Una ragione per vivere: l’augurio per il nuovo anno

L’augurio per il nuovo anno è preso in prestito dalla canzone “Tensione Evolutiva” di Jovanotti:

ci vuole pioggia vento e sangue nelle vene e sangue nelle vene e una ragione per vivere per sollevare le palpebre e non restare a compiangermi e innamorarmi ogni giorno ogni ora ogni giorno ogni ora di più di più di più 
Perché ognuno di noi trovi il vero senso da dare alla sua vita. 

Buon anno a tutti!

P.S. C’è sempre una ragione per vivere, anche quando ci sembra di vedere tutto nero. Il nostro bisogno d’amore, di bellezza, di verità non può essere senza risposta.
Non siamo schegge impazzite di materia cosmica! 

Il cristianesino: fonte di intolleranza o di pace?

«Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l’umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell’unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell’unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l’intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l’uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l’uomo disprezzi e schiacci l’uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull’uomo e nell’uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare».

Dall’omelia di Benedetto XVI per la Santa Messa della notte di Natale (24 dicembre 2012)

Gesù, sintesi paradossale

Il Cristo è la sintesi suprema di ogni valore umano e, dunque, religioso, non essendoci uomo senza una fede; è Egli stesso una sintesi paradossale, essendo al contempo uomo e Dio, e un Dio che è insieme Uno e Trino. Il cristianesimo, per nascere e prosperare, non ha bisogno di una tabula rasa, ma, al contrario, deve affondare le proprie radici nell’humus della storia universale. Ogni «o questo o quello», ogni aut-aut, è eretico («eresia», in greco, significa «scelta», mentre «cattolico» vuol dire «universale»), ogni esclusione, fra l’altro, va contro il monito di san Paolo di «esaminare tutto e di tenere tutto ciò che è buono».
(Vittorio Messori, Bernadette non ci ha ingannati, Mondadori 2012)

La gloria di Dio si rivela nella povertà di un bambino

«La glo­ria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non ri­splende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende di­mora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spes­so silenziosa, della verità e dell’a­more. La fede ci dice, allora, che l’in­difesa potenza di quel Bambino al­la fine vince il rumore delle poten­ze del mondo».
(Catechesi di Benedetto XVI di mercoledì 19 dicembre 2012)

Buon Natale!!!

Letterina di Natale

Caro Gesù Bambino, ecco che arriva Natale e io non ti ho ancora spedito la mia letterina. Il fatto è, caro Gesù Bambino, che prima ho perso tempo perché non riuscivo a scegliere tra i tanti doni che desidero, perché babbo e mamma mi hanno detto di avere saputo da fonte sicura che quest’anno hai deciso di non accogliere le richieste dei bambini che vogliono troppe cose. Secondo te, dimostrerebbero di non essere attenti a ciò che accade dentro le loro case dove, per colpa della crisi, si cerca di risparmiare anche sulle cose necessarie. Adesso ho scelto un regalo solo, che desidero tantissimo perché tutti i miei amici ce l’hanno: le scarpe con le rotelle sui tacchi, in modo che si possono adoperare anche come pattini. Io, anche se chiedo le scarpe a rotelle, so molto bene che i miei genitori devono risparmiare su tutto perché hanno da pagare il mutuo e quella tassa in più che devono pagare per la casa. Però a pensarci bene non so se posso chiederti le scarpe a rotelle. È che quando avevo finito di scrivere la letterina e stavo per spedirla, mi sono ricordato di quei bambini uccisi nella sparatoria in America e a tutti quelli di cui sentono storiacce in questi giorni. Ho pensato al dolore e alla tristezza di tanti genitori e dei loro amici. Altro che non avere le scarpe a rotelle…. Allora, caro Gesù Bambino, ho strappato la lettera e ho cominciato a scriverne un’altra: questa. A non chiederti le scarpe a rotelle, sono sincero, non ci riesco: mi piacciono troppo. Però ti chiedo nel frattempo di aiutare anche tutti coloro che hanno bisogno di cose più importanti di quelle che ti chiedo io, in ogni parte del mondo. Lontano da qui come nel mio quartiere. Insomma per tutti i bambini che non sanno che ci sono le scarpe a rotelle, perché non conoscono neanche le scarpe normali. Gesù Bambino, da quando ero più piccolo mio papà mi ha obbligato a vedere un po’ di telegiornali e a leggere il giornale perché dice che se i bambini non conoscono le notizie importanti diventano viziati. Per questo so che ci sono tante persone che abitano in Paesi devastati da guerre e violenze, tormentati dalla fame, spazzati da uragani, terremoti, alluvioni… E che perciò hanno bisogno di tutto. E non solo questo. Il papà e la mamma parlano spesso di loro colleghi che hanno perso il lavoro e non sanno come tirare avanti la famiglia. Caro Gesù Bambino, non voglio fartela troppo lunga perché hai tantissimo da fare. Allora ti dico: vedi tu! So che farai tutto per il meglio, perché Natale porti speranza a ogni uomo, donna e bambino.
Ps. Senti, le scarpe a rotelle, se entrano nella tua lista, non fa niente se non sono di marca.

