La forza di rialzarsi

Chi di noi non ha fatto mai l’esperienza di un fallimento. O perlomeno di qualcosa che ci andava vicino: un brutto voto, un rimprovero, una sconfitta….
A scuola, di fronte alle difficoltà i ragazzi reagiscono in maniera diversa: c’è chi si immusonisce, chi ti rende impossibile fare lezione, chi sta lì, più o meno scomposto sulla sedia, ma abbastanza in silenzio, ad aspettare che suoni l’ora. E’ ovvio, a nessuno piace ammettere di non essere capace, per cui è preferibile giocare sul fatto che, se solo avessi voluto, avrei fatto tutto bene. Eppure non c’è nulla di male nel non riuscire. Nessuno nasce imparato, ma è purtroppo non facendo che non si impara mai.
Vi lascio questo video in cui trovate la testimonianza di una persona a cui la vita non ha risparmiato nulla. Vi troverete forza d’animo, entusiasmo, capacità di mettersi in gioco, ogni giorno.

Fare il male non è segno di potenza

Gli essere umani sono proprio strani! Riflettevamo su questo qualche giorno fa a scuola, dopo che un ragazzo aveva dato della secchiona ad una compagna che era stata in grado di rispondere alle domande che rivolgevo alla classe. E’ proprio strano, facevo notare ai ragazzi, come riusciamo a rivoltare il mondo con le nostre parole. A pensarci bene, infatti, a scuola si dovrebbe venire per imparare, e il “secchione”, che non fa altro che fare il suo lavoro, dovrebbe essere lodato, ma invece viene preso in giro. Chi batte la fiacca, e quindi non fa il suo dovere, al contrario, è preso d’esempio dai compagni o comunque ammirato, perchè non è un secchione. Stiamo costruendo un mondo alla rovescia, dove il male diventa bene, e il bene è qualcosa di cui vergognarsi. A questo proposito vi offro una storia che riguarda il Buddha. Leggete:
Buddha s’era imbattuto in un criminale che voleva ucciderlo. Gli chiese solo di esaudire un suo ultimo desiderio: «Taglia un ramo da quest’albero!». Quello lo accontentò e disse: «E ora?».«Riattaccalo!», ordinò Buddha. Il bandito sghignazzò: «Sei pazzo a volere questo!».«No, lo sei tu: uccidere e far del male è una cosa da bambini e non un segno di potenza. Lo è, invece, creare e risanare!».
E’ proprio vero: i prepotenti si illudono di essere forti perchè minacciano e usano la forza. Tutti i loro sforzi di trasformare il male nel loro bene non riescono però a celare un’amara verità: fare il male è roba da bambini e non è un segno di potenza.
Meditate gente, meditate!

Cecilia si rispecchiò nel cielo

Cari alunni di seconda, all’inizio del cammino che vi ho proposto alla scoperta di alcuni santi, vi lascio queste due riflessioni. Una è di un poeta che ci presenta santa Cecilia, l’altra è di una donna di straordinaria intelligenza e spiritualità.

«Cecilia parlava spesso col cielo / e il cielo non le rispondeva, non poteva / e nel cielo Cecilia / continuò a rispecchiarsi / fino al giorno in cui la sua immagine / coincise con il celeste specchio». (Antonio Porta, 1935-1989)

«Per quanto cerchiamo di saltare o di volare in alto, noi non riusciremo mai a raggiungere il cielo. Se, invece, ci mettiamo a contemplarlo e a fissarvi il nostro sguardo, il cielo scenderà, ci avvolgerà e ci abbraccerà…».
(
Simone Weil, scrittrice ebrea).

