, oltre le galassie e l’antimateria.
Sulle tracce di una mano di cui resta, ovunque, come stampata, l’impronta.