Error Day: 29 febbraio 2014 – giornata mondiale dell’errore

Il 29 febbraio 2014 è la Giornata mondiale dell’errore. Peccato che il 29 febbraio quest’anno non ci sia…cominciamo proprio bene! D’altra parte, se si tratta di celebrare gli errori …..
Dal 28 febbraio al 2 marzo, un po’ per ridere e un po’ anche per fare cultura, Bologna si prepara a festeggiare l’errore con un festival di tre giorni.

L’attrice comica Clelia Sedda ha ideato e dirige la manifestazione, insieme ad Alessandra Berardi e Monica Dematté. L’errore, spiega, «è tragico, ma in alcuni casi molto divertente. E noi vogliamo celebrare quanto a lui dobbiamo in termini di crescita personale e conoscenza collettiva».

Dal Quotidiano Nazionale del 26 febbraio l’intervista di Benedetta Cucci all’ideatrice della manifestazione.

Come le è venuto in niente di dar vita alla giornata dell’errore, per di più il 29 febbraio che quest’anno non c’è e con giornate celebrative che coinvolgono varie forze intellettuali cittadine?
«L’errore è un tema da salotto ma anche scientifico e io ho iniziato ad affrontarlo anni fa, quando ho cominciato a studiare la scienza, che dà risposte fino ad un certo momento storico. Da varie riflessioni, conversazioni, libagioni e ragionamenti con le amiche e collaboratrici dell’Errar Day, ovvero Monica Dematté e Alessandra Berardi, è nata l’idea di una giornata mondiale dell’errore».
Ma perché ha deciso di occuparsi dell’errore con tanta tenacia?
«Devo andare molto indietro col tempo, avevo 9 anni e vivevo a Tempio Pausania in Gallura, quando ho iniziato a voler essere perfetta. Mi son sempre negata le cose facili e mi sono imposta una vita infernale in cui ho fatto tanti errori, scegliendo quello che non potevo controllare, ma arrivando, alla fine, a raggiungere una vita meravigliosa».
Quindi sbagliando s’impara, per dirla in maniera facile, ma ancora tante persone non accettano di “fallire”. Le giornate serviranno a dare speranza?
 

«Credo che se potessimo avere il controllo sulla nostra vita e decidere cosa voghamo essere, diventeremmo mostruosi. Mi viene in mente Michael Jackson che aveva tutto ma ha deciso di disegnarsi come voleva. La nostra ricerca della perfezione ci mette di fronte ai nostri limiti, ci fa crescere e ci rende felici».
Allora potremmo dire che questo è anche un po’ il festival dell’ottimismo…

«È vero, io ad esempio sono fortunata perché ho il dono della contentezza, sono felice e le assicuro che non ne ho nessun motivo. Ma lo sono perché ho accettato la mia imperfezione. Fare errori e accettarli funziona e può rendere felici. Tante cose fondamentali nella scienza e nell’arte sono nate grazie ad un errore».
Il suo errore preferito?
«Quello di pensare bene di tutti fino al contrario».

Sulla magia e altro

Ai ragazzi di terza lascio due pagine tratte dal libro Religione perché? di S.BOCCHINI – P. BUTTIGNOL – P.CABRI – D. PANERO, EDB Vol. 2,  che hanno come tema la magia, la superstizione e il diavolo.
Buona consultazione!

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La disponibilità affettiva è più vitale del cibo

«La psicanalisi ha scoperto che la dispo­nibilità affettiva è più vitale del cibo: ap­pena nato, il neonato si arrampica verso il seno e la madre lo accoglie, se lo la­sciasse cadere sarebbe preda degli ani­mali. Significa che prima scatta l’attac­camento, poi c’è il cibo. Portato ai giorni nostri, dagli atteggiamenti affettivi di­pende la sopravvivenza della specie. Da qui l’importanza della famiglia. 

