Una cosa più grande

A conclusione di questo anno scolastico, spero di avervi lasciato l’idea, cari studenti, che ci sono domande di senso che accompagnano la nostra vita e che c’è qualcosa di più grande che ci riguarda. Come ogni anno siamo partiti dalla realtà in cui viviamo (e che viviamo) per provare ad avere uno sguardo più ampio che ci aprisse alla ricerca umana di senso e al confronto con il mondo della religione. Certo, il focus era puntato sulla religione cattolica ma il grandangolo 😉 ci ha permesso di conoscere e confrontarci con altri sistemi di significato. Vi saluto tutti, cari ragazzi, con questa canzone, che può essere letta con quello sguardo che ci fa intravvedere un oltre a cui, in quanto umani, tendiamo.

 

BILANCIARE IL MALE CON IL DONO DI SE’

A scuola, in questi giorni, non si riesce ad ignorare quello che sta accadendo. I ragazzi fanno domande, esprimono dubbi e paure, prendono posizione. Su una cosa sono un po’ tutti d’accordo, che rispondere al male con il male è una strada che può rivelarsi pericolosa. Ma cosa si può fare? Le catene del male sono sconfitte dai segni di pace che ognuno di noi può realizzare. 
Riporto un servizio pubblicato su Avvenire di ieri che traduce in fatti concreti quanto vado dicendo da giorni agli studenti. 

È primo pomeriggio: nell’atrio dell’Arsenale della Pace del Sermig di Torino è un continuo arrivare di aiuti che partiranno per l’Ucraina: c’è chi raccoglie, chi divide, chi inscatola… 
Centinaia di giovani proseguiranno fino a sera, senza sosta, ed è così da giorni. Tra loro Vanessa, 16 anni, frequenta la terza liceo classico. «Vengo qui al Sermig a fare servizio ogni sabato, ma vista la situazione di emergenza, ora sono qui quasi tutti i giorni». La pace? «Per me è questo: fare qualcosa per gli altri, qualunque aiuto è un gesto di pace, anche riempire degli scatoloni…». Un’idea maturata a poco a poco: «Fino a qualche anno fa quando sentivo persone che dicevano che ‘fare del bene ti torna indietro’ pensavo fosse una frase fatta, poi sono venuta qui un’estate e ho capito che è davvero così, nel senso che il fare il bene è come piantare un seme di pace, di giustizia: tutti poi godranno di quello che cresce, anche tu stesso ». Un esempio? «Qualche giorno fa sono arrivati due ragazzi che litigavano, sono stati accolti, si sono messi anche loro a inscatolare e a poco a poco, facendo per gli altri il loro astio si è dissolto. Credere e costruire la pace è spostare lo sguardo sugli altri, ciascuno con le proprie capacità, attitudini… Parlando in questi giorni con i miei coetanei nessuno di noi si sarebbe aspettato di venire qui per una guerra, siamo sconvolti da quello che sta accadendo in Europa, ma non per questo ci scoraggiamo: continuiamo a impegnarci con il nostro servizio per la pace, e non per la pace di un popolo, ma di tutti. Credere nella pace significa volere che tutti ne possano godere». 
Accanto a Vanessa Marta, 27 anni, da 7 mesi volontaria al Sermig: «Pace è il frutto del mettersi in gioco, del donarsi. Tutti abbiamola possibilità di contribuire alla giustizia e alla pace perché tutti abbiamo la possibilità di donare qualcosa e qui lo vedi spesso. Arrivano le persone a portare aiuti e chiedono di dare una mano a loro volta. Questo è un grande segno di speranza per noi giovani, un invito a continuare su questa strada. Pace per me è soprattutto relazione di accoglienza verso chi si incontra: anche un sorriso è uno strumento di pace». 
Mattia fa parte della Fraternità, con un megafono richiama l’attenzione su come procedere a inscatolare, poi anche lui si ferma un attimo: «Pace? È restituzione, è ridare a tutti la dignità di cui hanno diritto. Qui siamo a migliaia a cercare di non subire passivamente la guerra, bilanciando il tanto male con il bene del dono di sé e della condivisione». (articolo di Federica Bello)

