Unità di lavoro sulla religione – classi prime

Gli alunni delle classi prime stanno consegnando il lavoro proposto per questa prima parte dell’anno: si tratta di un volantino sulla scelta dell’IRC. In attesa che vengano pubblicati i lavori più carini, vi lascio il racconto di quanto trattato. Spero possa offrire spunti ai miei colleghi di religione, dai quali aspetto suggerimenti e critiche costruttive.

Quando i figli sono bulli

Propongo ai genitori una riflessione sul bullismo di don Antonio Mazzi .
«Il bullismo si sta scatenando pericolosamente tra la quasi indifferenza di tutti. Pare, secondo molti, sia meglio ignorare che prendere iniziative rischiando botte dai bulli e, qualche volta, penalità dalla “cosiddetta giustizia”. Dico “cosiddetta giustizia” non perché voglio demolire o offendere la giustizia ma perché le modalità e le interpretazioni che i vari pretori danno di certi fatti, sono spesso illogiche se non addirittura affrettate e poco obiettive. La ragazzina di dodici anni che si butta dal terzo piano stufa di essere derisa dai coetanei perché “cicciona” ci sta ancora impensierendo e preoccupando, incapaci di spiegarci perché accadano davanti ai professori fatti così gravi, ripetuti, maliziosamente devastanti, ed ecco spuntare un branco veronese di bullette strafottenti e scalmanate, che maltrattano sullo scuolabus una quattordicenne. Maltrattano significa: spintoni, calci, strappi di capelli, graffi al viso, fino ad una profonda ferita alla guancia sinistra. Il tutto era scoppiato perché, dall’inizio dell’anno, cinque ragazze tra i quattordici e i diciannove anni e un ragazzetto di quindici, facevano tutto quello che volevano sul pullman che ogni mattina li portava a scuola. Urlavano, deridevano i passeggeri e riprendevano su un social net-work le loro cafonate. La quattordicenne, stufa, aveva suggerito al branco di smettere di disturbare. Risultati zero. Anzi, da lì è scoppiato quello che oggi veniamo a conoscere. Non so e non voglio sapere cosa facessero tutti gli altri viaggiatori, perché non credo che sul pullman ci fossero solo sette persone più autista. Comunque, la ragazzina ferita e ridotta come ho descritto sopra, ha chiamato in aiuto la mamma e, poi, i carabinieri hanno fatto il resto. Perché questa bellissima città di Verona (è anche la mia città) offra così spesso scene penose e tristi, faccio sempre più fatica a capirlo. Alcuni critici e psicologi hanno avanzato interpretazioni abbastanza condivisibili ma quasi sempre negate e non accettate dalla città, che si è spesso ritenuta offesa. Eppure l’onestà ai tempi, oltre alla fedeltà, mi sembrava fossero due virtù riconosciute della VERONA FEDELE. Perciò non tento mie interpretazioni e tanto meno denuncie varie. Sono, però, convinto che i padri veronesi affascinati dal processo di profonda trasformazione del contesto culturale e industriale veronese, abbiano mollato il colpo come padri. Come sono convinto che le aggregazioni giovanili, oratoriane, sportive, cattoliche, scoutistiche, da sempre molto presenti (penso al grande movimento-progetto sugli “adolescenziali”) per assenza di adulti “preparati” e per magica fascinazione del nuovo “abito” indossato dalla città, facciano sempre più fatica a riprendere in mano la situazione. Quando tradiamo le radici, può accadere di tutto».
Fonte:  http://www.exodus.it/editoriali/editoriali/il-bullismo-dove-sono-i-padri-veronesi

Vivere da disabili non è un gioco

Da Popotus del 12 novembre 2013

«Super Mario Bros. è un celebre videogioco della Nintendo che ha impazzato nelle case degli adolescenti di mezzo Pianeta negli anni Novanta. Sullo schermo un simpatico idraulico, con tanto di tuta e baffoni, procede spedito in un fantasioso regno alla ricerca di una principessa: obiettivo, eliminare funghi impazziti (saltandoci sopra) e sconfiggere un mostro finale.
La stessa sorte tocca a Rosario, un giovane in sedia a rotelle di Oria (Brindisi): che spedito può procedere, sì, per le strade del suo paese, ma tra macchine e camion, visto che i marciapiedi sono inaccessibili, gli scivoli dissestati, le strisce pedonali inesistenti. Di qui l’idea di documentare con un video la sua giornata tipo e trasformarla in una partita del videogame: Rosario, come Super Mario, tenta di districarsi tra parcheggi selvaggi, farmacie e banche senza accesso per la carrozzella, ingorghi e lavori in corso. A ogni ostacolo superato, a sinistra dello schermo il punteggio sale. Ma mentre Rosario guadagna punti e acquista poteri speciali nel gioco, Oria finisce per diventare un mostro nella realtà: un paese incapace di aiutare una persona in difficoltà anche solo con piccole accortezze (cura dell’asfalto, pulizia dei marciapiedi, segnaletica e parcheggi).
Non a caso il videogioco è stato intitolato «Oria, questa è Sparta», ispirandosi al nome dell’antica città greca che non accettava la nascita di bambini imperfetti. E li faceva gettare da una rupe.
«Io vorrei solo la possibilità di poter fare quello che normalmente fa una persona qualsiasi nella propria città», spiega Rosario. Gli verrà data?»

