Guardare il mondo attraverso gli occhi degli altri – Nuova proposta per le classi prime

Se guardi il mondo con gli occhi degli altri scopri il bisogno di amore che c’è.

La proposta didattica per la classe prima si snoda attraverso il dramma delle persecuzioni razziali per arrivare a scoprire la religione ebraica (con la quale i cristiani hanno un particolare legame) e per concludersi con il comandamento dell’amore, che troppe volte nella storia, sia personale che in quella con la esse maiuscola, abbiamo dimenticato.
Cliccando sull’immagine è possibile accedere al percorso proposto, che sarà in divenire per rispondere alle suggestioni e alle proposte degli studenti che si presentassero strada facendo.


La teoria del Big Bang sarà rinominata?

Per riconoscere i contributi scientifici dell’astronomo belga Georges Lemaître alla teoria scientifica dell’espansione dell’universo (quella che parla del Big Bang, per intenderci), la International Astronomical Union (IAU) ha deciso di raccomandare che la legge di Hubble venga rinominata legge di Hubble-Lemaître.
Padre Lemaître pubblicò le sue idee due anni prima che Hubble descrivesse le sue osservazioni in base alle quali le galassie più lontane dalla Via Lattea si allontanano più velocemente.
La IAU ha affermato che la risoluzione per suggerire di rinominare la legge di Hubble è stata presentata e discussa nella sua Assemblea Generale a Vienna (Austria) ad agosto. La votazione elettronica, aperta a più di 11.000 membri, si è conclusa il 26 ottobre. Oltre 4.000 membri hanno votato, e il 78% si espresso favorevolmente.
Nel 1927 Lemaître aveva calcolato una soluzione alle equazioni della relatività generale di Albert Einstein che indicava come l’universo non potesse essere statico, ma fosse in espansione. Questa affermazione fu sostenuta con una serie limitata di misure previamente pubblicate delle distanze delle galassie e della loro velocità, calcolate in base all’effetto Doppler. I risultati a cui giunse furono pubblicati in francese su una rivista belga poco nota. Per questo passarono praticamente inosservati.
Due anni dopo, nel 1929, Hubble pubblicava le proprie osservazioni mostrando un rapporto lineare tra la velocità e la distanza per le galassie che si allontanavano. Questa legge divenne nota come legge di Hubble.

(notizia tratta da it.aleteia.org, 31 ottobre 2018)

Il comandamento non rubare e le problematiche sociali e ambientali

Il tema è non rubare: un comandamento su cui non sembrerebbe esserci molto da discutere. Nell’accezione comune è l’imperativo a non impossessarsi delle cose altrui. Il mondo ridotto a due soli schieramenti: chi possiede e chi ruba. I primi da tutelare, i secondi da perseguire. Ma nella sua udienza del 7 novembre 2018 papa Francesco ha rovesciato il tavolino e invece di parlare del furto ci ha parlato del possesso. Quasi a volerci dire che a seconda delle condizioni, il possesso può essere la prima forma di tradimento della volontà di Dio.