Tonino Lasconi su Popotus del 20 dicembre 2012

Il mondo finirà….ma non oggi

Tratto dall’articolo di Marina Corradi, pubblicato su Avvenire di ieri, 20 dicembre 2012.

(..) L’Apocalisse, è annunciata e il Giudizio anche, e però ci è stato anche assicurato che abbiamo «un avvocato presso il Padre», ed è uno bravo. Ci è stato detto nei secoli, e tramandato ai figli, che non siamo schegge dentro a un caso cieco, ma invece siamo amati e attesi, uno a uno, da Cristo, che ricapitolerà in sé tutte le cose della Terra e del Cielo. Certo, ad ascoltare gli astrofisici che oggi dipingono un ‘multiverso’, cioè un Universo innumerevole e in continua espansione, governato da una materia e da un’energia ‘oscure’, ci si può sentire così irrilevanti: in bilico come siamo su un pianeta di una qualsiasi galassia, in un Multiverso fra i tanti. E forse che lo stesso Vangelo non annuncia che «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte»? Ma, ha insegnato Benedetto XVI proprio un mese fa, bisogna legare questi versi a quello che immediatamente li segue: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria». Cristo, dunque, che compie in sé le profezie dell’Antico Testamento: è lui, dice il Papa, «il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile». E tutte le creature, ha aggiunto il Papa, e il Sole e la Luna e il firmamento, obbediscono alla Parola di Dio, anzi esistono in quanto «chiamati» da essa. Da quel Logos che è il Verbo fatto carne. In uno sguardo cristiano dunque le profezie di fini del mondo prossime venture perdono consistenza, e non solo perché ci è stato detto che non sappiamo il giorno, né l’ora; ma perché nella fede si scioglie il terrore di una fine che piomba addosso come una ghigliottina, di un niente che ci inghiotte e ci divora. Perché a governo di tutto, delle stelle come dei capelli del capo di ognuno, c’è un Dio che conosce il cuore di ciascuno, e largamente perdona. (…) Qualunque cosa dicano gli oracoli pagani, per noi è Cristo il vero avvenimento – la roccia, nel ruotare vertiginoso di un ancora sconosciuto universo. Di un mondo che può passare, mentre le parole di Cristo non passeranno.
 (…) noi sappiamo che cosa veramente aspettiamo, a giorni: un bambino che nasce senza un tetto – un niente, nella logica dei ricchi e dei potenti. Cos’era quel bambino di fronte all’Impero romano e agli eserciti, che cos’era dentro alla storia e al suo maestoso avanzare? E quante fini del mondo nei secoli sono state annunciate. Duemila anni dopo siamo ancora qui, a parlare del bambino di Betlemme – cadute, nel frattempo, mille rivoluzioni, ideologie, potenze. Se non da lui, da chi andremo? La vera attesa è quella del 24 dicembre, lunga notte nel buio del solstizio d’inverno. Notte in cui però, ha detto il Papa ieri, «l’indifesa potenza di un Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo». Lontano dal fragore di apocalissi fasulle, noi chini, ancora, su un Dio che nasce nel silenzio.


Le Beatitudini

Non è facile capire le Beatitudini pronunciate da Gesù. Sembrano astratte, impossibili, “roba” per donnette. Eppure…per Gesù sono una cosa seria, l’unica possibilità di felicità vera, autentica.
Come diceva don Tonino Bello (tratto da http://www.qumran2.net/ritagli/index.php?ritaglio=5393) :
Alludono a quegli appagamenti di gioia completa che andiamo inseguendo da tutta una vita, senza essere riusciti mai ad afferrare per intero. Fanno riferimento a quel senso di benessere pieno di gioia totalizzante che esiste solo nei nostri sogni.(…) Non ci vuol molto a capire, insomma, che sotto queste sentenze veloci del discorso della montagna c’è qualcosa di grande. E che, di quel misterioso “regno dei cieli”, la cosa più ovvia che si possa dire è che rappresenta il vertice della felicità. Sì, Gesù vuol dare una risposta all’istanza primordiale che ci assedia l’anima da sempre. Noi siamo fatti per essere felici. La gioia è la nostra vocazione. E’ l’unico progetto, dai nettissimi contorni, che Dio ha disegnato per l’uomo. Una gioia raggiungibile, vera, non frutto di fabulazioni fantastiche, e neppure proiezione utopica del nostro decadentismo spirituale“.
Per aiutarci a capire un po’ di più il senso di quelle parole pronunciate da Gesù, vi propongo le Beatitudini dei giovani, che ho trovato qui.