La famiglia è un’entità naturale i cui co­dici affettivi materno e paterno sono pre­disposti biologicamente proprio per la sopravvivenza della specie. Rispetto le coppie omosessuali, ma non sono cop­pie fertili e questo qualcosa vuol dire. Il mio no è assoluto a tutto ciò che violen­ta la natura, in primo luogo l’utero in af­fitto, un business inaccettabile che cal­pesta la donna e il nascituro.
(…) è provato scientifica­mente che nell’utero il bimbo conosce il benessere assoluto, una felicità suprema dal concepimento alla nascita. Perché la natura gli ha dato questa felicità pre-vi­ta? Perché entrando nella vita la ricerchi, avendola conosciuta, e la funzione geni­toriale non è dirgli “è finita” ma “ti inse­gno come ritrovarla”. Migliorare la storia dell’uomo è il primo ruolo di ogni geni­tore e poi lo sarà di quel figlio, che incu­bato nell’amore restituirà la cura».

 Giuliana Mieli, psicoterapeuta, intervistata da Lucia Bellaspiga, in Avvenire del 4 febbraio 2014 

I bambini e il gioco. E’ meglio fuori casa

Dall’articolo “Dove giocano i bambini? Meglio se è fuori casa” di Umberto Folena.

Giocate, bambini, giocate. Con i vostri amici, inventandovi gio­chi sempre diversi. Lontano da­gli sguardi apprensivi degli adulti. Gio­cate all’aperto, perché soltanto quello là fuori è vero gioco. Parola di France­sco Tonucci, responsabile del progetto internazionale ‘La città dei bambini’ del Cnr. Da anni lui e l’Azione cattolica ragazzi (Acr) s’incontrano e collabora­no. Viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. E così è nato il progetto ‘Dove andiamo a giocare?’, una grande inda­gine sul territorio per scoprire dove e come giocano bambini e ragazzi italia­ni. L’Acr distribuirà capillarmente un questionario, che comincia con questa domanda cruciale: «Ti capita durante il tuo tempo libero di giocare fuori casa?». Ma avercelo il «tempo libero», quando troppi genitori sembrano presi dalla fre­nesia di riempirglielo tutto, il tempo ai loro figli. E «fuori casa», dove sono in agguato i lupi… «Sa quanti bambini ita­liani tra i 6 e gli 11 anni vanno a scuola da soli? Il 7 per cento» scuote il capo To­nucci, padre e nonno. E negli altri pae­si? «In Germania il 75, in Norvegia il 90». I genitori italiani saranno pure partico­larmente apprensivi, ma i pericoli ci so­no davvero. La loro, quindi, è appren­sione patologica o saggia prudenza? «A Pesaro – racconta Tonucci – abbiamo avviato un progetto, in dieci scuole, per incoraggiare i bambini ad andare a scuola con gli amici, senza adulti. Do­po dieci anni ho interpellato la Polizia municipale. Quanti bambini soli erano stati vittime di incidenti? Zero. E quan­ti bambini in automobile con i genito­ri? Nove. Paradossalmente, è molto più pericoloso farsi accompagnare…». Giocare è dunque importante, ma non tutti i giochi sono uguali. «Le esperien­ze dei primi giorni, mesi e anni della propria vita sono decisive – spiega To­nucci – e si fanno giocando. ‘Gioca’ la mamma quando allatta e accarezza il suo bambino; si gioca per esplorare il mondo. Tramite il gioco, l’individuo po­ne le basi del suo futuro». Ma perché è così importante giocare fuori casa, con gli amici, senza lo sguar­do assillante degli adulti? «Il verbo gio­care non può accompagnarsi con i ver­bi accompagnare, controllare e sorve­gliare; va d’accordo solo con il verbo la­sciare. Il bambino che non esce di casa non incontra bambini sconosciuti e non elabora strategie per conoscerli; né po­trà stabilire se sono buoni compagni di giochi da cercare ancora, o al contrario da evitare». Oggi i bambini italiani gio­cano a giochi organizzati dai grandi… «Hanno amici ‘coatti’, i compagni di scuola e i figli degli amici dei genitori. Tutti coetanei. Invece dovrebbero fre­quentare anche bambini più grandi, che sanno di più, dai quali apprendere. Sa che cosa le dico? Se un bambino non ha vissuto queste esperienze, farà mol­ta fatica a scegliersi il compagno o la compagna giusti per la vita». Giocare fuori, infine, per scaricare le e­nergie fisiche. Per correre, sporcarsi, li­tigare… «Davanti alla tv – scuote il capo Tonucci – è facile che si rimpinzi di por­cherie. I pediatri sono convinti che l’o­besità infantile procuri danni peggiori perfino del fumo. E le cause sono due, scarso movimento e cibo cattivo». Il bambino a cui è impedito di ritagliar­si spazi di autonomia, fuori casa, rischia di maturare un forte bisogno di tra­sgressione che esploderà appena si ve­rificheranno le condizioni minime, da adolescente. «Bullismo, vandalismo, in­cidenti stradali, abuso di sostanze, ses­so scriteriato… non dipendono diretta­mente dagli errori educativi dell’infan­zia, ma di sicuro vi hanno a che fare». «Troppi genitori sembrano convinti di avere di figli tonti», sorride Tonucci. In­vece si sanno arrangiare, se gliene dia­mo la possibilità. Il progetto con l’Acr procurerà materiale utile per rendere più accessibile il diritto al gioco. Quello vero, quello ‘fuori’.
(Avvenire del 18 gennaio 2014)

