Non rubiamoci il futuro!!!

L’accorata denuncia di Greta è come un pugno allo stomaco. Questo è l’effetto che fa a me. Bisogna essere proprio ciechi per non rendersi conto che il mondo sta lanciando segni di grande sofferenza e quel futuro di distruzione che pensavamo non ci dovesse riguardare, in realtà si sta compiendo a ritmi vertiginosi.
Non tutto il mondo scientifico è concorde nel ritenere che i cambiamenti climatici siano conseguenza dell’aumento di CO2 nell’atmosfera, ma è indubbio che l’uomo stia sfruttando questo pianeta come se non dovesse esserci un domani da consegnare alle future generazioni. Non so se ve ne siete accorti, ma il 29 luglio scorso è stato l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno in cui la Terra ha esaurito le sue risorse naturali annuali. Preciso il concetto: il 29 luglio, le risorse naturali della Terra per il 2019, come l’aria, l’acqua e il cibo, sono terminate. Significa quindi che la nostra domanda di aria, acqua e cibo ha superato la capacità del pianeta di rigenerare quelle risorse nel corso di un anno – e che, dalla fine del mese di luglio, stiamo attingendo alle riserve, consumando molto più di quello che dovremmo.
Penso che vi sia chiaro che il nostro stile di vita occidentale non è più sostenibile dal punto di vista ambientale. Aggiungerei anche dal punto di vista etico. Si, etico, perché non è moralmente giusto che le ricchezze della Terra non siano distribuite in modo equo, che il profitto per pochi generi nuove forme di schiavitù per altri.
I ghiacciai che si sciolgono, i tornado e i tifoni che si abbattono con violenza sulle coste, le bombe d’acqua e tanti altri fenomeni estremi sono eventi atmosferici che possiamo associare, in un parallelismo che avviene spontaneo, ai fenomeni estremi che accadono a livello sociale: la povertà che cresce, l’esodo di chi fugge dalla guerra e dalla fame, l’atteggiamento di chiusura e disprezzo verso chi è diverso da noi. Dobbiamo seriamente ripensarci come esseri umani, perché se continuiamo a pretendere di farci dio, cioè supremi detentori di ciò che in realtà ci è affidato, distruggeremo il nostro futuro.

Classe terza: Faccio quello che voglio. Strategia efficace o fallimento assicurato?

Effettivamente è interessante come in tutte le religioni, al di là di norme più o meno particolari e specifiche, ce ne sia una presente in tutte.

Si tratta della cosiddetta Regola d’oro delle religioni.
Vedete come alla base di essa c’è il riconoscimento della dignità di ogni essere umano che va riconosciuto come un io che ti è di fronte (Io sono l’altro, per dirla come la canzone di avvio dell’anno scolastico). 
I cristiani direbbero che l’altro ti è fratello. Non solo fratello in umanità, ma fratello perché figlio dello stesso Padre che è Dio. 
Il percorso che vi propongo parte quindi dal riconoscimento di questa regola comune a tutte le religioni, che possiamo leggere come una proposta di cammino di umanizzazione, per arrivare a chiederci se rispettare le regole sia una strategia vincente e se questo valga per tutte le regole. Scopriremo che la Bibbia ci presenta un Dio che si prende cura del bene dell’uomo perché desidera per lui la felicità. Dal racconto del peccato originale passeremo alla consegna a Mosè dei Dieci Comandamenti per arrivare alla storia, raccontata da Gesù nella Parabola del Padre misericordioso, di un ragazzo che aveva frainteso l’idea di libertà. Faccio quello che voglio non è una strategia vincente perché ha un prezzo salato da pagare. 
Chiuderemo il nostro viaggio con un ammonimento di un personaggio che, pur violando alcune regole, ha agito in modo giusto.
Nell’immagine che segue vedete in sintesi il percorso proposto. Cliccandoci sopra potete accedere al materiale utile per il lavoro personale e di classe. 




