Curare è il primo segno della civiltà

“Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo”.
Questa storia attribuita a Margaret Mead la si ritrova da anni su vari blog o forum. Se si tratti di un fatto realmente accaduto o di una “leggenda universitaria” non sappiamo. 
Quel che è certo è che individua il punto esatto del senso di comunità e cura dell’altro.





Giuseppe Flavio e la storicità di Gesù

Uno dei più importanti documenti non cristiani che sostiene l’esistenza storica di Gesù è il “Testimonium Flavianum”, ovvero la pagina dedicata a Gesù di Nazaret dallo storico ebreo Giuseppe Flavio nell’opera “Antichità giudaiche”, scritta in lingua greca attorno al 93 d.C. 
Luciano Canfora, antichista, docente di filologia greca e latina, ha analizzato questo testo ed è arrivato alla conclusione che il Testimonium (e l’attribuzione a Giuseppe Flavio) sia autentico. Il fatto che tale affermazione venga da un intellettuale marxista molto impegnato la rende ancora più interessante. 

Prendo in prestito le parole di Antonio Socci che nel suo blog Lo straniero ha riportato questa notizia.

Perché è importante il Testimonium? 
Perché conferma l’assoluta attendibilità storica degli eventi di Gesù narrati nei Vangeli. 
Il suo autore, Giuseppe Flavio, è una personalità molto rilevante. Nasce attorno al 37 d.C., appartiene a una delle principali famiglie sacerdotali di Gerusalemme ed è imparentato con la dinastia degli Asmonei. Compie delicate missioni diplomatiche e nel 66 d.C., cominciata la rivolta contro la dominazione romana, viene nominato capo militare delle forze ribelli in Galilea. Di fronte alla sconfitta si consegna ai romani e predice al generale Tito Flavio Vespasiano che sarebbe diventato imperatore. Poi Gerusalemme fu espugnata dai romani, il Tempio distrutto e gli ebrei subirono una strage terrificante. Giuseppe non solo fu liberato dall’Imperatore, ma fu protetto e addirittura “adottato” dalla famiglia Flavia. Nella sua nuova vita di corte, a Roma, fu autore di importanti opere storiche, come – appunto – le “Antichità giudaiche” e “La guerra giudaica”, dove attribuisce la catastrofe bellica agli zeloti. 
I suoi libri sono preziose fonti di informazioni storiche sul mondo ebraico. Egli scrive – fra gli altri – di Giovanni Battista e del martirio dell’apostolo Giacomo, cugino di Gesù e capo della comunità cristiana di Gerusalemme. 
Il famoso passo su Gesù (che riporto nella versione di Canfora) è questo: 

In quel lasso di tempo appare Gesù, uomo sapiente, sempre che si debba definirlo ‘uomo’. Era infatti facitore di mirabilia, maestro di uomini: di quelli che con diletto accolgono le verità. E molti Ebrei e molti dell’elemento greco [pagano] attraeva a sé. Il Cristo lui era! E dopo che, su denuncia dei nostri notabili [primores], Ponzio Pilato l’ebbe condannato alla croce, per lo meno quelli che per primi gli si erano affezionati non smisero. A costoro riapparve infatti [come] vivo tre giorni dopo [la morte]: questo e miriadi di altre cose mirabolanti su di lui avevano detto i divini profeti. E ancora adesso non ha smesso di esistere la ‘tribù’ dei ‘cristiani’, che da lui prendono nome”. 
E’ una testimonianza clamorosa, perché conferma la storicità del racconto dei vangeli (la predicazione di Gesù, i miracoli, la crocifissione e la resurrezione), ma anche perché è scritta da una tale personalità. Giuseppe infatti era nato a Gerusalemme nel 37 in una famiglia sacerdotale che faceva parte parte dell’élite del Tempio durante i fatti di Gesù. I suoi erano stati testimoni diretti dei fatti. Lui stesso visse a Gerusalemme negli anni immediatamente successivi. Dunque nessuno come lui poteva smentire quanto era riferito nei Vangeli. Invece lo conferma in pieno. Se, dal giorno in cui si diffuse a Gerusalemme la notizia della resurrezione di Gesù di Nazaret, le autorità avessero sbugiardato i “galilei”, indicando a tutti dov’era il sepolcro contenente ancora il corpo del crocifisso, Giuseppe Flavio avrebbe scritto che la notizia della resurrezione si era rivelata falsa. Ma così non fece. E neanche riporta la versione ufficiale delle autorità del tempo (che il corpo era stato trafugato dai suoi discepoli). 
Oggi Canfora, da filologo, conferma l’attribuzione a Giuseppe Flavio di questo testo. Ritiene che vi siano solo due frasi “inserite o ritoccate tardivamente” e sarebbero: “se pure lo si può definire uomo” ed “Egli era il Cristo”. 