Dalla parabola dei Talenti alle Beatitudini

Agli studenti ho proposto una lettura un po’ insolita della parabola dei talenti arrivando ad associarla al Discorso della Montagna.
Solitamente noi interpretiamo il talento come le capacità che abbiamo (saper cantare bene, giocare a calcio come un campione, essere un asso nella matematica, ecc….), ma la parabola ci dice che quell’uomo,  «partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì» (Mt 25, 14-15). La capacità è quindi la condizione che fa sì che ognuno di loro riceva un numero diverso di talenti. La diversità del numero non deve però essere intesa come una sorta di preferenza che quel signore ha per uno piuttosto che per l’altro, ma come una grande sensibilità che lo porta a non dare a nessuno di loro un compito che va oltre le proprie capacità personali. Insomma, questo signore è un uomo giusto, perché, come diceva don Milani, “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”.
La parabola è un genere letterario che sollecita il paragone: il signore è Dio, i servitori siamo noi. E il talento? sicuramente è un dono di Dio che siamo chiamati a mettere a frutto. Quale dono? mi viene da pensare alla possibilità di bene che Dio ha dato ad ognuno di noi e che ciascuno è chiamato a realizzare con le capacità che ha. 
Il tempo che stiamo vivendo ci interpella a non fare come il terzo servo della parabola: il mondo ha bisogno di persone che testimonino che il Bene (quello con la B maiuscola perché è quello vero, quello che rispetta la dignità di ogni essere umano) è possibile, anche in mezzo a tanto male. 
Proprio per sottolineare che il Bene è la scelta che va fatta se vogliamo essere felici, Gesù ha stilato un elenco di Beatitudini, cioè di scelte che ci portano alla felicità, proprio perché sono scelte concrete di Bene. Se prendete la versione di Matteo (capitolo 5)  potete arrivare a contare 10 Beatitudini (rallegratevi ed esultate sono le ultime due). Il numero 10 richiama il Decalogo e come per il Decalogo  anche questo elenco è per la felicità dell’uomo (vedi Dt 5, 32). Una felicità che non ha nulla a che fare con il potere, la prepotenza, l’indifferenza, il rancore, ecc…. , ma che si realizza operando con umiltà, impegnandosi per la pace e la giustizia, non cercando la vendetta, non rimanendo indifferenti alla sofferenza dell’altro….
In sintesi, la strada da seguire è quella che rende concreta la possibilità di Bene. Ognuno è chiamato a farlo con le capacità che ha, ma guai a chi per pigrizia, per tornaconto personale, per insensibilità, per indifferenza, ecc… non avrà operato per il Bene, perché di questo Bene mancato dovrà rendere conto. Avete mai sentito parlare dei peccati di omissione? Per vigliaccheria, distrazione, quieto vivere, chiudiamo gli occhi o voltiamo la testa dall’altra parte e non facciamo quel Bene che avremmo potuto.  Essere cristiani secondo il Vangelo, significa essere presenti nel mondo e nella storia. «Dio non ci chiederà – ha detto  papa Francesco nell’omelia di una delle giornate mondiali dei poveri – se avremo avuto giusto sdegno ma se avremo fatto del bene».
Nell’immagine che segue sono contenuti tanti nomi. Alcuni conosciuti, altri meno, ma si tratta di uomini e donne che hanno vissuto pienamente la propria vita perché hanno cercato di costruire il Bene. Credo che ognuno di loro ci conferma che vivere le Beatitudini è possibile, se si permette a Dio di starci accanto.



La responsabilità dei campioni dello sport

Mentre leggevo l’articolo ho pensato ai “miei” studenti dello Sportivo. I ragazzi lo sanno che ho un’idea sullo sport che sa di antico: il vero agonismo non è contro qualcuno, ma è esercitarsi alla disciplina, al sacrificio, alla lealtà. Certo che vincere è bello e dà soddisfazione, ma non può essere a tutti i costi. Ma anche perdere con dignità ha un grande valore. 

Visto il clamore di questi giorni che ha riguardato un grande campione, vi lascio queste righe di Mauro Berruto, pubblicate su Avvenire del 19/01/2022. 
 
