Il mondo appartiene a chi lo rende migliore

Ieri ho letto un commento di Ermes Ronchi al Vangelo delle Beatitudini e vorrei condividere con voi, cari alunni di terza, impegnati a riflettere sull’idea di felicità, alcuni pensieri.
Gandhi, che non nascondeva la sua ammirazione per Gesù e il suo Vangelo, diceva che le Beatitudini sono “le parole più alte del pensiero umano”. Se ci pensate bene sono parole che riaccendono la nostalgia per un mondo più bello, buono, dove la violenza e la menzogna sono sostituite dalla misericordia, dagli atteggiamenti di pace, dall’amore per la verità, dal perdono. Le beatitudini non sono nuovi comandamenti, ma ci propongono la buona notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.
Se Dio mi parla di beatitudine vuol dire che Lui ha a cuore la mia ricerca di felicità. Il mio sogno di felicità è anche il suo, ed è per questo che a Lui interessa farmi capire dove posso trovare una risposta a questa mia ricerca.
Gesù è venuto a portare una risposta. Una proposta che, come al solito, è inattesa, controcorrente, che scardina le nostre certezze: felici non sono i ricchi, ma i poveri, non i prepotenti e gli ingannatori, ma gli ostinati a proporsi giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i non violenti, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile.
Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano, perché ci dicono che il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore.
Il mondo non sarà reso migliore da coloro che accumulano più denaro. I potenti sono come vasi pieni, non hanno spazio per altro. A loro basta prolungare il presente, non hanno sentieri nel cuore.
Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio; te lo guariscono perché tu possa così prenderti cura bene del mondo.
E il mondo ha tanto bisogno di bene.

I conti non tornano

Provo a dare un po’ di numeri:
– se nel 2010 ci volevano 388 uomini tra i più facoltosi del mondo per arrivare alla ricchezza della metà più povera del pianeta, oggi ne bastano 8. Capite? Otto super miliardari detengono la stessa ricchezza che sono riusciti a mettere insieme oltre 3 miliardi e mezzo di persone;
– tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno, mentre quello dell’1% più ricco di 11.800 dollari, ovvero 182 volte tanto;
– i primi 7 miliardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri;
– nel giro di 25 anni potrebbe nascere il primo trillionaire, cioè un individuo che possiederà più di 1.000 miliardi di dollari e che per consumarli dovrebbe spenderne 1 milione al giorno per 2.738 anni.
Questi numeri ci dicono che le disuguaglianze sono sempre più drammatiche.
I conti non tornano proprio. C’è bisogno di un impegno serio per costruire un mondo più giusto.

Era un 27 gennaio

Era un 27 gennaio quando nel 1945 i carri armati dell’esercito sovietico sfondarono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Ogni anno nel mondo si celebra il Giorno della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto rinchiusi e uccisi.

Le proposte didattiche per le classi in questo tempo un po’ ballerino

Per tentare di dare continuità ad un anno scolastico che sta procedendo a saltelli (per terremoto e calamità varie), vi lascio, carissimi ragazzi, le presentazioni che illustrano il percorso che avevamo cominciato o eravamo in procinto di iniziare. Aiuterà voi, ma soprattutto me, a riprendere il filo.

CLASSI PRIME



CLASSI SECONDE

 
 
 CLASSI TERZE
 

Cos’è la felicità?

«Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità».
Zygmunt Bauman

 «La parola “felicità” ha due significati molto diversi. Quello più comune è “sentirsi bene”. In altre parole, provare un senso di piacere, contentezza e gratificazione. A tutti noi piacciono queste sensazioni, quindi chiaramente le rincorriamo. Come tutte le emozioni umane, però, le sensazioni di felicità non durano. Per quanto ci sforziamo di trattenerle, ogni volta scivolano via. E, una vita dedicata all’inseguimento di queste belle sensazioni è, sul lungo periodo, profondamente insoddisfacente. In realtà, più rincorriamo le sensazioni piacevoli, più tendiamo a soffrire di ansia e depressione. L’altro significato della parola “felicità”, molto meno comune, è “vivere una vita ricca, piena e significativa”. Quando agiamo in nome di ciò che conta veramente nel profondo del nostro animo, ci muoviamo nelle direzioni che consideriamo degne e preziose, chiariamo cosa è importante per noi nella vita e ci comportiamo di conseguenza, allora la nostra esistenza diventa ricca, piena e significativa, e proviamo un forte senso di vitalità. Non si tratta di una sensazione fugace: è un senso profondo di una vita ben vissuta. E per quanto una vita di questo tipo ci darà sicuramente molte sensazioni piacevoli, ce ne darà anche di spiacevoli, come tristezza, paura e rabbia. Dobbiamo metterlo in conto. Se viviamo una vita piena, proveremo l’intera gamma delle emozioni umane».
 Russ Harris dal libro “La trappola della felicità”

Condivido con questi autori, l’idea che la felicità non è in una vita senza problemi, per quanto i problemi a volte complichino assai la vita.
Il sentirsi felici effettivamente va oltre. E’ uno stato d’animo, una quiete che ci pervade, un senso di pienezza che ci fa stare bene, con noi stessi, gli altri, il mondo.