Gianfranco Ravasi, su Avvenire del 22 novembre, ha commentato così queste riflessioni:
«Purtroppo noi ci siamo curvati sulla terra, ci dedichiamo esclusivamente alle cose, non possiamo perdere tempo fermandoci — nel silenzio di una notte — a guardare quegli spazi infiniti che turbavano Pascal e Leopardi e che evocano il mistero di Dio e dell’uomo, come cantava il Salmista: «Quando il cielo contemplo e la luna e le stelle che accendi nell’alto, io mi chiedo davanti al creato: cos’è l’uomo perché lo ricordi?» (8, 4-5). Chini sulle realtà materiali, senza mai uno sprazzo di luce, di contemplazione, di infinito, diventiamo simili a oggetti, governati dalla sola legge di gravità che ci appiattisce alla terra. Eppure noi viventi siamo fatti della stessa materia delle stelle e alle stelle va implicitamente il nostro “desiderare” (de sideribus)».
Si potrebbe dire che i santi non hanno rinunciato a guardare il cielo, non si sono appiattiti sulle cose materiali, hanno cercato la bellezza che viene dal riconoscere ciò che è vero, buono e giusto. Solo così hanno permesso a Dio di entrare nella loro vita e Dio li ha riempiti di sè.


 

Indovina chi

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L’amore non morirà mai

Alla faccia di Halloween, sono molti di più i “miei” alunni che hanno ricordato la festa dei Santi come Dio comanda. Da un veloce sondaggio fatto nelle classi, la maggioranza dei ragazzi si è recata con le famiglie a visitare i propri cari defunti al Cimitero. Novembre è il mese in cui la pietà popolare si esprime nel ricordare chi non c’è più, nella speranza di ritrovarci un giorno, tutti insieme, nella Gloria di Dio. Vi ricordo che la parola “cimitero” deriva dal greco κοιμητήριον (koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”), attraverso il tardo latino coemeterium. Il termine ha quindi una risonanza culturale decisamente diversa dal termine necropoli, che significa invece “città dei morti”. Per i cristiani il luogo in cui seppellire i defunti non poteva più chiamarsi città dei morti, perchè per fede essi credevano e credono che dopo la morte ci aspetta una nuova vita, quella della resurrezione. La morte non è la fine di tutto, non è neanche interruzione del legame con i nostri cari.
Vi lascio una bella riflessione che ho trovato su Noi Genitori e Figli, supplemento ad Avvenire del 30 ottobre 2011:
«Che cosa bella. Quando un nostro caro muore e ritorna a Dio, egli ci porta nel suo cuore. Io sto in Dio attraverso il cuore di quelli che mi amavano e che in questo momento, sono già arrivati ad immergersi nel cuore di Dio. C’è un po’ di noi nel cielo. Quando moriremo non andremo verso un luogo completamente estraneo, perchè una parte di noi sta già in Dio. Ci incontreremo tutti nel cielo. L’amore che viviamo non muore mai. L’amore non muore. L’amore si trasforma. Amare significa credere che l’altro non morirà, mai». (Leo Tarcisio Goncalves Pereira)
Che belle parole! L’amore non morirà mai e nell’amore noi saremo uniti a Dio.
Meditiamo, gente. Meditiamo!

La genialità e la pazienza

«La genialità come la santità non si eredita. Il genio non è altro che una grande attitudine alla pazienza».(Georges-Louis Buffon, naturalista francese del Settecento)
Nel nostro immaginario difficilmente associamo la pazienza alla genialità: il genio è un intuitivo, quindi, è un vulcano di idee, ma non uno paziente. Quanto ci sbagliamo! Se la genialità non viene pazientemente coltivata, si perde. L’esercizio è indispensabile. Tutti i grandi artisti, irruenti nella fase creativa, lo erano di meno nella fase operativa, dove, con pazienza e costanza, affinavano la tecnica, curavano l’esecuzione. Ho letto, per esempio, che Vivaldi fosse capace di comporre una partitura in meno tempo di quello che impiegava il segretario a ricopiarla; però su quella stessa partitura, il compositore lavorava instancabilmente a rifinire e rielaborare. Da questo un insegnamento per tutti: la fatica, l’addestramento sono necessari a ciascuno e in ogni attività.
Meditiamo, gente. Meditiamo!