Un mondo senza insegnanti

Ci avete mai pensato? Come sarebbe un mondo senza insegnanti?

I puri di cuore

Ricordate le Beatitudini? Beati i puri di cuore, dice Gesù. Ma cosa vuol dire essere “puri di cuore”?
Per rispondere mi faccio aiutare dall’articolo di suor Maria Cristina Cruciani, pubblicato su Avvenire dell’11 luglio.
Fin dalle origini ci furono uomini dal cuore puro che camminarono con Dio come Abele, Enoc, Noè… come Abramo, che Dio affinò nella fede perché fosse del tutto pura: gli chiese il figlio affinché Abramo non amasse Dio perché glielo aveva dato mantenendo le promesse, ma perché Dio è Dio. Soltanto per questo!
E Abramo seguì il Signore: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1). Poi ci fu Giacobbe: «Ho visto Dio e sono rimasto vivo e chiamò quel luogo Penuel», volto di Dio (Gen 32,31).
Giacobbe non è più l’imbroglione ma Israele, riceve come una nuova identità, diremmo un cuore nuovo dall’incontro trasformante con Dio e ne porta i segni nel corpo: zoppicava quando oltrepassò Penuel. L’incontro con Dio, vedere Dio lascia il segno e nulla è più come prima. Quando Giacobbe-Israele ha il cuore guarito e ha visto Dio può incontrare suo fratello.
La struggente nostalgia del volto di Dio si traduce per Mosè in supplica ardita: «Mostrami la tua gloria» (cfr. Es33,18).
Allora Dio rispose a Mosè che neppure lui avrebbe potuto vedere il volto di Dio senza morire, ma accadrà che l’uomo potrà vedere il volto di Dio nel volto umano del Signore Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre mio» (Gv 14,9) tanto che ormai possiamo anche raffigurare Dio nel volto ‘sindonico’ del Signore Gesù, splendore della gloria del Padre e luogo ove abita la pienezza di Dio.
Più oltre, dopo Mosè, troviamo nelle Scritture che Dio nello scegliere per Israele un re, ne guarda il cuore: Saul, Davide e quindi i profeti come Geremia, Isaia e infine il Servo del Signore…
Sono poi in particolare i Salmi che si preoccupano del cuore, inteso appunto come la sede della volontà, delle decisioni, come la coscienza che va anche formata, plasmata, purificata, affinata. Subito il Salmo 1 proclama la beatitudine di chi si compiace della legge del Signore e non segue il consiglio degli empi, non indugia con i peccatori; offrire sacrifici di giustizia e cercare il volto del Signore ricolma il cuore di gioia, dice il Salmo 4; il Signore è difesa di chi ha il cuore buono… Ne potremmo citare molti!
L’Orante si preoccupa del cuore perché il Signore conosce cosa c’è nell’uomo, i suoi pensieri e i desideri del suo cuore. «Chi salirà il monte del Signore? – dice il Salmo 23 -, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» e – potremmo dire – chi non solo non dice menzogna ma non vive nella menzogna. Vivere nella menzogna significa avere un cuore occupato dagli idoli che non sono Dio ma solo inganno.
Giungendo quindi al Nuovo Testamento, incontriamo Gesù, il Figlio amato che il Padre ha dato nella potenza dello Spirito perché tanto ha amato il mondo.
Il cuore di Gesù, ossia la sua coscienza di Figlio, è la nostra forma, il termine di paragone, fino a: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2).
Com’è Gesù? L’evangelista Matteo ci solleva un poco il velo del cuore di Gesù: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre vite » (Mt 11,28-30).
Dal corpo risorto di Gesù è riversato nei nostri cuori lo Spirito Santo, cioè la forza risanatrice e purificatrice di Dio che crea in noi un cuore nuovo, un cuore di carne al posto del cuore di pietra; diciamo meglio: un cuore di figli! […]
La vita cristiana è una storia di purificazione del cuore, di rigenerazione profonda, nell’intimo, come una rinascita e un divenire ciò che si è per grazia. Infatti, insegna Gesù, è l’intimo dell’uomo che è inquinato: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca… Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo» (Mt 15,19). Nessuno avrebbe potuto sanare da sé il suo cuore se lo Spirito di Gesù risorto non fosse stato dato. Ecco che bisogna accettare di essere salvati. Occorre divenire piccoli, come i bambini, o meglio come «il piccolo» del Padre che è Gesù.
[…] Chi è dunque colui che è capace di vedere Dio e non morire? La Bibbia risponderebbe così: colui che non va dietro agli idoli, di qualunque genere essi siano, conosce la gioia di essere salvato e riconosce di essere bisognoso, incapace di salvarsi da solo e peccatore, e sa che quando Dio lo accusa, in qualche modo, ha ragione e lo vuole salvo, vivo! È insomma un uomo nella verità, che non si mette al posto di Dio, a lui si affida e si fida di lui, è felice di Dio! È contento di essere creatura.
Con uno così Dio può fare meraviglie ed egli può divenire tutto luce come Dio è luce, semplice come Dio, essere buono come è buono Dio, fatto di cuore buono, trasparente, limpido, tutto pieno di Spirito Santo […].
Quando vedete un uomo o una donna, belli di una luce interiore, luminosi, pieni di gioia, semplici, non preoccupati di ciò che di loro si può dire o pensare, gente che non ha più nulla da perdere perché hanno dato e consegnato tutto di sé, queste persone vedono Dio. Vivono alla luce del suo volto come in un liquido amniotico «perché in lui siamo, ci muoviamo ed esistiamo », ripeté Paolo agli ateniesi.
Esse vivono alla sua presenza, sanno che egli c’è e ne contemplano i segni nei fratelli e sorelle, negli eventi, negli incontri, nella creazione. Essi hanno acquisito la sapienza, come invita a fare il profeta Baruc la notte di Pasqua: imparate la sapienza, fate come le stelle: il creatore le chiama ed esse dicono: eccoci! E brillano di gioia alla sua presenza.
Un uomo vero, trasparente, puro, semplice, somigliantissimo a Dio, è beato, è nella gioia, già qui sulla terra. Viene alla mente l’umile Serafino di Sarovche insegna al suo discepolo Motovilov un messaggio per tutti: «Lo scopo della vita cristiana è acquisire lo Spirito Santo», cioè avere la vita divina in noi, essere divinizzati: tu sei nello Spirito Santo, e dunque sei tutto luce e calore. Questa è l’esperienza del puro di cuore.