Per tanti giorni si è discusso intorno a un’idea: un atleta, oltre a produrre una performance e offrire ai suoi tifosi, definiamola così, una dimensione estetica del gesto tecnico, deve essere un modello di comportamento? Deve ispirare? Deve trasmettere valori oltre che fare gol, canestri, schiacciate? O quanto meno deve sentire un senso di responsabilità, in quanto possessore di una piattaforma di visibilità e di un megafono che amplifica a dismisura la sua voce? 
Più volte mi sono espresso su questo tema attraverso questa rubrica settimanale, non voglio aggiungere il mio punto di vista. Così, nella stessa settimana in cui avremmo festeggiato l’ottantesimo compleanno di Muhammad Alì, l’atleta che forse più di tutti nella storia dello sport ci ha insegnato che uno sportivo, anche quando in attività, è chiamato a schierarsi e a dire come la pensa, lascio spazio alle parole scritte personalmente da Dan Carter, leggendario mediano d’apertura degli All Blacks, pubblicate sul sito “The Players Tribune” in occasione del suo ritiro nel febbraio del 2021. Eccole: 
«A vent’anni giocavo a rugby e lavoravo part-time, vivendo in casa con un gruppo di universitari. Avevo l’ambizione di diventare un professionista, ma a quel tempo il mio obiettivo principale era riuscire a pagare l’affitto. Un giorno venni fermato da un uomo per strada. Mi salutò e iniziò a parlare come se ci conoscessimo bene. Parlammo a lungo di rugby e durante l’intera chiacchierata continuai a chiedermi chi fosse. Un mio vecchio professore? Un amico di mio padre? Alla fine capii, non conoscevo quell’uomo. Era semplicemente qualcuno che mi aveva visto giocare nel weekend. Quell’uomo aveva dedicato 20 minuti del suo tempo a una conversazione con me, solo perché aveva apprezzato il mio modo di giocare, il mio modo di interpretare lo sport che tanto amavo. Per questo quando iniziai a ricevere molte lettere dai fans, decisi che avrei risposto a tutti. 
Ho sempre apprezzato e non ho mai dato per scontato il fatto che tanti tifosi convogliassero le loro emozioni nelle mie performance sportive. Ci sono tante cose che fanno faticare le persone, che le fanno lottare nella vita, cose che spesso quelle persone non possono controllare. Tutti abbiamo le nostre battaglie, ma sapere che per 80 minuti gli appassionati potevano guardarmi giocare e annullare il loro stress quotidiano è stato speciale per me. 
Mentre la mia carriera progrediva ho imparato molto riguardo al potere dello sport e di quanto una singola partita possa avere un impatto sugli altri. Il più grande esempio di tutto ciò l’ho vissuto nel 2011, quando Christchurch venne messa in ginocchio da un enorme terremoto. La comunità fu colpita duramente e per una grossa parte di essa il rugby divenne un modo per sfuggire al trauma che stava vivendo. Non ho mai fatto parte di una squadra in grado di lavorare più duramente di quella: il nostro obiettivo era regalare qualcosa per cui potersi sentire positivi a quelle persone che stavano soffrendo. Nel momento del ritiro, la mia più grande speranza è che le mie gesta abbiano acceso la scintilla in almeno un ragazzo, che quella scintilla lo motivi a dedicare tutto sé stesso a un sogno impossibile. E forse quel ragazzo, investendo cuore e fatica, potrà capire che i sogni impossibili, dopotutto, non sono così impossibili». 
 
Accendere una scintilla, far brillare gli occhi, lasciare una traccia, un segno, un marchio, un’eredità. Ecco la responsabilità dei campioni dello sport.
 

 

 

 

 

 

 

 

L’ora di religione: il kit del buon senso e del rispetto

Nonostante la lunga carriera di insegnamento, confesso di fare ancora fatica a digerire il meccanismo che mi sottopone ogni anno al gradimento dell’utenza. A cosa mi riferisco? Al fatto che i miei studenti potrebbero decidere di non frequentare più le mie lezioni. Perché? perché insegno religione. Non mi venite a dire, per favore, che se uno perde gli alunni è perché non è stato bravo e avvincente. Accetto di mettermi in discussione, ma vi rendete conto che è troppo allettante poter scegliere il nulla? Entrare un’ora dopo o uscire un’ora prima…..
Si chiede ai ragazzi un grande senso di responsabilità che neanche noi adulti abbiamo. 

Vi riporto il messaggio della presidenza della CEI rivolto a genitori e studenti. 

