Un appello di pace

Dal 12 al 14 settembre a Bologna si è tenuto il G20 Interfaith Forum. 

Per tre giorni autorità religiose, intellettuali, accademici e politici si sono confrontati, in vista del G20 di ottobre, il vertice che vedrà riuniti a Roma i leader mondiali. 
Cosa hanno da dire le religioni al mondo? 
Eccovi alcuni punti che sono emersi da questo incontro:
– nessuna religione può mai accettare di essere utilizzata per la violenza e per la guerra
– l’attenzione all’altro è il vero modo per servire Dio
– bisogna inaugurare il tempo del prendersi cura gli uni degli altri, altrimenti la pace e la tolleranza, che sono valori universali, non potranno realizzarsi
– i Grandi della Terra si impegnino per «guarire il mondo» da guerra e ingiustizia.
Il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha sottolineato che in gesti piccoli ma concreti dobbiamo affermare quanto «la sofferenza di ciascuno ci riguardi». Ha continuato dicendo che «Non possiamo perdere la consapevolezza che tragicamente ci ha dato la pandemia. Non possiamo semplicemente metterla tra parentesi e dimenticarla. Dobbiamo cogliere questo tempo», «non arrivarci per contrarietà» (citazione da Eskimo, canzone di Francesco Guccini).
«Quante strade – ha domandato il cardinale, parafrasando la celebre Blowin’ in the wind di Bob Dylan – deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?». 
La pace, è stato sottolineato in questo Forum, deve essere un obiettivo da raggiungere giorno dopo giorno, con costanza, pazienza, passione. Dal Forum è partito un appello delle autorità religiose, strutturato in tre preposizioni:
– «noi non uccideremo» 
– «noi ci soccorreremo» 
– «noi ci perdoneremo ».
Essere e voler essere ‘fratelli tutti’ è il ‘punto di Archimede’, l’antidoto autentico contro quello che è stato definito il «riscaldamento globale del religioso» che assume i tratti dell’intolleranza e del fanatismo religioso.
 

 

 
 

 

Per cominciare

Ispirata dal libro di S. Rossi, Menti critiche, cuori intelligenti. Educare alla cittadinanza con 40 card dell’empatia, Pearson 2020, ho pensato di introdurre il nuovo anno scolastico proponendo, attraverso un’immagine ed una storia, alcune parole su cui riflettere. Queste parole faranno da cornice ai percorsi che verranno costruiti per le diverse classi.

“Fare scuola” non è, parafrasando Plutarco, riempire le teste, ma accendere fuochi. Impresa ardua, che non riguarda solo il docente, ma anche l’alunno, perché per appassionarsi non basta un bravo trascinatore, ma è necessaria anche la disponibilità ad aprirsi alla passione. La noia, di cui a volte siamo vittime, è frutto di una rinuncia a ricercare dentro (soprattutto) e fuori di noi quel qualcosa che può “accenderci”. La rinuncia molte volte, se non sempre, è conseguenza della paura di rimanere delusi, di soffrire, di “faticare”. E invece c’è bisogno di scuotersi, di accettare le pro-vocazioni, di incominciare a incamminarsi per una “strada” (la proposta dell’insegnante) di cui può non essere chiara la meta. 
Vorrei dire ai ragazzi proprio questo: 
può valer la pena fidarsi del prof, perché la sua passione può aprirvi la possibilità di comprendere la vostra passione. Ma se chiudete la porta non c’è possibilità di entrare 😥.
 
La prima immagine è collegata alla parola Resilienza.
 
 
Quest’altra immagine l’ho collegata alla parola Diversità.
 
 
La parola Deumanizzazione è introdotta da questa.
 
 
Per Senso di comunità proporrò invece questa.
 
 
La riflessione sull’amore per il sapere è a partire da questa immagine.
 
 
Ogni classe avrà la sua immagine con la sua parola, anche se, pensando al particolare momento che stanno vivendo, a tutte le classi prime proporrò la parola Resilienza. 
All’immagine segue, dopo un primo scambio di idee, un aforisma ed una serie di domande per la riflessione. Ho pensato, seguendo lo stile del testo di cui vi parlavo, di aggiungere una breve storia e di lasciare poi gli alunni liberi di esprimere le conclusioni a cui sono arrivati nella modalità che preferiscono.