Classe seconda: Incontrare l’altro. Quando si è capaci di andare oltre le apparenze e i pregiudizi o di dominare sull’altro

Quanti incontri nella nostra vita! A volte belli, altre volte meno. Alla vostra età sentite la necessità di cercare nuovi amici, di aprirvi agli altri e, nello stesso tempo, vi chiedete se sarete accettati, se potrete rimanere delusi e feriti. Con questa proposta cercheremo di analizzare il nostro modo di relazionarci agli altri confrontandoci con lo stile di Gesù che scopriremo attraverso l’analisi di alcuni passi dei Vangeli. Rifletteremo anche, sempre con l’aiuto di brani dell’Antico e del Nuovo Testamento, sullo stile che permette l’incontro, per arrivare a confrontarci su un problema molto attuale come quello dell’immigrazione che ci costringe a dover fare i conti proprio con i pregiudizi e l’accoglienza del diverso.
In sintesi, questa proposta ci aiuterà a
• Cogliere lo stile di incontro di Gesù attraverso l’analisi di alcuni passi del Vangelo
• Acquisire consapevolezza che il vero incontro, quello cioè che fa crescere le persone, richiede la capacità di andare oltre i pregiudizi e le apparenze o la pretesa di dominio sull’altro
• Confrontarci sul tema dell’immigrazione attraverso la lettura di alcuni passi del Magistero
Nell’immagine una sintesi di questo percorso. Cliccandoci sopra potete accedere al materiale utile per questo percorso.

Classe prima: Chi sono, chi siamo. Riconoscere la propria unicità e aprirsi agli altri.

Quando arriviamo in un nuovo ambiente normalmente ci presentiamo.
Con questa proposta didattica andremo un po’ più a fondo di quella che potrebbe essere una semplice presentazione di noi stessi.
Al termine del percorso, avremo  approfondito la visione dell’uomo che scaturisce dal testo biblico e saremo più consapevoli della dignità di ogni persona umana.
La Bibbia, in sintesi, ci avrà fatto scoprire cosa ci accomuna tutti, bianchi e neri, italiani e non, maschi e femmine, belli e brutti, ecc….
Il nostro cammino seguirà le tracce che troverete cliccando sull’immagine.

 

Come stai messo ad empatia?

Se vi dicessi che lo stile comunicativo di Gesù ha a che fare con l’empatia penso che mi guardereste perplessi. Prima di tutto vediamo cosa si intende per empatia. In qualunque dizionario trovate più o meno questa definizione:
«capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni».
A questo punto riuscirete a seguirmi meglio perché, chi più chi meno, sapete che con la sua vita, Gesù ci insegna a vedere gli altri in un modo diverso, condividendo i loro sentimenti e sostenendoli nei momenti di delusione.
Sin dal principio, i discepoli hanno potuto testimoniare la sensibilità di Gesù: la sua capacità di mettersi nei panni degli altri, la sua delicata comprensione di ciò che accade nel cuore dell’essere umano, la sua acutezza nel percepire il dolore degli altri.
Provo ad elencarvi un paio episodi in cui si coglie questo immedesimarsi di Gesù: arrivando a Nain, senza che sia stata pronunciata parola, si fece carico della tragedia della vedova che aveva perso il suo unico figlio; davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, pianse insieme a Marta e Maria.
Vi ricordo poi anche altri incontri di Gesù: Matteo, Zaccheo, la donna cananea, oppure l’adultera.
Lo sguardo di Gesù va oltre i pregiudizi, le differenze di cultura o le condotte di vita discutibili.
Non dimentichiamo però che per i cristiani Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo, che cioè ha condiviso la nostra stessa natura umana eccetto il peccato. Più empatia di così!
Lo stile comunicativo di Gesù, la sua stessa vita, testimoniano, per chi crede, l’amore di Dio, la relazione bella che Dio vuole costruire con ciascuno di noi.
Relazione ed empatia vanno, se così si può dire, a braccetto, perché non c’è empatia al di fuori di una relazione sincera con l’altro. Per essere più chiara vi faccio vedere questo video.

 

E’ il legame che costruiamo con gli altri che fa di noi delle persone più o meno empatiche.
Certo, non si è empatici se siamo concentrati in noi stessi, egoisti e invidiosi, pronti a giudicare e condannare.  A volte pur essendo empatici facciamo fatica ad esprimerci per timidezza e insicurezza. D’altro canto l’espansività non è automaticamente segno di empatia. L’empatia richiede delicatezza e capacità di vedere il bene anche dove sembra non ci sia. In fondo, proprio come faceva Gesù.
Vi propongo un test, tanto per riflettere sui nostri atteggiamenti. Come tutti i test non si tratta di dare un giudizio, ma di offrire un’occasione per acquisire consapevole dei nostri punti di forza o di debolezza.
Cliccando sull’immagine potete accedere al test.

Che bella testimonianza d’amore!

Abbiamo spesso parlato di Liliana Segre durante le nostre ore di lezione. Ci siamo fatti accompagnare dalla sua testimonianza, attraverso video o frasi tratte dalle sue interviste, per riflettere sulla grande tragedia della Shoa.
Probabilmente conosciamo meno gli aspetti della sua vita dopo il ritorno dal’inferno del campo di concentramento. In questa intervista che condivido con voi, la signora Segre ci racconta il ritorno alla vita “normale” e ci apre il suo cuore, parlandoci del marito.
Lo racconta in questa intervista per TV2000.


