La pace non si può comperare

La pace non si può comperare: essa è un dono da ricercare pazientemente e costruire «artigianalmente» mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana. Il cammino della pace si consolida se riconosciamo che tutti abbiamo lo stesso sangue e facciamo parte del genere umano; se non dimentichiamo di avere un unico Padre celeste e di essere tutti suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza.

papa Francesco nel suo viaggio in Terra Santa (Amman, 24 maggio 2014)

La scuola che vorrei sta in Finlandia

Siamo all’ingresso dell’istituto superiore Lauttakylän lukio, a Huittinen, in Finlandia, seguiamo dove si posa lo sguardo di trenta studenti italiani.
“Io mi sento a casa in una scuola dove, appena entri, a destra l’appendi casco e soprabito e di fronte trovi le poltrone e un tavolinetto verso la vetrata. E questa è una scuola. Finlandese”.

Eleonora non resiste: “I lavandini nei corridoi? Ma in tutti i piani? Ah: in tutte le aule!”. Il preside Timo annuisce e spiega che i bagni, invece, si trovano solo al pian terreno”.

La dirigente Agnese Ivana Sandrin, liceo artistico Osvaldo Licini di Ascoli Piceno, si rende subito conto di essere davanti un dato di fatto: “La didattica dura 75 minuti e seguono sempre 15 minuti di pausa. Positivo, non c’è più bisogno di uscire durante la lezione, come avviene in Italia, interrompendo e perdendo tempo”.
Cosa succede in queste pause? Vediamo cinque ragazze che stanno riorganizzando gli appunti sedute in quello stesso tavolinetto che tanto ha colpito i nostri trenta studenti all’ingresso.

Dice la professoressa Matilde Di Silvestre: “Molto del nostro tempo è speso a controllare i ragazzi, in aula e nei cambi dell’ora, nella ricreazione. In Finlandia vige una legislazione evidentemente diversa sulla responsabilità penale dei docenti”. Oppure, precisa la professoressa Caty Gaspari, “è una scuola, quella finlandese, che rende completamente responsabili gli adolescenti del loro percorso scolastico”.
Restano sorpresi i nostri ragazzi nel constatare l’approccio diverso, cresce il desiderio di una scuola come quella finlandese: che chiede fiducia e la dà.
Una scuola che accoglie, in ambienti confortevoli, studiati: “Colori differenti per ciascun piano, tendaggio abbinato, con il kit di pulizia in ogni classe”. C’è l’aula di storia, con i presidenti e i ritratti dei premi Nobel alle pareti, ci sono le aule di chimica. Ogni spazio è dotato di tecnologie avanzate, le aule di lingue ed informatica sempre in funzione, anche durante il periodo degli esami. Infatti le scuole della Finlandia hanno 75 insegnamenti in tre anni, dove molti sono a scelta degli studenti, con cinque periodi di studio, di 6 o 7 settimane, anziché i quadrimestri. Al termine dei quali seguono le verifiche. Se uno studente non supera una materia può riprovare poche settimane dopo, per due volte. “E alla terza?”, chiede Sara al preside. “Alla terza ripetono il corso e al termine delle 7 settimane sosterranno la prova”.

I ragazzi sono sempre più stupiti: “Nessuna bocciatura allora, basso abbandono scolastico, non servono assenze per evitare i compiti e le interrogazioni, quel professore o quell’insegnamento, niente mal di pancia improvvisi, la paura di andare a scuola, niente terribili compiti in classe annunciati solo tre giorni prima”. Inoltre in Finlandia è stabilita un’interruzione funzionale per permettere agli allievi di studiare: si situa tra il periodo di lezioni e il periodo di verifica.
Anche tra un corso e l’altro vi possono essere buchi di ore. E’ il caso di Eeli, al primo anno, che ne approfitta per studiare francese in una delle aule attrezzate in cui la incontriamo.

Debora esclama: “Nulla è lasciato al caso. In ogni aula i banchi hanno angoli diversi in base ai bisogni, sono affascinanti quelli pentagonali, che creano nuove forme e nuovi gruppi per favorire la collaborazione. Se dovessi scegliere un oggetto da portare in Italia, porterei questo: il banco. E’ la sintesi di questa scuola, dove tutto è pulito e funziona”. Sorride: “C’è persino l’appendi borsa”.
Scatta una voglia nei ragazzi: migliorare anche se stessi, i propri ambienti. “Abbiamo una proposta per il nostro liceo, è il nostro tempo, progettiamo insieme partendo dagli spazi per renderli più gradevoli, meglio organizzati, abbiamo capito che dipende anche da noi”.
L’esperienza della visita in Finlandia sta segnando gli studenti e i docenti. Sono arrivati per uno stage – dice Sami Malinen rettore del West Finland College, al più antico istituto finlandese, nato nel 1892 – per sperimentare il canto e la drammatizzazione in lingua inglese. Non erano ancora del tutto consapevoli che sarebbero stati coinvolti in un confronto con uno dei sistemi di eccellenza europeo.
L’Europa, appunto. L’attenzione degli studenti si focalizza su una pagina di un giornale, un’infografica che confronta le età necessarie per candidarsi alle prossime elezioni. Un tema di confronto, che nasce all’interno di un’aula scolastica, tra gli studenti italiani e gli studenti finlandesi. Mentre gli studenti italiani si sorprendono di una scuola che “dà fiducia e rende responsabili”, scoprono inoltre che i loro coetanei possono candidarsi a 18 anni mentre loro, i ragazzi italiani, dovranno aspettare ben altre due elezioni per poter ambire ad esercitare lo stesso diritto. Infatti l’Italia, in compagnia delle sole Grecia e Cipro, fissa a 25 anni la soglia di partecipazione.
Cosa vi lascia la Finlandia? “Torneremo, nelle nostre aule scolastiche, come alunni e cittadini più consapevoli”.