Il giornalista Socci contesta questa posizione affermando che
«per la prima frase si osserva che pure altrove Giuseppe usa iperboli simili riferite a grandi personalità religiose. Per la seconda frase è stato obiettato che uno scriba cristiano non avrebbe mai detto che Gesù “era” il Messia, il Cristo, ma che “è”. Quell’espressione, invece, appare coerente col pensiero di Giuseppe Flavio per il quale Gesù era un “messia sacerdotale” dei due o tre descritti in certe scritture esseniche, mentre il messia guerriero che portava la pace, secondo lui, era proprio Vespasiano. 
Tuttavia, al di là di questi dettagli (che, anche “corretti”, non cambiano la sostanza), la vera notizia è l’autenticità del Testimonium».

Oggi 9 maggio: Sophie e Rosario

Il 9 maggio si celebra il centenario della nascita di Sophie Scholl, vittima del nazismo a 22 anni nel 1943. Per l’occasione è stata pubblicata una grafic novel dal titolo “Sophie, ragazza d’Europa”, disegnata da Giorgio Romagnoni, in cui due ventenni di oggi dialogano con lei. L’originale prodotto di 16 tavole, edito dal settimanale diocesano Vita Trentina e diffuso anche dal settimanale La Difesa del Popolo di Padova, è stato condiviso anche dall’associazione Rosa Bianca con il contributo di Paolo Ghezzi, studioso di Sophie Scholl: “Questa ragazza può essere sentita come una nostra contemporanea e il linguaggio del fumetto potrà spingere tanti giovani ad appassionarsi dei grandi amori di Sophie: la libertà, la giustizia, la fraternità… ”.

Oggi, 9 maggio, la Chiesa dichiarerà beato il giudice Rosario Angelo Livatino, ucciso dalla mafia, come don Pino Puglisi. 

Una giovane donna ed un giovane uomo trucidati da un sistema perverso (il regime nazista per la prima, l’illegalità e la prepotenza della mafia per il secondo) che non ha a cuore il bene dell’uomo. 
“Picciotti, che cosa vi ho fatto?” sono le ultime parole pronunciate dal giudice Livatino, come ci è stato riferito da uno dei killer. Perché la Chiesa lo ha proclamato beato? Perché Rosario sentiva un fortissimo bisogno di camminare sotto lo sguardo di Dio, consapevole della gravità del compito che aveva, che era quello di giudicare. Il rendere giustizia, era per lui dedizione a Dio, preghiera.
Ideatori e mandanti vollero mettere a tacere per sempre un uomo e un magistrato che incarnava, nella sua professione, il suo ideale di fede e di giustizia. Livatino era consapevole di rischiare la vita e per questo decise di non contrarre matrimonio e di non coinvolgere in un ipotetico agguato degli innocenti. Era un uomo che cercava la normalità del bene e aveva fatto voto di “camminare sempre sotto lo sguardo del Signore”.
Come vedete, è possibile opporsi a quella che qualcuno ha chiamato la “banalità del male”. Tanto nella scelta di Sophie che in quella di Rosario ha contato moltissimo la fede in un Dio che desidera incontrarci per aiutarci a vivere come persone belle, vere, giuste. 
Il giudice Livatino fu chiamato il giudice ragazzino, perché quando morì a 38 anni, per mano di quattro killer e per ordine della Stidda la mafia agrigentina, era il più giovane dei 27 magistrati uccisi in ragione del loro servizio dalla mafia o dai terroristi. 
Anche su di lui, per dare possibilità ai più giovani di conoscerne la storia, è stato realizzato un volume a fumetti.