Come potremo mai dimenticare?

Per ricordare la Giornata della Memoria, l’articolo di Pino Ciociola pubblicato su Avvenire del 19 gennaio 2012, che racconta la visita ad Auschwitz di 120 ragazzi delle scuole superiori italiane, accompagnati dal nuovo ministro dell’Istruzione.

Diventano fessure gli occhi dei ragazzi. Qui il tempo si è spaccato e loro lo capisco­no dal dolore aggrappato ai muri di mattoni vecchi, che rimangono incrostati da una infamia fra le più terrificanti della storia. Scendono lacrime dagli occhi di questi ragazzi, da­vanti alle rovine dei kre­matorium che i nazisti fe­cero saltare illudendosi di nascondere quanto face­vano. È ascoltando Sami Modiano che ha 82 anni e qui entrò quando ne aveva 12 .
La neve rende tutto più bianco e più surreale, co­me non fosse mai esistito, come se il campo di ster­minio di Birkenau fosse so­lo un set cinematografico. Ma il freddo morde e sbri­ciola l’illusione. «Mi sem­bra di avere i brividi dentro più forti di quelli sulla pel­le », sussurra Paola di Ca­tanzaro. «Mi sembra di sentire le urla uscire ancora dalle baracche», dice Marco di Torino.
Si incrina la voce anche al ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. È lui ad accompagnare qui 120 ragazzi arrivati dalle scuo­le superiori di 17 regioni italiane.
Insieme al presi­dente delle comunità e­braiche Renzo Gattegna e Marcello Pezzetti, che diri­ge il museo della Shoah. «È un percorso, questo – spie­ga il ministro – che sarà an­cora più necessario fare quando il tempo ci priverà del privilegio di poter a­scoltare i fatti dalla viva vo­ce dei testimoni, guardan­do sul loro volto la trage­dia ». I piedi e le mani gelano, «provate a immaginare co­sa fosse per noi – dice Sa­mi ai ragazzi – voi avete i vostri piumoni, avete i vo­stri dopo sci, noi soltanto un pigiama a righe e zoc­coli di legno…». Loro lo ascoltano.
Muti. Scattano foto, e girano video coi cel­lulari, senza sorrisi: «Qui pesa anche l’anima», spie­ga Antonio Romano.
Non si fuma nel campo, né si masticano gomme. Qui tutto è rispetto. Nessun ra­gazzo contravviene. Nes­suno alza la voce. Troppo freddo forse. O forse tanto di quel dolore che anche solo a 16 o 17 anni non si può sfuggirvi. I nazisti qui massacrarono 1 milione e 200 mila esseri umani: 1 milioni di ebrei e zingari, omosessuali, prigionieri di guerra, disabili. 200 mila bambini sotto i 10 anni. E le ragazze camminano senza fare rumore attra­versando il kinderblock, la baracca nella quale veni­vano radunati i più piccoli prima di essere uccisi.
Muovono lungo le rotaie del judenramp, la via fer­rata all’interno di Birkenau sulla quale arrivavano i carri bestiame carichi però di donne e bimbi e uomini e anziani. Siamo sotto una nevicata impietosa, «le im­magini di quelle persone a­leggiano ancora qui, forse ancora tra questi fiocchi», secondo Luisa di Locri. «Non sapemmo subito co­sa accadeva – va avanti Sa­mi – seppure lo capimmo quando qualcuno, pieto­samente, ci spiegò che i nostri cari se ne andarono via nel fumo che usciva dalle canne sui crematori». E adesso proprio Luisa fa­tica nascondere gli occhi lucidi.
«Auschwitz è diventata il simbolo dello sterminio della popolazione ebrea e della barbarie nazista in genere», dice ancora il mi­nistro dell’Istruzione. Nel museo, più tardi, i ragazzi sono attoniti. «Dio mio…», si sente dal filo di voce di Maria, romana, anche lei, di fronte alle tonnellate di capelli tagliati a chi era sta­to appena ucciso nelle ca­mere a gas. Davanti a cen­tinaia di barattoli vuoti di zyklon B che per intender­ci è cianuro solido che a contatto con l’aria diventa gas e sterminava. E ancora vedendo i vestitini dei bim­bi massacrati, sentendo i racconti di quel che faceva Mengele a loro e ai disabi­li. A questi ultimi, se non servivano allo scienziato pazzo, neppure si dava da mangiare: non servivano per lavorare né altro.
Scende la sera quando i ra­gazzi escono dal cancello di Auschwitz. Tutto intor­no il bianco è beato dal ros­so del tramonto. Un pae­saggio spettrale e insieme dolce. Maria ci fa una do­manda: «Come potremo mai dimenticare, adesso, tutto questo?».