Perché c’è in noi questo desiderio di felicità?
Sant’Agostino ci direbbe che questo desiderio è desiderio di Dio (“Ci hai fatti per te, Signore; perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in te”).
Dio e la felicità per lui, ma anche per me, hanno molto a che fare. Gesù comincia infatti la sua predicazione con un annuncio di gioia: il Regno di Dio è vicino! La predicazione degli Apostoli prende l’avvio da un’ altra grande notizia portatrice di gioia e felicità: Gesù è risorto! La morte è sconfitta!

«Il cuore dell’uomo desidera la gioia. Tutti desideriamo la gioia, ogni famiglia, ogni popolo aspira alla felicità. Ma qual è la gioia che il cristiano è chiamato a vivere e a testimoniare?

È quella che viene dalla vicinanza di Dio, dalla sua presenza nella nostra vita. Da quando Gesù è entrato nella storia, con la sua nascita a Betlemme, l’umanità ha ricevuto il germe del Regno di Dio, come un terreno che riceve il seme, promessa del futuro raccolto. Non occorre più cercare altrove! Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre» (papa Francesco, Angelus, III Domenica di Avvento 2014)

Essere cristiani vuol dire quindi percorrere un cammino verso la gioia, la felicità piena, che non va cercata nelle cose, nel successo, nel potere, ma in Dio.
Come dice sempre Papa Francesco, un cristiano non può essere un tipo triste e lamentoso (ai catechisti, settembre 2016) perché ha incontrato la gioia che viene dall’incontro con Cristo.
L’arte della felicità secondo il Papa è un percorso semplice, alla portata di tutti, del quale i santi sono testimoni. «Se c’è qualcosa che caratterizza i santi è che sono veramente felici. Hanno scoperto il segreto della felicità autentica, che dimora in fondo all’anima ed ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Perciò i santi sono chiamati beati»(papa Francesco a Malmo,novembre 2016).
Il percorso della felicità è così il cammino delle Beatitudini. Riporto ancora le parole pronunciate dal Papa: «Sopportare con fede i mali che gli altri ti infliggono e perdonare di cuore; guardare negli occhi gli scartati e gli emarginati mostrando loro vicinanza;riconoscere Dio in ogni persona e lottare perché anche altri lo scoprano; proteggere e curare la casa comune, la natura; rinunciare al proprio benessere per il bene degli altri; lavorare per la piena comunione dei cristiani». Scegliere di percorrere questa strada significa vivere una vita piena, non accontentarsi del “tirare a campare”, non scegliere secondo le mode o le convenienze del mondo. Significa vivere in modo veramente umano, che in fondo è proprio quello che ci hanno detto i due autori citati all’inizio del post.
Vorrei però sottolineare (ed è una provocazione per gli alunni di terza che hanno affrontato questo argomento) che c’è Qualcuno che ha a cuore la nostra umanità più di quanto ne abbiamo noi stessi. Questo Qualcuno è un dispensatore di buoni consigli per essere felici. Non vale la pena ragionarci su?

Il Futuro non crolla

#IlFuturoNonCrolla è il titolo del cortometraggio, realizzato a partire da un’idea di Ella Montali, studentessa del 4^ Liceo Scientifico-Sportivo di Camerino (Mc), che è stato proiettato il 3 dicembre scorso all’auditorium della Mole Vanvitelliana di Ancona per la prima giornata del Corto Dorico Film Festival. La regia e il montaggio del video sono a cura dell’alunno Alessio Grain, coadiuvato nell’opera dal prof. Valerio Cuccaroni.
Bella idea, ragazzi!!! Siete voi la speranza della nostra terra!

Fratello

Fratello, che parola impegnativa!
Il termine odierno fratello è un diminutivo di frate, contrazione del latino frates. A sua volta , il lemma latino trova un riscontro diretto nel sanscrito bhratar, al cui interno troviamo la radice bhar-, legata all’idea di sostentamento e nutrizione.
Per questo motivo un fratello, oltre ad essere nato dagli stessi genitori, rappresenta “colui che sostiene“, una sorta di secondo padre (l’etimologia infatti è simile) che accompagna ed è accompagnato per tutta la vita dagli altri “bhratar” (http://www.etimoitaliano.it/2014/01/fratello.html).
Basterebbe questo per comprendere che veramente è una parola impegnativa.
Caino, interpellato da Dio sulla sorte di Abele risponderà:
«Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9)
Domanda che ha un’unica risposta: sì!
Il fratello (e nella fede cristiana si è fratelli indipendentemente dall’essere nati dagli stessi genitori) va custodito ed amato. Soltanto quando si rompe questo legame di sostentamento e cura, il fratello diventa un nemico, un avversario, un impiccio.
Che la parola fratello contenga l’idea di sostentamento e nutrizione è pienamente comprensibile: si cessa di essere figli, prima ancora che fratelli. Quando i genitori non ci sono più è bello sapere che c’è un fratello su cui poter contare. La sapienza umana, che per chi crede ha una fonte divina, ha consegnato alle parole un significato di verità.
Che il nuovo anno ci porti a metterci nei panni gli uni degli altri per poter cogliere il bisogno di cura che l’altro porta con sé.
Che il nuovo anno ci allontani dal rischio di pesare e misurare la cura che fraternamente dobbiamo avere gli uni per gli altri.
Che il nuovo anno ci aiuti a ricordare che viene un tempo in cui diventiamo “fratelli” dei nostri genitori, perché saremo noi “figli” a doverli sostenere quando ne avranno bisogno. Dovremo essere per loro dei secondi padri/madri. Cioè “fratelli”.
È con la fraternità che si costruisce il bene e si può sperare in un mondo migliore.