Dai Sikh un milione di alberi piantati come dono al Pianeta Terra

Nell’aprile di 550 anni fa, 1469, nasceva nel sultanato di Delhi, parte dell’attuale India, Sri Nanak Dev, mistico e fondatore del Sikhismo di cui è stato il primo guru.
Attorno a Nanak si raccolse una comunità di discepoli (Sikh significa proprio “discepolo”), tra i quali egli scelse il proprio successore, Guru Angad. In tutto, i successori del primo guru furono dieci.
Il decimo guru, Gobind Singh (1666-1708), fondò l’ordine militante dei Khalsa (“i puri”) e decretò che, dopo di lui, non ci sarebbe stato un altro guru in quanto l’autorità religiosa veniva trasferita al testo sacro, l’Adi Granth, raccolta di quasi seimila inni, composti dai primi cinque guru, curata da Arjan Dev (il quinto guru) nel 1606.
I principi fondamentali si ispirano ad alcuni principi dell’Induismo e dell’Islam, pur mantenendo un’ampia autonomia rispetto ai precetti di fondo.
I Sikh, monoteisti, sono oggi almeno 25 milioni in India e vari altri milioni nel resto del mondo.
Per festeggiare degnamente questo anniversario i Sikh in tutto il mondo stanno partecipando a un progetto per piantare un milione di nuovi alberi come un “regalo per l’intero pianeta”.
Il progetto mira a invertire il declino ambientale in corso e a aiutare le persone a riconnettersi con la natura. Rajwant Singh, presidente dell’organizzazione ambientale di Washington EcoSikh, che coordina il Million Tree Project, ha dichiarato di voler celebrare l’anniversario in modo significativo. «Guru Nanak era un amante della natura. Lui aveva parlato della natura come manifestazione di Dio e molti dei suoi scritti parlano di come abbiamo bisogno di imparare le lezioni della vita dalla natura». Uno degli inni di Guru Nanak, che molti sikh recitano come preghiera quotidiana, include la frase: «L’aria è l’insegnante, l’acqua è il padre, la terra è la madre».
Singh ha aggiunto di sperare che il progetto possa motivare i Sikh – specialmente i giovani – a migliorare il loro rapporto con la natura in maniera che essi stessi possano esser considerati come «un dono per l’intero pianeta».
La diaspora Sikh ha raccolto la sfida e decine di migliaia di alberi sono già stati piantati. Per lo più in India – la maggior parte della popolazione sikh del mondo vive nello stato del Punjab, che sta pianificando di piantare 550 alberelli in ogni villaggio – ma anche nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Australia e in Kenya.
La Sikh Union di Coventry nel Regno Unito ha iniziato a piantare alberi, arbusti e fiori come noccioli e biancospino a Longford Park, e sta allargando il discorso a scuole, parchi e aree ricreative. Palvinder Singh Chana, presidente della Sikh Union Coventry, ha dichiarato: «Come Sikh, la nostra connessione con l’ambiente è parte integrante della nostra fede e identità. Le generazioni future trarranno beneficio dai frutti del nostro lavoro, che simbolizzano la pace, le amicizie e la continuità per le generazioni a venire».
EcoSikh sta anche collaborando con Afforestt, un’organizzazione che forma le persone per progettare e costruire piccole foreste native che crescano rapidamente e che siano parte sostenibile dell’ecosistema.
Singh ha dichiarato che più di 1800 di queste foreste sono state pianificate in tutto il mondo e che l’obiettivo di un milione di alberi messi a dimora sarà raggiunto al momento del compleanno di Guru Nanak a novembre.
FONTE: https://riforma.it/

Gesù e la felicità

Un video sulle parole di Giovanni Paolo II:
«In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E’ Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna».
(XV Giornata Mondiale della Gioventù, Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000)

Aleteia Italiano

Non si è mai troppo piccoli per fare la differenziata!!!

Video carinissimo che chiede a tutti noi di fare qualcosa per l’ambiente.
I grandi devono fare la loro parte, ma anche voi, cari studenti.
Nessun alibi ma, al contrario, maggiore attenzione a quello che facciamo (o dimentichiamo di fare). A scuola, allora, impegniamoci  nella raccolta differenziata ed evitiamo di lasciare le classi sporche. Per non parlare dei corridoi alla fine della ricreazione. Forza, insieme ce la possiamo fare!!!

Ho bisogno di credere

Fabrizio Moro commenta così il suo nuovo singolo: «Credo nelle buche dove sono inciampato, e credo nei giorni in cui ho sbagliato perché ogni mio errore, nel bene e nel male, mi ha reso quello che sono oggi… un essere umano con tanti limiti ma, consapevole che nella vita, oltre alla libertà, va ricercata la fede… qualsiasi essa sia, la fede ti dà la forza di continuare a camminare anche se le tue ginocchia sono ormai rotte. “Ho bisogno di credere” racconta questo, racconta ogni passo fatto con la speranza che le scarpe di “ferro pesante” che portiamo, un giorno possano diventare più leggere in un percorso di totale scetticismo.»