Fissare paletti

Leggo che il 53% dei ra­gazzi tra gli 11 e i 13 anni e il 78% de­gli adolescenti fino a 18 anni ha as­sunto alcolici almeno una volta nel­la vita e, mentre la percentuale di bevitori abituali è bassa tra i ragaz­zi delle scuole medie (l’1%), è più e­levata tra gli studenti delle superio­ri: il 3,5% nella fascia di età 14-16, e oltre il 7% di quelli che hanno com­piuto 16 anni. Anche fumare e acquistare sigaret­te sono comportamenti abbastan­za frequenti: quasi 3 ragazzi su 10 alle scuole medie e 6 su 10 alle su­periori hanno fumato almeno una volta in vita loro e il 29% tra i 14 e i 18 anni si definisce fumatore abi­tuale.
I ragazzi trasgrediscono anche nei videogames: sebbene in Italia non e­sistano norme in materia, ma solo una serie di raccomandazioni da se­guire, 4 ragazzi su 10 delle medie e 5 su 10 delle superiori dichiarano di aver giocato a videogiochi non a­datti a loro, e molti ammettono an­che di aver partecipato a giochi che prevedono vincite in denaro. Infine, dati preoccupanti riguardano anche l’ac­cesso alla pornografia: il 7,9% nelle medie e il 14,7 nelle superiori risul­ta aver visto materiale a luci rosse.
Sono consapevole che più si vieta una cosa più venga voglia di farla, ma le situazioni descritte chiamano in causa noi adulti che, molte volte, rinunciamo a “fissare i paletti”, perchè ci costa fatica dare regole e soprattutto controllarne il rispetto. Eppure i giovani hanno bisogno di qualcuno che con chiarezza e senza tono accusatorio li aiuti a capire ciò che è giusto fare della loro vita. Come un treno in corsa deraglia se va fuori dai binari, così i ragazzi hanno bisogno di una strada tracciata, di regole chiare e punizioni giuste. Credo che solo così li rassicuriamo sull’amore che nutriamo per loro.

La storia di Francesco, un ragazzo appassionato del pallone

Ho letto ne Il Resto del Carlino di sabato 21 gennaio 2012 la storia di Francesco.
“Frency”, 13 anni, ha una passione incontenibile per il calcio, come tanti ragazzi della sua età. Non sarebbe notizia da scrivere in un giornale, se non per il fatto che Francesco non ha una gamba e, come Pistorius, anche lui ha dovuto lottare per vedersi riconosciuta la possibilità di scendere in campo (non una pista da corsa, come per l’atleta senza gambe, ma un campo da calcio).
Il Centro Sportivo Italiano, infatti, facendo uno strappo al regolamento, gli ha concesso il nulla osta per giocare a calcio con le stampelle. Eh sì, avete capito bene, Francesco gioca a pallone con le stampelle. La sua menomazione non è mai stata per lui un ostacolo ad una vita normale, perché l’ha sempre considerata come una caratteristica (come gli occhi verdi o i capelli rossi, per intenderci), non come un handicap .
Grazie al presidente del Csi Massimo Achini, ora Frency potrà disputare non solo le partite di allenamento o quelle in parrocchia, ma partecipare anche a un campionato vero, con tanto di cartellino, arbitro ufficiale, come i suoi amici.
La storia di questo ragazzo è stata raccontata in un film, che si intitola “Uno!“, realizzato dal regista modenese, Carlo Battelli. Il lavoro ha vinto Cuneo Film Festival, nella sezione documentari.
Vi lascio il video che racconta la storia di questo ragazzo.