Beato te che, povero in spirito, non ti affanni a consumare continuamente come tutti i ragazzi della tua età. 
Dio sarà la tua ricchezza.
Beato te che, soffrendo per il male che c’è nel mondo, ti lasci raggiungere dal dolore degli altri e aiuti chi è nel bisogno. 
Dio ti darà la sua consolazione. 
 Beato te che, avendo un cuore mite, al male rispondi con il bene e ti sforzi di amare tutti. 
Dio ti darà la comunione con lui. 
 Beato te che, avendo fame e sete di santità, non ti senti mai sazio di Dio e lo cerchi continuamente. Dio ti darà la pienezza della vita. 
 Beato te che sei misericordioso pronto a perdonare e a fare il primo passo. 
Dio sarà generoso nel perdonarti. 
 Beato te che hai un cuore sincero e trasparente incapace di doppiezza e falsità. 
Dio ti farà dono della sua presenza. 
 Beato te che diffondi la pace e costruisci un ambiente fraterno e solidale. 
Dio ti considererà a pieno titolo suo figlio. 
 Beato te che consideri la sofferenza come normale compagna di viaggio e non ti meravigli delle calunnie, fraintendimenti e persecuzioni. 
Dio è con te, ti proteggerà e ti difenderà sempre.
Ai colleghi propongo di dare un’occhiata nel sito della Sei, dove si trovano dei materiali sul tema molto interessanti. Cliccate qui.
Invito i miei alunni a rivedere alcuni post del passato:

Sant’Agostino e la felicità

Agostino, l’intellettuale originario di Tagaste che diventerà vescovo di Ippona e che influenzerà la cultura europea con il suo pensiero,  parla della sua ricerca della felicità soprattutto nel libro Le Confessioni.
Nel film che vi ho proposto, trasmesso dalla Rai qualche tempo fa, abbiamo visto l’itinerario che lo ha portato alla conversione e al battesimo. Agostino, da ragazzo e da uomo, affamato di felicità, ha cercato risposte a tutte le sue inquietudini nella filosofia, nei piaceri, nel successo, ma inutilmente. Fu soprattutto l’incontro e la frequentazione con il vescovo di Milano Sant’Ambrogio a portarlo alla scoperta di un Dio che colma il nostro desiderio di felicità. Nella notte di Pasqua del 387 dopo Cristo, a Milano, ricevette proprio dal vescovo Ambrogio il battesimo.
Quante somiglianze tra la storia di Agostino e gli altri personaggi che ci hanno accompagnati in questo percorso avviato a scuola! Agostino è un po’ come Pinocchio e il figlio della parabola del Padre misericordioso: ognuno di loro, infatti, è ingannato da una falsa promessa di felicità. Agostino è anche un po’ come il principe Siddharta, che, nonostante abbia tutto ciò che un uomo possa desiderare, sente dentro di sé quella nostalgia che rende inquieti.
Potremmo trovare anche molti parallelismi tra la nostra epoca e quella in cui visse Sant’Agostino; allora si andava sgretolando il potere dell’impero romano nella corruzione, il tradimento dei valori antichi, le invasioni di nuovi popoli, oggi…. quella storia sembra ripetersi.
 “Ci hai fatti per te, Signore; perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in te”. Questa è la scoperta di Agostino.  Il suo cuore si riempì allora di gioia inesauribile: “O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi, tremai di amore e di terrore. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi hai chiamato ed ora io anelo a te!”
A quanto pare, Dio c’entra proprio con la felicità dell’uomo!
Vi invito a dare un’occhiata ad un fumetto sulla vita di Sant’Agostino che vi ho già presentato in un post del passato. Cliccate qui.
Per approfondire la riflessione, vi rimando ad un altro post. Cliccate qui.

Un prete per le strade di Marsiglia

Vi presento la storia di un uomo che, dai locali notturni di Parigi, in cui cantava, è passato ad indossare la tonaca. Otto anni fa è stato infatti ordinato sacerdote ed oggi è parroco a Marsiglia. Michel-Marie Zanotti-Sorkine, questo è il suo nome, e per conoscerlo meglio vi riporto l’articolo di Marina Corradi, pubblicato su Avvenire del 29 novembre 2012. In questo Anno della Fede fa bene sentire e sapere che ci sono cristiani veramente innamorati di Cristo.