Benedetta Cosmi in http://foreignaffairs.corriere.it/2014/05/22

Perché amo la scuola

«Perché amo la scuola? Proverò a dirve­lo.
Ho un’immagine. Ho sentito qui che non si cresce da soli e che è sempre u­no sguardo che ti aiuta a crescere. E ho l’immagine del mio primo insegnante, quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello del­la scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola. E poi io so­no andato a trovarla durante tutta la sua vita fino al momento in cui è man­cata, a 98 anni. E quest’immagine mi fa bene!
Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amarla. Que­sto è il primo motivo perché io amo la scuola. Amo la scuola perché è sinoni­mo di apertura alla realtà. Almeno co­sì dovrebbe essere! Ma non sempre rie­sce ad esserlo, e allora vuol dire che bi­sogna cambiare un po’ l’impostazione.
Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbia­mo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà.
An­dare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare – è questo il segreto, impa­rare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aper­ta alla realtà! (…)
Un altro motivo è che la scuola è un luogo di incontro. Perché tutti noi sia­mo in cammino, avviando un proces­so, avviando una strada. E ho sentito che la scuola – l’abbiamo sentito tutti oggi – non è un parcheggio. È un luogo di incontro nel cammino. Si incontra­no i compagni; si incontrano gli inse­gnanti; si incontra il personale assi­stente. I genitori incontrano i profes­sori; il preside incontra le famiglie, ec­cetera. È un luogo di incontro. E noi og­gi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per a­marci, per camminare insieme. E que­sto è fondamentale proprio nell’età del­la crescita, come un complemento al­la famiglia. La famiglia è il primo nucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci ac­compagna sempre nella vita. Ma a scuola noi “socializziamo”: incontria­mo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine, per capa­cità. La scuola è la prima società che integra la famiglia. La famiglia e la scuo­la non vanno mai contrapposte! Sono complementari, e dunque è importan­te che collaborino, nel rispetto reci­proco. E le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnan­ti. Questo fa pensare a un proverbio a­fricano tanto bello: “Per educare un fi­glio ci vuole un villaggio”. Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente: fami­glia, insegnanti, personale non docen­te, professori, tutti! Vi piace questo pro­verbio africano? Vi piace? Diciamolo insieme: per educare un figlio ci vuole un villaggio! Insieme! Per educare un figlio ci vuole un villaggio! E pensate a questo. E poi amo la scuola perché ci e­duca al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è ne­gativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, per­sino può corromperla. E nell’educa­zione è tanto importante quello che ab­biamo sentito anche oggi: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vit­toria sporca! Ricordatevelo! Questo ci farà bene per la vita.
Diciamolo insie­me: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Tutti in­sieme! È sempre più bella una sconfit­ta pulita che una vittoria sporca!»

Papa Francesco, in occasione dell’incontro con il mondo della scuola, Roma 10 maggio 2014

Credere

Pensate alla vita come un viaggio. Pensate al suo inizio e alla sua fine.
La morte è la fine di questo viaggio? O questo viaggio, iniziato con la nascita, ha “un fine”?
I cristiani, come molti fedeli di altre religioni, credono che la morte non sia la fine di tutto, e quello che accade dopo sia legato a quanto compiuto in vita.
Non approfondisco l’argomento, ma voglio proporvi un dialogo immaginario, attraverso questa storia di Guru PV Zen.

Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè.

Uno di loro chiese all’altro:
– Tu credi nella vita dopo il parto?
– Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello che saremo più tardi.
– Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?
 – Non lo so, ma sicuramente… ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca.
– Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale è la via d’alimentazione … Ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto.
– Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui.
– Però nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla.
– Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremmo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
– Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora?

Dove?
– Tutta in torno a noi! E’ in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe.
– Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista.
– Ok, ma a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai? … Io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta e che ora soltanto stiamo preparandoci per essa …
– Sarà ma io mi fido poco o nulla di quello che non vedo…