Uno sguardo può cambiarti la vita

C’era una volta un ragazzo cattivo, che si chiamava Daniel. Pensava di non dover studiare, o lavorare, per poter vivere, e che contasse solo esser ricchi. Così – aveva sì e no 15 anni – cominciò a minacciare e a picchiare i suoi coetanei, a rubare le borsette per strada e la merce nei negozi, finché divenne uno dei bulli più temuti del suo quartiere, alla periferia di Milano.Violento e spietato. Nemmeno quando fu arrestato, Daniel capì che doveva cambiare: anzi, continuava a comportarsi male e a prendere punizioni. Finché per la prima volta nella sua vita incontrò qualcuno – don Claudio, il cappellano del carcere minorile Beccaria – che non lo guardò come un ragazzo cattivo: «Sei migliore di così» disse don Claudio, e si prese Daniel nella sua comunità di recupero. Era il 2015.
Già dopo un anno il ragazzo cattivo non esisteva più: Daniel capì che aveva sbagliato e che la vita doveva avere tutto un altro senso. Cominciò a studiare, dall’Inferno di Dante Alighieri, un librone che gli aveva messo in mano un’anziana professoressa in carcere, che come don Claudio aveva visto qualcosa in lui. E con quelle storie di cattiveria e di dolore, con la poesia, con le regole di condivisione della vita in comunità e il sostegno della sua famiglia, Daniel ricominciò a camminare. Qualche giorno fa questo ragazzo si è laureato brillantemente all’Università Cattolica di Milano in Scienze della formazione. Da bullo che era, oggi, da educatore, vuole spiegare ai ragazzi come si può diventare grandi nonostante gli sbagli, o forse anche grazie a quelli.
Ad assistere alla sua tesi di laurea, oltre a don Claudio e alla professoressa dell’Inferno di Dante, c’era anche il giudice del Tribunale per i minorenni di Milano che lo fece condannare tante volte, fino a costringerlo al carcere: «È una grande vittoria di tutti noi, questa» ha detto stringendolo fra le braccia come una seconda mamma. La pm, insieme a Daniel, gira le scuole e incontra gli studenti raccontando che si può «non cedere alla tentazione del lato oscuro della forza. Lui è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi e in questo è un esempio per i ragazzi».
Il primo ragazzo affidato a Daniel si chiama Bragan, ha 17 anni. Era un ragazzo cattivo, finché Daniel non l’ha guardato come don Claudio ha fatto con lui.
Adattato da Popotus del 18 febbraio 2020


Spiegazione del Padre nostro

Possiamo definire il Padre nostro la preghiera delle preghiere. In un post di molti anni fa lo definivo una sorta di vademecum per vivere da cristiani. Vediamo di entrare nel significato più profondo per coglierne maggiormente il senso. A Dio non interessa certo che recitiamo parole a memoria!