La signora Segre ci riconsegna l’immagine di un  uomo che, per amore, diventa capace di ingoiare il proprio dolore, di mettersi da parte quasi morendo a sé stesso per offrirsi a lei, per custodirla e amarla.
Lui è un uomo di fede, vi è stato condotto soprattutto dalla madre. La sua fede e devozione si intensificano ancora di più alla morte della mamma; Liliana non crede, invece, ma anche a questo penserà lui. Se non è un vero sposo costui…
Le dirà spesso negli ultimi tempi, racconta ora da vedova (è morto dieci anni fa):
 «Tu non credi, io sì. Io sono più vecchio di te, vado avanti prima di te e pregherò per te».

Io sono l’altro

Vorrei cominciare il nuovo anno scolastico con questa canzone.
Il confronto con l’altro ci appartiene, nel bene e nel male. A questo confronto dobbiamo essere pronti per fare un “giro con i vestiti dell’altro”, perché solo così possiamo aprirci, guardare il mondo senza preconcetti, assumerci le nostre responsabilità. Tante delle situazioni raccontate nella canzone fanno parte del quotidiano, anche di quello che viviamo a scuola.
Il mio augurio è di sentirci pronti a questo “rispecchiamento”, disponibili ad accogliere e a comprendere, per fare “un giro” che ci permetta di crescere. Mente, Cuore e Spirito.

 

Ecco il testo.

Io sono l’altro
sono quello che spaventa
sono quello che ti dorme nella stanza accanto
Io sono l’altro
puoi trovarmi nello specchio
la tua immagine riflessa
il contrario di te stesso
Io sono l’altro
sono l’ombra del tuo corpo
sono l’ombra del tuo mondo
quello che fa il lavoro sporco
al tuo posto

Sono quello che ti anticipa al parcheggio
e ti ritarda la partenza
il marito della donna di cui ti sei innamorato
sono quello che hanno assunto
quando ti hanno licenziato
quello che dorme sui cartoni alla stazione
sono il nero sul barcone
sono quello che ti sembra più sereno
perché è nato fortunato o solo perché ha
vent’anni di meno
Quelli che vedi
sono solo i miei vestiti
adesso facci un giro
e poi
mi dici
e poi

Io sono il velo
che copre il viso delle donne
ogni scelta o posizione che non si comprende
Io sono l’altro
quello che il tuo stesso mare
lo vede dalla riva opposta
Io sono tuo fratello
quello bello

Sono il chirurgo che ti opera domani
quello che guida mentre dormi
quello che urla come un pazzo e ti sta seduto accanto
il donatore che aspettavi per il tuo trapianto
sono il padre del bambino handicappato che sta in classe con tuo figlio
il direttore della banca dove hai domandato un fido
quello che è stato condannato il Presidente del consiglio
Quelli che vedi
sono solo i miei vestiti
adesso vacci a fare un giro
e poi
mi dici
e poi
mi dici….

Superficiali? No grazie

«La vita non è abbastanza. Allora cosa voglio? Voglio una decisione per l’eternità, qualcosa da scegliere e da cui non mi allontanerò mai, in nessuna oscura esistenza o qualunque altra cosa accada. E qual è questa decisione? Una qualche tipo di febbre della comprensione, un’illuminazione, un amore che andrà oltre, trascenderà questa vita verso nuove esistenze, una visione seria, finale e immutabile dell’universo. 
Questo è ciò che intendo quando dico che “voglio degli Occhi”. Perché dovrei volere tutto questo? Perché qui sulla terra non c’è abbastanza da desiderare, o meglio, qui non esista una singola cosa che io voglia. Perché non voglio una vita terrena? Perché non mi basta? Perché non mi illumina l’anima, non mi riempie il cervello di eccitazione e non mi fa piangere di felicità. Perché vuoi provare queste cose? Perché la ragione e le questioni di fatto, la scienza e la verità non me le fanno provare e non mi conducono verso l’eternità, anzi, mi soffocano come l’aria viziata, stantia».
Jack Kerouac, dal “Diario di Viaggio” 1949 (Un mondo battuto dal vento)

Interessante questo passo, che testimonia come nell’essere umano ci sia una sete di senso che ci richiama, prepotentemente, a non banalizzare la nostra vita.
Dobbiamo trovare il senso, perché l’alternativa alla mancata ricerca è la noia, l’anestesia del cuore e dell’anima, il cervello vuoto di eccitazione (a dirla usando le parole di Kerouac).
Mi sembra che tanto “sballo”, cercato non solo dai giovani ma anche dagli “adulti”, sia l’espressione di una fuga da questa ricerca, un tentativo di non sentire il male che si accompagna alla consapevolezza della nostra fragilità.
Ci siamo evoluti in questa fuga, ma nello stesso tempo ci siamo impoveriti di domande, quelle vere, quelle che spingono a trovare il senso. Stiamo tradendo noi stessi, la nostra stessa umanità. La superficialità vince sulla profondità a cui siamo costretti quando cerchiamo il senso.