Vi lascio il video.

Il Papa consiglia la “misericordina”

Angelus del 17 novembre 2013:

La “Misericordina” (…) “pubblicizzata” da Papa Francesco, che ne ha mostrata una scatoletta alla finestra, non è una medicina da farmacia! Ed il Papa stesso, parlando della “medicina” che stava per presentare ai fedeli lo ha detto chiaro “Non sono un farmacista”.
Ma che cosa è questa idea? Una trovata di pubblicità? No! Semplicemente, una preghiera. Quella del Santo Rosario, unità alla Coroncina della Divina Misericordia. E fa davvero bene, al cuore e soprattutto all’anima. La confezione è quella tipica di una qualsiasi medicina, con tanto di avvertenza sul contenuto: «59 granuli intracordiali». All’interno delle confezioni distribuite in Piazza San Pietro si trovano una corona del Rosario, un’immagine di Gesù misericordioso – con la scritta «Gesù confido in te» – ed il classico foglietto con posologia ed istruzioni per l’uso.
Un medicinale “altro”? In effetti, una semplice preghiera, anche più potente e che costa meno di un’Aspirina. Gli effetti, per chi crede, sono pero’ migliori.
Ed allora ecco le modalità d’uso, la posologia…. e le indicazioni varie!
CONTENUTO : 1 corona del Rosario, con la quale si può pregare anche ‘la coroncina della Divina Misericordia’
EFFETTI : Porta misericordia nell’anima, avvertita con una diffusa tranquillità del cuore. La sua efficacia è garantita dalle parole di Gesù.
APPLICAZIONE : Viene ‘applicato’ quando si desidera la conversione dei peccatori, si sente il bisogno di aiuto, manca la forza per combattere le tentazioni, non si riesce a perdonare qualcuno, si desidera la misericordia per un uomo moribondo e si vuole adorare Dio per tutte le grazie ricevute”. USO : Può essere applicato, sia dai bambini sia dagli adulti, tutte le volte che se ne avverte il bisogno. La somministrazione prevede la recita della Coroncina alla Divina Misericordia, promossa da Santa Faustina Kowalska. Non si riscontrano effetti imprevisti e controindicazioni. I Santi Sacramenti favoriscono l’efficacia del medicinale. Prima di usare il farmaco si consiglia di rivolgersi ad un sacerdote per ulteriori informazioni e di conservare le avvertenze in caso di riutilizzo.
Le scatole di ‘Misericordina’ sono state prodotte in migliaia di esemplari e in quattro lingue: italiano, spagnolo, inglese e polacco. L’iniziativa, che ha già avuto dei precedenti in Polonia, è stata promossa da monsignor Konrad Krajevski, elemosiniere pontificio. E’ un aiuto spirituale per la nostra anima e per diffondere ovunque l’amore, il perdono e la fraternità. Non dimenticatevi di prenderla, perché fa bene. Fa bene al cuore, all’anima e a tutta la vita”.
Dal sito http://www.papaboys.org

Una buona scelta

Gli alunni delle classi prime stanno lavorando sulla creazione di un volantino sulla scelta dell’insegnamento della religione a scuola. Come ulteriore contributo al loro lavoro, lascio il link al  video “Una buona scelta” realizzato dal Servizio IRC della diocesi di Milano.