Cari studenti e cari genitori, nelle prossime settimane si svolgeranno le iscrizioni on-line al primo anno dei percorsi scolastici che avete scelto. In quell’occasione, sarete chiamati a esprimere anche la vostra scelta se avvalervi o non avvalervi dell’Insegnamento della religione cattolica (IRC), una materia che, per sua natura, favorisce il dialogo e il confronto tra persone ed esperienze diverse. 
Con molta chiarezza, infatti, le Indicazioni didattiche dell’IRC per tutti i gradi di scuola chiedono che gli alunni siano aiutati a “sviluppare un positivo senso di sé e sperimentare relazioni serene con gli altri, anche appartenenti a differenti tradizioni culturali e religiose” (Indicazioni per l’Infanzia), fino ad affermare che “l’IRC, nell’attuale contesto multiculturale, mediante la propria proposta, promuove tra gli studenti la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo, educando all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace” (Linee per i Licei). 
Proprio considerando il contesto nazionale e mondiale di questi mesi, crediamo che il valore del dialogo sereno e autentico con tutti debba essere un traguardo importante da raggiungere insieme
Avvalersi, nel proprio percorso scolastico, di uno spazio formativo che faccia leva su questo aspetto è quanto mai prezioso e qualifica in senso educativo la stessa istituzione scolastica. 
Ci piace, in proposito, ricordare alcune espressioni che Papa Francesco ha pronunciato in occasione dell’incontro sul Patto Educativo Globale lo scorso 5 ottobre 2021: 
«Da sempre le religioni hanno avuto uno stretto rapporto con l’educazione… [Essa] ci impegna a non usare mai il nome di Dio per giustificare la violenza e l’odio verso altre tradizioni religiose, a condannare ogni forma di fanatismo e di fondamentalismo e a difendere il diritto di ciascuno a scegliere e agire secondo la propria coscienza. Se nel passato, anche in nome della religione, si sono discriminate le minoranze etniche, culturali, politiche e di altro tipo, oggi noi vogliamo essere difensori dell’identità e dignità di ogni persona». 
Queste parole di Papa Francesco ci paiono particolarmente significative anche per esortare ciascuno di voi a scegliere l’IRC: aderendo a questa proposta, manifestate il vostro desiderio di conoscenza e di dialogo con tutti, sviluppato a partire dai contenuti propri di questa disciplina scolastica
Avvalersi delle opportunità offerte dall’Insegnamento della religione cattolica a scuola permette, inoltre, di incontrare degli insegnanti professionalmente qualificati e testimoni credibili di un impegno educativo autentico, pronti a cogliere gli interrogativi più sinceri di ogni alunno e studente e ad accompagnare ciascuno nel suo personale e autonomo percorso di crescita
Ci auguriamo che possiate accogliere con generosità questa occasione di crescita, così da poter iniziare o continuare tra voi e con i vostri docenti un proficuo dialogo educativo.
Proprio a sottolineare l’occasione di crescita offerta da questo insegnamento, ho preparato questo:

De-umanizzazione

Nell’abbraccio di questa giovane donna (che ha perso la vita nell’attentato all’aeroporto di Kabul) vediamo la capacità di cura di cui sono capaci gli esseri umani. Quando riusciamo a riconoscere noi stessi nell’altro mettiamo in atto quel principio di umanità che nelle religioni è riconosciuto come La Regola d’oro: “Fai agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te”. Quando questo principio viene meno si è capaci di compiere azioni disumane perché l’altro diventa una cosa, un nemico, un ostacolo ai miei obiettivi. 
Credo che abbiamo da riscoprire e praticare questa capacità di saperci rispecchiare nell’altro. La storia, odierna e del passato, ci insegna che perdiamo la nostra umanità in tutti i tentativi che facciamo di “cosificare” l’altro: pensiamo ai lager nazisti (ma non solo), al fondamentalismo religioso e non.
Diventare umani, come dico sempre, è il compito che ci spetta, e tanto più ci impegneremo in questo (e chi è cristiano sa che può contare nella grazia di un Dio padre amorevole), tanto più potremo contribuire alla costruzione di un mondo più umano.