Quella tonaca nera svolazzante sulla rue Canabière, tra una folla più maghrebina che francese, ti fa voltare. Toh, un prete, e vestito come una volta, per le strade di Marsiglia. Un uomo bruno, sorridente, eppure con un che di riservato, di monacale. E che storia, alle spalle: cantava nei locali notturni di Parigi, solo otto anni fa è stato ordinato e da allora è parroco qui, a Saint-Vincent-de-Paul. Ma la storia in realtà è anche più complicata: Michel-Marie Zanotti-Sorkine, 53 anni, discende da un nonno ebreo russo, immigrato in Francia, che prima della guerra fece battezzare le figlie. Una di queste figlie, scampate all’Olocausto, ha messo al mondo padre Michel-Marie, che per parte paterna è invece mezzo corso e mezzo italiano. (Che bizzarro incrocio, pensi: e guardi con stupore la sua faccia – cercando di capire com’è un uomo, con dietro un tale nodo di radici). Ma se una domenica entri nella sua chiesa gremita, e ascolti come parla di Cristo con semplici quotidiane parole; e se osservi la religiosa lentezza dell’elevazione, in un silenzio assoluto, ti domandi chi sia questo prete, e cosa in lui affascini, e faccia ritornare chi è lontano. Infine ce l’hai davanti, nella sua canonica bianca, claustrale. Sembra più giovane dei suoi anni; non ha, noti, quelle rughe di amarezza che marchiano col tempo la faccia di un uomo. Una pace addosso, una letizia che stupisce. Ma lei chi è?, vorresti chiedergli immediatamente. Davanti a un pasto frugale, cenni di una vita intera. Due splendidi genitori. La madre, battezzata ma solo formalmente cattolica, lascia che il figlio frequenti la Chiesa. La fede gli è contagiata «da un vecchio prete, un salesiano in talare nera, uomo di fede generosa e smisurata». Il desiderio, a otto anni, di essere sacerdote. A tredici perde la madre: «Il dolore mi ha devastato. E però non ho mai dubitato di Dio». L’adolescenza, la musica, e quella bella voce. I piano bar di Parigi potranno sembrare poco adatti a discernere una vocazione religiosa. Eppure, intanto che la scelta lentamente matura, i padri spirituali di Michel-Marie gli dicono di restare nelle notti parigine: perché anche lì c’è bisogno di un segno. La vocazione infine preme. Nel 1999, a 40 anni, si avvera il desiderio infantile: sacerdote, e in talare, come quel vecchio salesiano. Perché la talare? «Per me – sorride – è una divisa da lavoro. Vuole essere un segno per chi mi incontra, e soprattutto per chi non crede. Così sono riconoscibile come sacerdote, sempre. Così per strada sfrutto ogni occasione per fare amicizia. Padre, mi chiede uno, dov’è la posta? Venga, l’accompagno, rispondo io, e intanto si parla, e scopro che i figli di quell’uomo non sono battezzati. Me li porti, dico alla fine; e spesso quei bambini, poi, li battezzo. Cerco in ogni modo di mostrare con la mia faccia un’umanità buona. L’altro giorno addirittura – ride – in un bar un vecchio mi ha chiesto su quali cavalli puntare. Io gli ho dato i cavalli. Ho chiesto scusa alla Madonna, fra me: ma sai, le ho detto, è per fare amicizia con quest’uomo. Come diceva un prete, che è stato mio maestro, a chi gli chiedeva come convertire i marxisti: “Occorre diventare loro amici”, rispondeva». Poi, in chiesa, la messa è severa e bella. Il prete affabile della Canabière è un prete rigoroso. Perché cura tanto la liturgia? «Voglio che tutto sia splendente attorno all’Eucarestia. Voglio che all’elevazione la gente capisca che Lui è qui, davvero. Non è teatro, non è pompa superflua: è abitare il Mistero. Anche il cuore ha bisogno di sentire». Lui insiste molto sulla responsabilità del sacerdote, anzi in un suo libro – ha scritto numerosi libri, e scrive ancora, a volte, canzoni – afferma che un sacerdote che abbia la chiesa vuota si deve interrogare; e anche: «È a noi, che manca il fuoco»…