 una buona scelta

Bibbia e animali parlanti

La Bibbia non è un libro di favole. Per i credenti non lo è proprio. Nella Bibbia gli animali non parlano, come invece accade nelle favole, se non in due soli casi.
Leggete qui:
«Quante volte abbiamo guardato negli occhi i nostri animali domestici e vi abbiamo letto quasi un pensiero? O, più probabilmente, abbiamo capito benissimo cosa fare per rispondere alle loro richieste. Nel libro dei Numeri, al capitolo 22, c’è il racconto di un uomo, Balaam, che ha la fortuna di riuscire a sentire la voce del proprio animale, un’asina. Un evento che accade dopo che, per ben tre volte, il padrone non ha capito cosa gli voleva dire con il suo comportamento la povera bestia. L’episodio è quasi unico nel suo genere in tutta la Bibbia, poiché, oltre all’asina di Balaam, solo a un altro animale è data la voce per rivolgersi agli uomini: il serpente nell’Eden.
Secondo la tradizione, però, il maligno, il diavolo, si cela dietro a questa creatura astuta che convince Eva a mangiare del frutto dell’albero che sta nel mezzo del giardino (il testo biblico non parla mai di una «mela»!). Nel mondo perfetto in cui vivevano Adamo ed Eva tutto è armonia ma il serpente, con le sue parole ambigue e tentatrici, crea divisione tra Dio e l’uomo. La parola «diavolo» deriva dal greco e significa proprio «colui che divide». Il serpente, infatti, convince Eva che non c’è errore nel conoscere il bene e il male, cioè nell’essere come Dio. Questa creatura che striscia, quindi, rappresenta la continua tentazione di metterci al posto del Creatore.
Totalmente diverso, invece, è il ruolo dell’asina di Balaam, che parla solo per far ragionare il padrone e condurlo sulla giusta strada, quella della volontà di Dio. Il risultato delle parole dell’animale, insomma, è totalmente opposto, perché avvicina l’uomo al Creatore. La storia è questa: un re pagano aveva mandato a chiamare Balaam perché maledicesse il popolo di Israele, che stava per occupare le sue terre. L’uomo, però, crede nello stesso Dio di Israele e perciò fa sapere che andrà dal re ma farà solo quello che gli dirà il Signore. Dio gli dà il permesso di andare ma per strada l’asina devia dalla strada o si ferma per tre volte: davanti a lei, infatti, appare un angelo che la blocca. Alla fine Balaam, che non capisce cosa stia succedendo, picchia l’asina. Per intervento di Dio, allora, la bestia si rivolge al padrone e gli fa notare che lei non si è mai comportata così e quindi le sue stranezze dovrebbero farlo pensare. A quel punto Balaam capisce e vede l’angelo, che lo avverte di andare pure dal re ma di fare solo ciò che vuole il Signore. Forse l’animale ha parlato davvero, o forse Balaam ha visto il suo stesso pensiero riflesso negli occhi dell’asina. Di certo in questo caso la creatura ha visto ben più del padrone ed è stata in grado di cogliere la presenza di Dio.
Il messaggio potrebbe essere questo: la natura alle volte ci mette alla prova, ma se sappiamo ascoltare davvero sapremo capire qual è la strada che ci viene indicata dal Signore».
Matteo Liut
in Poptus del 7 novembre 2013

