Se vogliamo che un altro mondo sia possibile, l’unica cosa da fare è vivere come se già esistesse
Leggo su Avvenire del 24 marzo la storia di una donna in carriera che, dopo 40 passati a ricoprire alte cariche nelle maggiori banche, un giorno ha dato le dimissioni per continuare a fare quello che sapeva fare bene (dirigere aziende) con un obiettivo diverso: cambiare il mondo in meglio.
Vi propongo alcuni stralci dell’articolo che racconta la storia di questa donna, il cui nome è Tiziana Bernardi.
«Ho lasciato il mondo dei miliardi ma non il mestiere: ora l’impresa che gestisco è ancora più grande e richiede la stessa managerialità, solo che è sperduta nella savana e ha un obiettivo altissimo, cambiare il mondo». Almeno quello intorno al monastero benedettino di Mvimwa, incontrato durante un viaggio avventuroso in Tanzania e diventato la sua sfida imprenditoriale più ambiziosa.
Ci accoglie nel salone della sua villa storica, a Cornaredo, dove ha convocato i collaboratori più stretti, com’era solita fare nella sua vita precedente: «Ho scritto un enorme progetto affinché il monastero, che sorge nella regione più arretrata della Tanzania, sia protagonista della trasformazione sociale dei dieci villaggi intorno, abitati da 20mila persone, poi di tutto il distretto di Nkasi (320mila persone), infine dell’intera ragione di Rukwa, un milione e mezzo di abitanti, il 60% dei bambini denutriti e una vita media di 50 anni. Perché un modello che in piccolo ha successo è sempre replicabile in grande», spiega mostrando i contratti già stipulati con università e imprese italiane e straniere, i dati raccolti sul territorio, le strategie e gli obiettivi finali, che vedono anche la fondazione di un’università specializzata in Scienze della nutrizione infantile e in Agraria.
Trasformare la crisi in risorsa: è la deformazione professionale di Tiziana, accolta come una benedizione dall’abate del monastero il giorno in cui, 5 anni fa, se la vide arrivare per caso con al seguito una quindicina di “turisti”.
«Ero partita con uno dei miei due figli e diversi amici perché una brutta notizia mi aveva stroncata. A mio marito Carlo era stato diagnosticato un cancro con tre mesi di sopravvivenza, per la prima volta ero schiacciata, mi fermai a chiedermi che cosa ci stiamo a fare quaggiù. Non avevo una ricetta ma ero consapevole che la vita andava riformulata… Carlo poi fu curato e guarì, ma io avevo bisogno di capire, così organizzai questo viaggio tra orfanotrofi ». Non un’esperienza del tutto nuova per la dirigente, che in passato si era inventata di portare i manager delle sue banche a fare formazione nei centri di accoglienza africani anziché nelle capitali europee.
Arrivata al monastero di Mvimwa, qualcosa successe. «Io, la persona più razionale del mondo, ebbi una folgorazione. Avevo 55 anni e dovevo ricominciare tutto da capo. Non ero mai stata prima in un monastero, ma quel giorno mi confessai per tre ore con padre Lawrence, oggi per me come un figlio. Lì per lì non capii, tre mesi dopo negoziavo le dimissioni da Unicredit e mi accordavo con l’abate: tu preghi, io lavoro ma mi dai carta bianca».
L’obiettivo era alto: combattere la fame, assicurare assistenza sanitaria di base, educare su igiene e nutrizione, creare imprese e posti di lavoro, il tutto mobilitando il monastero per arrivare, con un effetto domino, al Paese.
«I novanta missionari benedettini, tutti tanzaniani giovani ed entusiasti, erano fedeli alla regola dell’ora et labora, pregavano e lavoravano… ma la parte “lavoro” era per approssimazione, ci volevo io per fare un piano industriale». L’abate poi lo ha inserito nella regola e ognuno dei novanta monaci oggi è protagonista del cambiamento, coinvolgendo i capi villaggio e via via la popolazione.
La parola utopia non è ammessa, «se vogliamo che un altro mondo sia possibile, l’unica cosa da fare è vivere come se già esistesse», spiega Tiziana Bernardi, mostrando le foto dell’ex hotel di lusso da poco acquistato per ospitare la futura università. «Era stato espropriato a un imprenditore inadempiente e io l’ho comprato all’asta a nome del monastero a un prezzo vantaggioso, grazie a un benefattore italiano». Il resto lo ha raggiunto sfruttando i suoi contatti: «Non ho cercato gli amici ma le eccellenze professionali », così oggi come partner ha l’università di Parma,
il Campus Biomedico di Roma, il Politecnico di Milano e il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), in una logica di reciproco interesse: «Loro aiutano noi, noi diamo ai loro studenti la materia per tesi di laurea e specializzazioni. Alla fine novanta benedettini africani hanno un partenariato che anche la Fao ci invidia».
La parola d’ordine è «incidere»: è inutile scavare un pozzo qua e uno là, «ho questo monastero, e con questo ti cambio le sorti di un intero territorio », il tutto (finora) senza bisogno di capitali: medici, studenti, ingegneri, architetti, docenti universitari di varie discipline si sono pagati il viaggio e hanno condotto studi che a loro erano utili e al monastero non sono costati un euro. Ora però i progetti industriali devono partire e la onlus ‘Golfini Rossi’ (l’uniforme dei bambini delle primarie in Africa) è pronta per entrare nella Cooperazione internazionale. «Golfini Rossi nell’organigramma ha scienziati, architetti, chirurghi, nutrizionisti, ricercatori nella trasformazione industriale del cibo, tutti volontari».[…]
Insomma, non è utopistico pensare che da quel monastero sperduto nella savana, dal quale giunge il giusto grido della famiglia umana, possa essere rilanciata una nuova meravigliosa storia italiana fatta di generosità intellettuale, competenza scientifica e coraggio imprenditoriale. Ora i fondi serviranno, ma lei è tranquilla: «La Provvidenza risponde sempre, attraverso uomini di buona volontà».