Non fare agli altri….

Una riflessione tratta dalla rubrica “Buongiorno vita” di Gennaro Matino, pubblicata su Avvenire del 20 gennaio 2012. Può aiutarci a comprendere quanto sia importante crescere in umanità e come sia possibile farlo.
«Non fare agli altri quello non vuoi sia fatto a te. Principio universale che supera ogni distinzione. L’uomo resta tale se umano è il suo bagaglio, se lascia passare nelle vene della sua consistenza compassione per l’altro suo simile come statuto dell’essere. L’uomo è uomo se rimane affascinato dalla misericordia da esercitare in ogni avventura, se curiosità di bellezza apre in lui straordinarie frontiere di bene. Non c’è credo, né religione, razza o cultura, sesso o età che possano sentirsi stranieri del diritto-dovere di difendere, apprezzare, vivere, godere dell’umano percorso e in esso scoprire, scalando la sua vetta, il gusto preziosissimo di sentirsi fratelli, benché diversi(…)».

Corri da solo e perdi di sicuro

Più volte ho scritto in questo blog che il correre ci fa male. Più volte ho detto che dovremmo imparare a rallentare il ritmo per prenderci il tempo per gioire del bello intorno a noi e per riflettere su ciò che non va e quale possa essere il nostro contributo per migliorare il mondo in cui siamo. Si corre troppo, in preda a non so quale raptus e si finisce per dimenticarsi degli altri, che quasi vengono percepiti come un inciampo, quando non sono utili ai nostri scopi.
Vi lascio quanto ha scritto Gennaro Matino nella rubrica “Buongiorno Vita” su Avvenire dell’11 gennaio 2012. Esprime molto meglio, di quanto io sia capace, il mio pensiero.
“Dicono che la vita sia una corsa, un treno veloce che si acchiappa al volo. Bisogna correre, correre; fermarsi è da falliti. Dicono che la storia sia dei vincenti, i primi posti per i migliori e per acchiapparli devi correre, correre, e ancora correre. Poco importa se nella corsa ti perdi qualcosa, irrilevante abbandonare per strada inutili ingombri: amicizie vere, solidarietà, gli occhi dei figli, le carezze degli innamorati. Corri, che ti interessa della tenerezza da spartire, della compagnia dei giusti, di chiamare qualcuno fratello e sentirsi tale? Corri, non ti fermare, il successo è garantito a chi non si lascia turbare dalla coscienza, da chi non ritiene necessario fare i conti con la meta. Dicono che la vita vada vissuta correndo: la corsa è la sua ragione, la strada va mangiata come un boccone, poco importa se se ne perde il sapore. Non ti fermare, non perdere di vista l’obiettivo, diventa signore della gara e sarai felice. Ma la via, quella vera, quella giusta, è il sentiero di compassione, spartizione di senso, comprensione di luce. Il passo adatto per tracciare il percorso è la rettitudine, la vittoria è per chi pratica la giustizia. Corri da solo e perdi sicuro, il Signore è la meta per chi fratello con i fratelli condivide il tracciato”.

The Gospel Trail

Un itinerario lungo i luoghi della vita di Gesù: questo è il Gospel Trail (il sentiero del Vangelo). L’itinerario si snoda attraverso il nord di Israele e segue letteralmente i luoghi più importanti del Nuovo Testamento. Sono circa 62 km di lunghezza con un percorso che si dirige a sud di Nazareth attraverso diverse città ebraiche e arabe fino a Cafarnao, il villaggio di pescatori dove fece base più volte Gesù.
Il pittoresco inizio del sentiero, con il Monte del Precipizio ricorda ai visitatori l’episodio Gesù che rischiò di essere quasi buttato giù da una rupe dopo una predica tenuta in una vicina sinagoga. Il percorso poi si snoda attraverso la valle di Jezreel e con deviazione sul Monte Tabor, il luogo della Trasfigurazione. C’è anche un sentiero laterale che porta a Kfar Kana, il luogo delle famose Nozze di Cana, in cui Gesù trasformò l’acqua in vino, secondo il Nuovo Testamento. Da non perdere anche la salita al Monte delle Beatitudini.