«Il sacerdote – spiega – è Alter Christus, è chiamato a riflettere in sé Cristo. Questo non significa chiedere a noi stessi la perfezione; ma essere consci dei nostri peccati, della nostra miseria, per poter comprendere e perdonare chiunque si presenti in confessionale». In confessionale, padre Michel-Marie va tutte le sere, con assoluta puntualità, alle cinque, sempre. (La gente, dice, deve sapere che il prete c’è, comunque). Poi resta in sacristia fino alle undici, per chiunque desideri andarci: «Voglio dare il segno di una disponibilità illimitata». A giudicare dal continuo pellegrinaggio di fedeli, a sera, si direbbe che funzioni. Come una domanda profonda che emerge da questa città, apparentemente lontana. Cosa vogliono? «La prima cosa è sentirsi dire: tu sei amato. La seconda: Dio ha un progetto su di te. Non bisogna farli sentire giudicati, ma accolti. Occorre far capire che l’unico che può cambiare la loro vita è Cristo. E Maria. Due sono le cose che secondo me permettono un ritorno alla fede: l’abbraccio mariano, e l’apologetica appassionata, che tocca il cuore». «Chi mi cerca – continua – prima di tutto domanda un aiuto umano, e io cerco di dare tutto l’aiuto possibile. Non dimenticando che il mendicante ha bisogno di mangiare, ma ha anche un’anima. Alla donna offesa dico: mandami tuo marito, gli parlo io. Ma poi, quanti vengono a dire che sono tristi, che vivono male… Allora chiedo: da quanto lei non si confessa? Perché so che il peccato pesa, e la tristezza del peccato tormenta. Mi sono convinto che ciò che fa soffrire tanta gente è la mancanza dei Sacramenti. Il Sacramento è il divino alla portata dell’uomo: e senza questo nutrimento non possiamo vivere. Io vedo la grazia operare, e che le persone cambiano». Giornate totalmente donate, per strada, o in confessionale, fino a notte. Dove prende le forze? Lui – quasi pudicamente, come si parla di un amore – dice di un profondo rapporto con Maria, di una confidenza assoluta con lei. «Maria è l’atto di fede totale, nell’abbandono sotto alla Croce. Maria è assoluta compassione. È pura bellezza offerta all’uomo». E ama il rosario, l’umiltà del rosario, il prete della Canabière: «Quando confesso, spesso dico il rosario, il che non mi impedisce di ascoltare; quando do la Comunione, prego». Lo ascolti intimidita. Ma allora, tutti i preti dovrebbero avere una dedizione assoluta, quasi da santi? «Io non sono un santo, e non credo che tutti i preti debbano essere santi. Però possono essere uomini buoni. La gente sarà attratta dal loro volto buono». Problemi, in strade a così forte presenza islamica? No, dice semplicemente: «Rispettano me e questa veste». In chiesa accoglie chiunque con gioia, «anche le prostitute. Do loro la Comunione. Che dovrei dire, “diventate oneste, prima di entrare qui”? Cristo è venuto per i peccatori e io ho l’ansia, nel negare un Sacramento, che Lui un giorno me ne possa rendere conto. Ma noi sappiamo ancora la forza dei Sacramenti? Ho il dubbio che abbiamo troppo burocratizzato l’ammissione al battesimo. Penso al battesimo di mia madre, ebrea, che fu, quanto alla richiesta di mio nonno, solo formale: eppure, anche da quel battesimo è venuto un sacerdote». La nuova evangelizzazione? «Vede – dice al congedo, nella sua canonica claustrale – più invecchio e più capisco ciò che ci dice Benedetto XVI: tutto davvero ricomincia da Cristo. Possiamo solo tornare alla sorgente». Più tardi poi lo intravedi da lontano, per strada, con quella veste nera mossa dal passo veloce. «La porto – ti ha detto – perché mi riconosca uno che magari altrimenti non incontrerei mai. Quello sconosciuto, che mi è estremamente caro”».

Scienza e fede preziose alleate

«La ri­cerca scientifica porta alla cono­scenza di verità sempre nuove sul­l’uomo e sul cosmo, lo vediamo. Il vero bene dell’umanità, accessi­bile nella fede, apre l’orizzonte nel quale si deve muovere il suo cam­mino di scoperta. Vanno pertan­to incoraggiate, ad esempio, le ri­cerche poste a servizio della vita e miranti a debellare le malattie. Im­portanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella con­sapevolezza che l’uomo è al verti­ce della creazione non per sfrut­tarla insensatamente, ma per cu­stodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non en­tra in conflitto con la scienza, piut­tosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di ri­nunciare solo a quei tentativi che – opponendosi al progetto origi­nario di Dio – possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uo­mo stesso. Anche per questo è ra­gionevole credere: se la scienza è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo, la fede permet­te al progresso scientifico di rea­lizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno».
(Benedetto XVI nell’udienza di mercoledì 21 novembre 2012)