Desiderare il calice della salvezza

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Osserviamo questa immagine. Si tratta di una tela della Scuola di Guido Reni che ritrae la Sacra Famiglia a tavola.
La scena è tenerissima e del tutto domestica: Gesù siede fra Giuseppe e Maria a una tavola rotonda, rimando alla dimensione eterna di quella mensa. Gesù e la Madonna vestono il medesimo colore rosso perché, come scrisse Tertulliano, Caro Christi, caro Mariae. Essi condividono la medesima carne e, sia pure in forma molto diversa, il medesimo sacrificio.
La Madonna non è protagonista dello svolgimento di quella scena, anzi osserva compiaciuta ciò che accade. È Giuseppe a prendere l’iniziativa.
Dalla bottiglia collocata in primo piano, il padre putativo ha attinto il vino versandolo nella coppa che porge al Figlio. Il divino Infante, avvolto in un largo tovagliolo per non sporcarsi, segno evidente della sua umanità, ha un attimo d’incertezza. Lo sguardo, bellissimo, esprime da un lato la naturale diffidenza dei bambini verso il vino, dall’altra lascia indovinare il rimando simbolico di quella bevanda. Un giorno Cristo, nell’orto, pregherà che passi da lui quel calice; la stessa domanda balena anche ora, nell’inconscio di quel Dio Bambino.
Il calice in tutta la Sacra Scrittura è legato al destino, spesso inteso come destino avverso. Il vino invece è associato soprattutto alla gioia e alla festa.

Sorte e felicità trovano un prezioso sodalizio nel sangue di Cristo, il quale, mentre è versato sulla croce (compiendo un destino avverso), diventa per tutti calice di salvezza e dunque pegno di un destino felice.

In tempi calamitosi come i nostri, il simbolo del Graal (il leggendario Graal, che raccolse non solo il vino dell’Alleanza Nuova, ma anche il Sangue del Redentore versato sulla croce) fa pensare alla leggenda del Re pescatore.
A un re malato e depresso, con il regno semi distrutto per la povertà, si presenta Parsifal che, a differenza di altri che erano transitati dando dotti consigli, senza alcun preambolo chiese: dov’è il Graal? La domanda fu per il re il risorgere di un desiderio. Si alzò dal suo giaciglio e con la sua ripresa anche il regno si risollevò.

Forse anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che, come Giuseppe a Gesù, come Parsifal al re, ci rimandi all’urgenza di riappropriarci del nostro destino; al dovere di accettare le sfide della vita e riaccendere così quel desiderio che può condurre noi e altri al conseguimento di un calice di salvezza.

Adattato da Gloria Riva in Avvenire del 9 luglio 2015