Le parole: pietre o ponti?

Le parole possono essere pietre quando si parla per ferire. Fanno male e ti lasciano cicatrici. Spesso, anche per superficialità, usiamo male le parole: pensiamo alle parolacce o alle bestemmie che escono con leggerezza e frequenza da bocche che ancora sanno di latte. Che amarezza!!! direbbe una mia cara collega.
Eppure, pensate, nella Bibbia Dio crea con la parola. La sua è una parola che realizza ciò che dice, che ha in sè il senso e il fine per cui viene detta. Noi siamo invece abilissimi a pronunciare parole false, a giocare con la Verità, addomesticando le parole.
Ognuno di noi è il risultato delle parole che ha ricevuto e si realizza, nel bene o nel male, in relazione alla responsabilità che sente delle parole da consegnare.
Le parole invece sono ponti quando c’è dialogo, incontro, desiderio di riconoscere l’altro, anche nella sua diversità, amore per la verità. Le parole permettono lo scambio di sensibilità e conoscenze diverse e così facendo offrono la possibilità di aprire la propria mente e il proprio cuore all’altro.
Questo mondo ferito, violento, senza speranza, ha bisogno di ponti, non di pietre da lanciare. Impariamo a metterci in ascolto dell’altro; chiudiamo un po’ di più la nostra bocca per ascoltare. Scopriremo che l’altro lo si ascolta non soltanto con le orecchie, ma anche con il cuore e con gli occhi. Ridiamo spessore alle nostre parole imparando a non abusarne e soprattutto a metterle a servizio di ciò che è vero, buono e bello.
E’ un impegno per cui vale la pena impegnarsi, non pensate?

La Bibbia : un libro che ci parla di fede

Quando a scuola chiedo cos’è la Bibbia, i ragazzi generalmente rispondono che la Bibbia è il libro che racconta la storia di Dio. Puntuale arriva la mia precisazione: più che la storia di Dio, la Bibbia è il libro che racconta la fede: la fiducia di Dio nei nostri confronti, che si manifesta nel suo fare alleanza con noi, e la fede, a volte insicura e fragile, di uomini e donne che ci hanno preceduto. In questo video li vediamo in successione; se di qualcuno non sapete nulla, andate a cercare informazioni.
Il video si conclude con due domande: In cosa credi? In chi credi? Lasciatevi interrogare anche voi.
Cliccate sull’immagine e ….Buona visione!

Qual è il tuo progetto di vita?

vignetta tratta da “Dossier catechista” (marzo 2012)

Siamo in dirittura d’arrivo; a febbraio i ragazzi di terza media dovranno scegliere la scuola superiore. La prima scelta veramente importante a cui sono chiamati.
Mi rivolgo a voi, ragazzi, perché credo che valga la pena che riflettiate su quali siano i modelli che orientano la vostra vita (e mi auguro che non siano quelli del personaggio della vignetta!).
Per orientarsi in modo serio non basta guardarsi intorno, andando a vedere le scuole o interrogandosi sui bisogni del mercato, ma bisogna soprattutto guardarsi dentro, per scoprire in sé qualità, propensioni, aspirazioni, valori. In fondo si tratta di interrogarsi sulla propria vocazione, che non è il solo farsi prete o suora, come a volte erroneamente si intende, ma cogliere, attraverso i segnali che la vita ci dà, qual è il nostro compito nel mondo, per renderlo più vero e più bello.
Tutti insieme, docenti, alunni, genitori, ci troveremo sabato prossimo a scuola per parlare di orientamento. In qualità di funzione strumentale ho chiesto agli ospiti  che interverranno di aiutarvi a riflettere sull’importanza di saper guardare dentro e fuori di voi, e di quanto sia fondamentale che non troviate scuse per non impegnarvi seriamente nella costruzione del vostro futuro. Dovete investire i vostri talenti in un progetto di vita che metta al primo posto la realizzazione di voi stessi attraverso il contributo che potete dare alla costruzione di un mondo migliore: non saranno i soldi, per quanto necessari, a fare di voi delle persone riuscite, ma l’amore e la passione che saprete mettere in ciò che fate.
Vi lascio la locandina della giornata.

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