Per partire ci ha ricordato che la Dottrina sociale della Chiesa parla di «destinazione universale dei beni» a significare che «i beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano». E se in questa prospettiva anche la proprietà privata trova la sua funzione e la sua legittimità, papa Francesco ha precisato che «ogni ricchezza per essere buona deve avere una dimensione sociale».
Bella – e forse per qualcuno sorprendente – analogia con l’articolo 43 della nostra Costituzione che impone alla legge di regolamentare la proprietà privata in modo da «assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti».
Se fossimo riusciti a interpretare il settimo comandamento, non rubare, in forma più estensiva, non come mera difesa di ciò che individualmente ciascuno ha accumulato, ma soprattutto come difesa di ciò che è proprietà di tutti, l’umanità non si troverebbe a fare i conti con le problematiche ambientali e sociali che oggi ci sovrastano.
Le piogge torrenziali e i venti di tipo monsonico che hanno flagellato il nostro Paese non sono una fatalità, ma conseguenza del surriscaldamento terrestre alla cui origine potrebbe esserci (secondo molti scienziati) l’eccesso di produzione di anidride carbonica conseguenza del comportamento di poche generazioni che nel giro di 150 anni hanno preteso di bruciare ciò che madre Terra ci ha messo milioni di anni a produrre. A questo si aggiunge l’eccesso di cementificazione e di gestione distorta di boschi e agricoltura. Entrambe le cause sono conseguenza di un’idea di possesso dove esiste solo l’interesse immediato del proprietario sganciato da qualsiasi responsabilità verso la collettività.
Così ci stiamo macchiando del peggiore dei furti che è quello di togliere prospettive di vita alle generazioni che verranno.
Il Papa ci dice che l’unico modo per uscirne è smettere di considerarci padroni e cominciare a concepirci come amministratori: «Nessuno è padrone assoluto dei beni, bensì un amministratore della Provvidenza». Che, tradotto, significa cominciare a prendere consapevolezza che viviamo in un mondo dalle risorse limitate e che dobbiamo amministrarle avendo sempre ben chiaro che oltre a doverne lasciare per le generazioni che verranno, dobbiamo anche permettere ai tre miliardi di esseri umani impoveriti di uscire rapidamente dalla loro situazione di miseria.
Francesco ci ha ricordato ancora una volta che se oggi esistono quasi un miliardo di affamati, non è perché non si produce abbastanza cibo, ma perché il cibo è distribuito male. In altre parole, l’economia mondiale è basata su regole così assurde da avere trasformato un terzo della popolazione mondiale in scarti inutili da qualsiasi punto di vista, un terzo in persone utili solo come lavoratori forzati e un terzo in super consumatori.
Insomma, per dirla con parole il più semplice possibile, il comandamento non rubare assume tante di quelle sfaccettature che si tratta di considerare seriamente che è furto lasciare in povertà miliardi di persone, è furto arricchirsi alle spalle del lavoro altrui pagato con salari indegni, è furto dilapidare le risorse di questo pianeta perché non siamo disposti a rivedere i nostri scorretti stili di vita.
E’ allora necessario per la sopravvivenza nostra e di questo Pianeta, cominciare a dire che dobbiamo produrre, lavorare e consumare in maniera diversa in modo da garantire a tutti di vivere dignitosamente pur utilizzando meno risorse e producendo meno rifiuti. Solo così dimostreremo di avere imparato a declinare in maniera corretta il comandamento di non rubare.
(Liberamente tratto e adattato da Non rubare (In ogni modo) di Francesco Gesualdi, in Avvenire del 9 novembre 2018

Chiamare il male bene e vivere felici e contenti (ohibò)

Una riflessione che dedico agli alunni del Liceo.
Albert Bandura nel suo ultimo libro (Disimpegno morale. Come facciamo del male continuando a vivere bene, Erickson 2017) fa luce sugli aspetti più bui della psiche umana.
Come si possono compiere atti crudeli e inumani continuando a vivere in pace con se stessi? Cosa permette a una persona di comportarsi contro le regole morali e non rimanere schiacciata dai sensi di colpa?
Vi ricordate il dogma kantiano “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me“? Beh, sembra che oggi sia sostituito da “il cielo stellato sarà pure sopra di me, ma nessuna legge morale è in me“. Vi rendete conto che messa così, la questione del bene e del male cambia radicalmente? Come sostiene Bandura, il “disimpegno morale” è il mezzo che consente all’individuo di «disinnescare» temporaneamente la sua coscienza personale mettendo in atto comportamenti inumani, o semplicemente lesivi, senza sentirsi in colpa.
Siamo ormai diventati esperti di tutta una serie di artifici che ci “proteggono” dai sensi di colpa: cambiamo le parole (parlare di aggressioni e non di violenze, ad esempio, abbassa la soglia morale e ci fa accettare più facilmente e rapidamente fatti di violenza), deumanizziamo la vittima, spostiamo la  responsabilità (“non è mai colpa mia”), operiamo una distorsione delle conseguenze o non considerazione delle stesse.  E così viviamo beati e tranquilli.
Tutto ciò mi fa paura, perché la conseguenza di questa de-responsabilizzazione è che amiamo l’astratto e odiamo il concreto. Ci armiamo a paladini di principi sacrosanti ma siamo pronti a schiacciare chi ci intralcia nella soddisfazione del nostro tornaconto e appagamento personale.
Il bene, cari ragazzi, non si impone da sé. Ha bisogno delle nostre scelte, coraggiose, a volte (anche spesso) scomode  per noi stessi. Senza discernimento, senza disciplina, non possiamo agire bene e per il bene. Ecco perché la coscienza va educata. Da soli, senza un riferimento certo e chiaro alla Verità che ci trascende (che devo riconoscere, che la si chiami o meno Dio) rischiamo di scambiare il male per bene e viceversa. La Storia ci ha fatto vedere i disastri a cui siamo andati incontro quando abbiamo abdicato alla nostra responsabilità personale. «La mia coscienza è Hitler» affermava
Hermann Göring, mentre un giovane altoatesino Josef Mayr-Nusser, arruolato a forza nelle SS, si rifiutò di giurare fedeltà ad Hadolf Hitler perché «Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l’idolatria» e «se nessuno avrà mai il coraggio di dire no ad Hitler, il nazionalsocialismo non finirà mai». Per questa scelta fu subito incarcerato, processato e condannato a morte come “disfattista”.