L’apertura si questa preghiera definisce già la natura del rapporto con Dio: siamo figli che si rivolgono al Padre con totale fiducia e amore, con la certezza di poter trovare sempre ascolto, perdono, accoglienza. Non solo. Nel dire nostro, si sottolinea che Dio è Padre di tutti gli uomini e le donne, senza distinzione. Non importa da dove uno venga, quale sia la sua storia, cosa abbiamo fatto di buono o di cattivo. Dio c’è, per lui o lei, ed è pronto ad accoglierlo nel proprio abbraccio in ogni istante.
La preghiera prosegue con altre frasi che identificano Dio come Signore di ogni cosa. Diciamo infatti “che sei nei Cieli”, non per indicare che Lui è lontano da noi, ma per ricordare che, da dove si trova, Egli sa tutto, vede tutto, può tutto, e non per questo smette di essere Nostro Padre.
Da questo punto in poi si susseguono tre dichiarazioni che manifestano l’impegno alla testimonianza (sia santificato il tuo nome), alla fedeltà (venga il tuo regno) e all’amore e totale fiducia in Dio (sia fatta la tua volontà).
“Sia santificato il tuo nome” significa che compito di ogni fedele è quello di glorificare il nome di Dio e renderlo noto a tutti, anche a chi non lo conosce. Con questa formula preserviamo il nome di Dio dal disprezzo, dalla blasfemia di chi non lo riconosce, inneggiamo a Lui con rispetto e gioia, augurandoci che venga rispettato e amato da tutti.
“Venga il tuo regno” è un augurio per rivolgiamo più a noi stessi che a Dio, perché manifestiamo da un lato la speranza che il volere di Dio si compia, che Gesù torni, per la salvezza degli uomini, dall’altro la volontà a fare del nostro meglio perché ogni giorno, intorno a noi, il regno di Dio esista, viva, anche grazie alle nostre buone azioni, al bene che facciamo per i nostri fratelli. Il paradiso può essere molto più vicino di quanto si possa pensare, se ci impegniamo per renderlo reale, per costruirne un pezzetto ogni giorno.
“Sia fatta la tua volontà” vuol dire che che chiediamo a Dio di aiutarci a riconoscere ogni giorno  il suo volere accettandolo con umiltà e fede. Non saremo mai abbastanza lungimiranti, abbastanza saggi, per conoscere il grande piano divino, ma riconoscendone e richiedendone il compimento possiamo ugualmente esserne parte.
Ecco quindi che la preghiera aggiunge “come in cielo, così in terra”: come in cielo gli angeli circondano il trono celeste, glorificando Dio in ogni istante, così dovrebbe essere anche sulla terra, così dovremmo fare noi tutti, per quanto piccoli, indegni. È un altro modo per ricordarci che il paradiso comincia qui, sulla Terra, e che spetta a noi il compito di costruirlo, con la benevolenza di Dio.
Seguono tre richieste: la richiesta del sostegno di Dio (dacci oggi il nostro pane quotidiano), quella del perdono dei peccati (rimetti a noi i nostri debiti), e infine quella di salvezza (e non esporci alla tentazione, ma liberaci dal male).
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” è una richiesta a Dio di darci ciò che davvero ci serve, ciò che
davvero conta. Ma non soltanto ciò che spiritualmente unisce a Dio, ma anche quello che che ci è necessario per il sostentamento. Chiediamo quindi a Dio di darci ciò che ci occorre, e, sottinteso, di liberarci dal desiderio di ciò che è superfluo.
A Dio chiediamo anche di perdonare i nostri peccati, ma non solo: gli chiediamo anche di renderci capaci di perdonare coloro i quali ne hanno compiuti contro di noi. Siamo noi i primi fautori della nostra salvezza: se non impariamo a perdonare i nostri nemici, come possiamo pretendere che Dio perdoni noi? Ecco allora la formula “rimetti a noi i nostri debiti” come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Nessuna preghiera ha valore se non è sostenuta da buone azioni, dal sincero pentimento, dalla reale volontà di fare bene.
Anche la terza richiesta, “e non abbandonarci alla tentazione”, si rifà alla necessità, da parte nostra, di vivere con rettitudine e virtù, di mostrare forza, coraggio, davanti alle avversità, e temperanza e saggezza davanti al peccato, alle tentazioni che il diavolo metterà lungo il nostro cammino. Per questo preghiamo Dio, non tanto perché non ci faccia incontrare queste tentazioni, quanto perché ci renda abbastanza forti per affrontarle e vincerle.
Quando chiediamo a Dio “ma liberaci dal male” lo preghiamo di sostenerci nella nostra battaglia quotidiana, perché noi non siamo ancora come Gesù, non siamo forti come Lui, grandi come Lui, e da soli fatichiamo a volte a combattere contro il male che si manifesta con inganni, tentazioni, difficoltà, affanni. Ancora una volta quello che chiediamo a Dio non è che Lui combatta per noi contro il Male, ma che renda noi abbastanza forti per affrontare e vincere la nostra guerra quotidiana.
(Liberamente adattato da https://www.holyart.it/)

Il sonno della ragione e del cuore

Ho letto che il 15,6% degli italiani nega la Shoa. Per carità – dirà qualcuno – ognuno è libero di pensarla come vuole. Mica tanto – aggiungo io. Negare, in questo caso, è permettere il ripetersi del male.
Pensate che nel 2004 la percentuale dei negazionisti era del 2,7%. Se nel giro di quindici anni circa i dati hanno avuto un progresso cosi esponenziale (siamo sul 2,7 alla terza), che cosa potrà mai accadere tra 20 anni? Certo, è più semplice negare che prendere atto di cosa l’uomo può essere in grado di fare quando rinuncia a pensare con la mente e il cuore. Sì, non mi sono sbagliata a scrivere…. C’è un rapporto tra mente e cuore, tra pensiero razionale e sentimento, che non va scisso. Se lo facciamo, finiamo per giustificare ciò che umanamente è ingiustificabile.
In un certo senso, il sonno della ragione e – aggiungo io – del cuore genera mostri.
Quando parlo di cuore intendo qualcosa che va al di là della semplice emozione. Perché mentre le emozioni arrivano e non riusciamo ad esserne “padroni”, se non fino ad un certo punto, i sentimenti, ed è a loro che mi riferisco quando parlo di cuore, nascono quando le emozioni acquistano valore. Per acquistare valore è necessario dar loro un senso, una ragione. Per dirla in termini più facili, l’innamoramento è qualcosa che mi prende e mi travolge, ma l’amore è una scelta di cuore e ragione. Io scelgo di amare, per ragioni che vanno al di là dell’attrazione e dell’emozione. Il prendersi cura e la fedeltà non sono frutto dell’emozione, ma della responsabilità, che non è irrazionalità o semplice emozione. Ecco perché l’amore non può finire se abbiamo permesso l’evoluzione dell’ emozione.
Viviamo in un mondo che non rende facile questa evoluzione delle emozioni, perché siamo bombardati emotivamente e poco abituati a riflettere e a dare valore. La superficialità disconnette cuore e ragione. Questo mi fa paura.
Ho trovato una frase che viene attribuita alla grande scienziata Rita Levi Montalcini. Ve la condivido e vi auguro di rientrare tra gli “Unici”.