Sul registro elettronico

Per quanto abbia un approccio positivo nei confronti della tecnologia, faccio mie le perplessità sollevate da Roberto Carnero su Avvenire del 18 gennaio 2014:
«Nel mio liceo da settembre è diventato ob­bligatorio l’utilizzo del registro elettroni­co di classe, mentre – quanto al registro personale di ogni docente – si è lasciato a ciascuno di noi la facoltà di scegliere se u­tilizzare, anche qui, il registro digitale, op­pure se continuare a usare quello cartaceo ancora per un anno (l’ultimo, perché dal prossimo anno scolastico sarà obbligato­rio per tutti quello elettronico). Confesso di aver scelto il registro cartaceo, come hanno fatto molti altri colleghi. Non tan­to per pigrizia o per misoneismo, quanto per una pratica ragione di prudenza: con la connessione Internet che va e viene, che un giorno si blocca e l’altro pure (nella mia scuola, ma, a quanto mi dicono, nella maggior parte degli istituti statali), mi preoccupava il fatto di potermi trovare qualche mattina a non poter accedere ai dati. Man mano che le settimane sono passate, mi sono convinto di aver fatto la scelta giusta. Perché sono molte le la­mentele dei colleghi che invece hanno a­derito alla sperimentazione: lamentele che non riguardano soltanto la mera questio­ne tecnica della connessione, ma una più ampia e più seria tematica pedagogica. Poiché con il registro elettronico i genito­ri degli studenti possono accedere, trami­te password, ai dati dei loro figli (assenze, voti ecc.), cioè a un’informazione in tem­po reale della situazione scolastica, si by­passa la mediazione dello studente, an­dando a creare un rapporto diretto tra do­cente e genitori. Si tratta però di un rap­porto solo apparente: l’informazione del registro è ‘grezza’, si riferisce solo ai dati quantitativi (i voti) e non può in alcun mo­do sostituire una vera relazione scuola­famiglia, che è data soltanto dall’incontro e dal confronto diretto e personale tra in­segnanti e genitori. C’è poi un altro problema, ancora più se­rio, rappresentato dal rischio di favorire una de-responsabilizzazione degli stu­denti rispetto alla condivisione delle si­tuazioni scolastiche con la famiglia. Que­ste informazioni in tempo reale costitui­scono un pericolo per l’autonomia della crescita degli studenti, concorrendo (in­sieme con il telefonino, che qualcuno non a torto ha definito «guinzaglio virtuale») a quel «controllo elettronico» a distanza, che spesso genera nei ragazzi una certa ansia e può avere un effetto regressivo nei rap­porti con i loro genitori».
Che ne pensate?


Ci siamo… pronti per la scelta della scuola superiore?

Come si suol dire, il dado è tratto.
Ovvero ormai i giochi dovrebbero essere fatti.
Insomma, per farla breve, bisogna iscriversi alla scuola superiore.
Vi ho già indicato alcune informazioni sulle scuole nel post del 18 gennaio 2014. Vi aggiungo il link dal Miur per conoscere le diverse proposte, che trovate cliccando qui.
Continuo a “tormentarvi”, proponendovi un test dal titolo “Come ti vedi e prevedi?” che vuole aiutarvi a riflettere sul vostro modo di preperarsi ad affrontare le scelte future. E’ tratto da MondoErre e lo potete scaricare cliccando sull’immagine.
Ragazzi….buona scelta!!!

http://www.mondoerre.it/download/00PERSONALE_2014_img/01/Rubriche/supertest201401.pdf