Il nostro peggior nemico: la mediocrità

Alberto Caprotti scrive su Avvenire del 4 aprile che
«Una delle più grandi povertà del mondo è quella delle persone che non sono mai contente di nulla. Galleggiano nel limbo, non sanno mai se ridere o piangere, e nel dubbio non fanno né l’uno né l’altro. Non rischiano, non vivono, confondono la felicità con quello che desiderano senza apprezzare il bello e il buono che hanno a portata di mano ogni giorno. Invece è sempre valida e forte la convinzione che sia meglio la delusione rispetto al rimpianto, se non altro perché regala la consolazione di averci provato. E la consapevolezza di sapere che chi si accontenta forse gode, ma solo un po’».
Il nostro peggior nemico ha detto Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani, «non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici: il pericolo più grande della vita è un cattivo spirito di adattamento che non è mitezza o umiltà, ma mediocrità, pusillanimità”.
Due pensieri molto simili, perché ci invitano a considerare che non ci si può rassegnare al mondo, così come è, ma che vale sempre la pena rischiare per contribuire a renderlo migliore. Niente mediocrità, ma coraggio e impegno.
«Se ognuno pensasse di poter davvero lasciare un segno del proprio passaggio – continua l’editoriale di Caprotti- forse nel mondo ci sarebbero più bellezza e meno squallore. Invece, purtroppo viviamo foderati di disimpegno: ribellarsi è difficile, anche se sappiamo che la sfiducia porta al cinismo, e il cinismo alla rassegnazione. Quella che ci impedisce di pensare che possiamo fare qualcosa di grande e di unico, sempre e comunque. Anche se non siamo famosi, anzi, proprio perché non siamo nessuno. Noi però siamo quello che facciamo. Non serve essere scienziati: il talento è di tutti, nessuno escluso: quello che conta è accorgersi di possederlo, e riuscire a sognare cosa potremmo essere con la sola forza dell’impegno e della convinzione».

Siete l’adesso di Dio. L’appello del Papa ai giovani.

«Cristo vive» e tutto ciò che tocca «diventa giovane, nuovo, si riempie di vita».
Il Papa ha scelto lo stile della lettera per parlare ai ragazzi all’indomani del Sinodo che ha messo al centro i lori sogni e i loro desideri, così come le ansie e le preoccupazioni per il futuro che verrà. «Christus vivit» è l’Esortazione apostolica, cioè il documento pubblicato a conclusione della grande assemblea svoltasi a ottobre sul tema: “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”.
Al centro – dei lavori di allora e oggi del testo di Francesco – la consapevolezza che i ragazzi non rappresentano solo il domani del mondo, ma lo devono vivere già oggi da protagonisti.
Sono, secondo un’immagine usata durante la Gmg di Panama, «l’adesso di Dio».
In proposito il Papa affronta tutti i problemi e le speranze dei giovani, dall’ambiente digitale «che ha creato un nuovo modo di comunicare», alla disoccupazione, questione che la politica deve mettere al primo posto. Dai migranti, con un no chiaro e netto verso ogni intolleranza, alla lotta agli abusi, in qualsiasi forma si manifestino. Fino al desiderio di «una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo». Non silenziosa e timida ma nemmeno sempre in guerra, comunque disponibile al cambiamento, a cominciare dall’attenzione alle donne.
Una Chiesa, un mondo dove ci sia posto per tutti, dai bambini ai vecchi e in cui i giovani possano correre liberamente, ma pronti a rallentare, se necessario, per aspettare chi fa fatica.
TRATTO da Popotus del 4 aprile 2019

Il Papa in Marocco

Viaggio lampo quello del Papa in Marocco, ma significativo. Non se ne è parlato molto, ma i miei studenti marocchini ne erano informati. Un altro segno di dialogo rispettoso e sincero di cui questi ragazzi mi parlavano con gioia.
vignetta di Robi Hood (Roberto Benotti)
Vi riporto alcuni passaggi del discorso tenuto dal Papa nell’incontro con il Popolo Marocchino, con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico. Saranno occasione di riflessione e confronto, specialmente con voi, ragazzi delle seconde, che state riflettendo sul valore del dialogo.

«Qui su questa terra, ponte naturale tra l’Africa e l’Europa, desidero ribadire la necessità di unire i nostri sforzi per dare un nuovo impulso alla costruzione di un mondo più solidale, più impegnato nello sforzo onesto, coraggioso e indispensabile di un dialogo rispettoso delle ricchezze e delle specificità di ogni popolo e di ogni persona. Questa è una sfida che tutti siamo chiamati a raccogliere, soprattutto in questo tempo in cui si rischia di fare delle differenze e del misconoscimento reciproco dei motivi di rivalità e disgregazione. È quindi essenziale, per partecipare all’edificazione di una società aperta, plurale e solidale, sviluppare e assumere costantemente e senza cedimenti la cultura del dialogo come strada da percorrere; la collaborazione come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio (cfr Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019)».[…] Pertanto, un dialogo autentico ci invita a non sottovalutare l’importanza del fattore religioso per costruire ponti tra gli uomini e per affrontare con successo le sfide precedentemente evocate. Infatti, nel rispetto delle nostre differenze, la fede in Dio ci porta a riconoscere l’eminente dignità di ogni essere umano, come pure i suoi diritti inalienabili. Noi crediamo che Dio ha creato gli esseri umani uguali in diritti, doveri e dignità e che li ha chiamati a vivere come fratelli e a diffondere i valori del bene, della carità e della pace.[…]
Perché si tratta di scoprire e accogliere l’altro nella peculiarità della sua fede e di arricchirsi a vicenda con la differenza, in una relazione segnata dalla benevolenza e dalla ricerca di ciò che possiamo fare insieme. Così intesa, la costruzione di ponti tra gli uomini, dal punto di vista del dialogo interreligioso, chiede di essere vissuta sotto il segno della convivialità, dell’amicizia e, ancor più, della fraternità».
Vi lascio anche la bellissima Ave Maria cantata in arabo di fronte al papa e al re del Marocco.