Suor Mary Kenneth e l’informatica

La civiltà dei computer in cui siamo sempre più immersi ha un piccolo grande debito nei confronti di una suora. Si chiamava Mary Kenneth Keller, delle Suore della Carità della Beata Vergine Maria, una congregazione fondata nell’Ottocento in Irlanda ma che ha avuto negli Stati Uniti il suo principale campo di azione. Suor Mary Kenneth è stata la prima persona a ottenere un dottorato in informatica negli Stati Uniti, nel 1964, dall’Università di Wisconsin-Madison.
Lo ha dimostrato quest’anno, dopo uno scavo meticoloso, uno storico dell’informatica dell’Università di Portland, Ralph L. London. Ma non è stato questo l’unico dei suoi primati. Per dirne un altro, nel 1958 fu la prima donna a essere ammessa al futuristico computer center dell’Università di Darmouth, nel New Hampshire, in anni in cui per lo statuto del centro, oggi fa effetto pensarci, erano ammessi ai lavori soltanto uomini. Suor Mary Kenneth entrò in laboratorio con il suo velo preconciliare da Sister Act e ne uscì guadagnandosi la stima di ruvidi colleghi abituati a parlarsi tra loro in linguaggio macchina. Diede tra l’altro un contributo allo sviluppo di un altro linguaggio, semplice ma duttile e potente, il Basic, che debuttò pochi anni dopo implementato su un calcolatore di Dartmouth e che negli anni Settanta e Ottanta avrebbe permesso il boom dei personal computer.
Quest’anno suor Mary Kenneth avrebbe compiuto cent’anni: era nata infatti nel 1913 a Cleveland. Era entrata in noviziato a diciannove anni, dopo aver frequentato le scuole delle Suore della Carità. Vista la sua attitudine agli studi sia umanistici sia scientifici la congregazione l’aveva messa subito a insegnare, ma il talento era tale che, dopo aver professato i voti perpetui nel 1940, benché non fosse usuale allora investire sulla formazione accademica di una religiosa, a suor Mary Kenneth fu permesso di prendersi una laurea in matematica alla Università DePaul di Chicago. Qui fece un incontro che le cambiò la vita, quello appunto con un computer. «Andai a vederne uno e non tornai più indietro», ricordava da anziana.
Negli anni Cinquanta le sue alunne adolescenti l’ascoltavano un po’ stranite quando le spronava a interessarsi a quegli elaboratori sofisticatissimi allora appannaggio di centri specializzati, perché «non ci sono abbastanza persone in grado di usarne uno – diceva – e presto sarà un’emergenza». Vedeva lontano, senza dubbio. Poi venne il dottorato in informatica, alla non tenera età di cinquant’anni, che concluse con una tesi sull’elaborazione di algoritmi per la soluzione analitica di equazioni differenziali, scritti in linguaggio Fortran 69.
Quel dottorato suor Mary Kenneth l’aveva ottenuto anche a coronamento dei suoi sforzi pionieristici. Un anno prima aveva introdotto a scuola un prototipo del Bi-Tran Six, un computer pensato per l’apprendimento dell’informatica da un’azienda di Minneapolis. Finito il dottorato la sua attività si spostò al Clarke College di Dubuque, una tranquilla cittadina al confine tra Iowa e Wisconsin, dove le venne offerta una cattedra. Lì mise in piedi il dipartimento d’informatica che diresse per quasi vent’anni. Soprannominata “il computer di Clarke”, i suoi ex studenti la ricordano come silenziosa e dal portamento austero, ma generosa nell’insegnamento e dalla battuta tagliente.
Divenne un’autorità e un punto di riferimento per chi si occupava di informatica. Consulente per diverse aziende, sviluppò programmi per la gestione del bilancio dello Stato dell’Illinois, per ospedali e per l’amministrazione di Dubuque. Con i proventi di quei lavori extra potenziò il dipartimento di Clarke, facendolo diventare un centro di eccellenza. Anche Richard Buckminster Fuller, uno dei più eclettici architetti e inventori statunitensi del Novecento, famoso per le sue cupole geodetiche, si rivolse alla religiosa programmatrice per imparare a usare il computer nei suoi progetti, con una serie di lezioni intensive. Ne uscì euforico.
Suor Mary Kenneth si occupò di vari ambiti, comprese le ricerche sull’intelligenza artificiale, ma il suo pallino rimase sempre quello dei computer come supporto all’istruzione e la formazione di personale capace sfruttare le potenzialità della rivoluzione informatica. Con un accento sulla necessità di personale femminile, non solo maschile. In questo seguì il carisma pedagogico della sua congregazione, in modo tanto singolare quanto lungimirante.
Alla sua morte nel 1985 le consorelle parlarono di lei come di una religiosa esemplare, con una vita di pietà incentrata sul mistero della Trinità e sulla ricerca in ogni ambito della volontà di Dio, come testimoniato anche dalle sue lettere e dalle sue carte private. Il computer, scriveva, l’aveva aiutata ad esercitare due virtù: l’umiltà, perché gli errori non sono della macchina ma del programmatore, e la pazienza, nelle infinite operazioni di de-bug”, nel cercare le linee di codice contenenti errori e correggerle. La sua vocazione al servizio, in particolare, fu salda fino all’ultimo.
Come ricorda Jennifer Head, l’archivista delle Suore della Carità che ha raccolto materiale e testimonianze sulla sua vita, quando si ammalò di cancro, nel 1983, fu ricoverata a Marian Hall, una casa di cura per anziani in Pennsylvania. Si fece portare un personal computer, un Apple IIe, e organizzò un corso per i degenti. La sua classe risultò composta da dodici studenti, di cui quattro in carrozzina, due con le stampelle e uno quasi cieco, età media vicina agli ottanta. Con il suo Apple aiutò la casa di cura a organizzare i pasti, con menù più equilibrati dal punto di vista nutrizionale, monitorando le esigenze dietetiche degli ospiti e i medicinali che dovevano prendere. Smise solo quando il dolore ebbe il sopravvento.

 Andrea Galli in Avvenire del 20 ottobre 2013