Tra le tante citazioni che ho trovato sulla parola “superficialità” ne riporto una

«L’anima soffre – e soffre tremendamente allorché la costringiamo a vivere in maniera superficiale. L’anima ama le cose belle e profonde». (Paulo Coelho)

Tanta bruttezza che vediamo nel mondo può essere la conseguenza di questa superficialità che finisce per distruggere la nostra anima?

Leggiamo cosa diceva Hanna Arendt su Eichmann, il criminale nazista:

«Restai colpita dall’evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause e motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco e mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni ideologiche o specifiche condizioni malvagie, e l’unica caratteristica degna di nota che si potesse individuare nel suo comportamento fu: non stupidità, ma mancanza di pensiero».

Si può affermare, rimanendo in linea con il pensiero della Arendt, che il bene è «radicale», proviene dalla mente, dalla riflessione e dal cuore; il male, al contrario, non si fonda su nulla, nemmeno sull’odio, ma è causato solo dalla totale incapacità critica. Di questo c’è da aver paura.
Per cui, ritornando a Kerouac, dobbiamo aprirci alle domande, e non rassegnarci alla superficialità che ci rende mediocri, insensibili, dis-umani.
L’aridità del pensiero diventa anche aridità del cuore e dell’anima.
Per cui:
Superficiali? No grazie.

Khalif che voleva andare in Europa per studiare e lavorare

«Vado in Europa». Con questa pazzia nel cuore Khalif si è messo a camminare, da solo. Passo dopo passo, lasciandosi alle spalle madre e padre, facendosi inghiottire dal deserto, senza paura, senza voltarsi indietro. Ci vuole coraggio, per noi adulti occidentali che senza navigatore ci sentiamo sperduti anche nel mezzo di una metropoli affollata, ma il viaggio di Khalif, cittadino del Mali, iniziava un anno fa quando di anni ne aveva otto.
«Vado in Europa perché voglio studiare e lavorare», ha detto a se stesso prima che agli altri, ma cos’era questa Europa nemmeno lo sapeva. Come un Eldorado o l’America dei nostri nonni, l’Europa di Khalif doveva essere la fine di ogni tribolazione, il luogo in cui si mangia tutti i giorni, la gente non si uccide per strada, i piccoli vanno a scuola e non a fare il soldato, se stai male ti curano. «Studiare e lavorare». È questa la benzina che lo ha fatto marciare per un anno, tra gli stenti, il lavoro forzato per pagarsi il viaggio, le botte, i ricatti, la prigione. Gli ultimi mesi li ha passati in Libia, l’inferno sulla terra, finché una notte ha avuto il suo angolino su un gommone e ha affrontato il mare nero…
A salvarlo è stata la ‘Mare Jonio’, ormai nota come ‘la nave dei bambini’, tanti ne portava a bordo. «Quando sarò in Europa potrò mandare soldi ai miei genitori », ha spiegato sei giorni fa al giornalista di Avvenire, Nello Scavo, a bordo della Mare Jonio, prima di essere sbarcato dai soccorritori della Guardia Costiera sulla spiaggia di Lampedusa.
Hai qualcuno ad aspettarti in Italia o in altri Paesi? « Non ho nessuno. Farò tutto da solo». Che paura può fare un continente intero, pur sconosciuto e poco accogliente, quando a nove anni si è già traversato il Sahara e si ha vinto la sfida con il mare?


Adattato da Avvenire del 4 settembre 2019 

Khalif è originario del Mali. I capelli corti e una maglietta troppo grande per farlo sembrare davvero grande.
A chi lo ha intervistato non voleva raccontare quello che ha dovuto affrontare: gli insulti degli aguzzini libici; i capricci sporchi dei guardiani della prigione; i piedi che ti fanno male per quante volte ti hanno picchiato perché ti mettessi in riga e chiedessi altri soldi.

Voleva che si sapesse il perché del suo viaggio: «Vado in Europa perché voglio studiare e lavorare»