 

Ad una classe

Alcuni studenti di scuola superiore hanno espresso il timore di non sapere se avrebbero continuato la scuola, se fossimo ritornati in dad. Che fatica questi due anni!!! Quanto ci affatica anche pensare che gli sforzi e i sacrifici fatti potrebbero non essere sufficienti. 
Diventare umani è veramente un percorso difficile, perché quando la strada si fa ardua e tortuosa, l’istinto ci dice di fuggire. E ognuno fugge/sfugge a modo suo. Cosa ci può salvare allora? 
Credo che, quando si fa fatica a trovare il senso (e il verso), c’è bisogno di qualcuno che ci dica cosa fare: un padre, una madre, un fratello grande, un insegnante… Qualcuno però che ci voglia veramente bene. Che ci convinca del bene che desidera per noi.
Riponendo fiducia nella persona giusta, non dovremmo più sentirci soli nell’affrontare i momenti difficili. 
Potrebbe esserci chiesto di andare avanti, comunque. Potrebbe venirci chiesto anche in modo duro, perentorio, senza però che venga meno il rispetto della nostra dignità. 
Crescere vuol dire anche fidarci delle regole che ci vengono date. Avere troppa libertà di scelta può lasciarci smarriti; «fai come ti pare» potrebbe significare «non voglio così tanto il tuo bene, da prendermi la responsabilità di dirti cosa è meglio, in questo momento, per te».




L’opera d’arte che io sono

Uno scultore stava lavorando col suo martello e il suo scalpello su un grande blocco di marmo. 
Un ragazzino, che passeggiava leccando il gelato, si fermò davanti alla porta spalancata del laboratorio. 
Il ragazzino fissò affascinato la pioggia di polvere bianca, di schegge di pietra piccole e grandi che ricadevano a destra e a sinistra. 
Non aveva idea di ciò che stava accadendo: quell’uomo che picchiava come un forsennato la grande pietra gli sembrava un po’ strano. 
Qualche settimana dopo, il ragazzino ripassò davanti allo studio e con sua grande sorpresa vide un grande e possente leone nel posto dove prima c’era il blocco di marmo. 
Tutto entusiasta, il bambino corse dallo scultore e gli disse: “Signore, dimmi, come hai fatto a sapere che c’era un leone nella pietra?”. 
Da Bruno Ferrero, La vita è tutto quello che abbiamo, Elledici 2002 

Lo scultore già vede in quel blocco di marmo il leone, che ha bisogno del suo lavoro di scalpello per venire fuori. Anche noi siamo come blocchi di marmo in cui a volte rimane imprigionato il capolavoro che dovremmo essere. 
C’è bisogno di qualcuno che ci immagini/sogni come un capolavoro. A volte invece capita di venire denigrati, di percepire che per gli altri non valiamo niente, che da noi non potrà venire nulla di buono. 
Che brutta cosa!!! 
Se si viene pensati male, si finisce per comportarsi male. Se invece qualcuno riesce a vedere oltre e ci restituisce un’immagine di noi positiva, le cose cambiamo. Eccome se cambiano!!!
Chi sono io, allora? Solo il blocco di marmo o il leone che potrei diventare? 
Cosa dice la sapienza della religione? sono marmo e niente più o custodisco una bellezza che è stata pensata da Dio ed ha bisogno di essere espressa?




Un gioco per rilassarvi preview

Autostoppisti sfiduciati o esploratori coraggiosi?

Mentre sto sistemando le relazione di fine anno, mi ritorna alla mente una riflessione proposta ai ragazzi più grandi, frutto delle suggestioni raccolte dal libro di S. Rossi, Didattica cooperativa e classi difficili, Pearson 2020.
Data la mia proverbiale capacità di perdermi tutto o quasi (nel senso che il più volte non mi ritrovo quello che metto da parte 😊), inserisco nel post la presentazione preparata appositamente. Così sono sicura che la ritrovo 😂.

autostoppisti sfiduciati o esploratori coraggiosi?

Il mio saluto ai ragazzi del Liceo

Vi offro, come mia abitudine alla fine di ogni anno scolastico, un frase che vuole essere una raccomandazione, ma anche un augurio per i vostri giorni di spensieratezza estiva.

  Progetto creato con PosterMyWall 

Vi lascio anche queste frasi: 

Ci vorrebbe più rispetto
Ci vorrebbe più attenzione
Se si parla della vita 
Se parliamo di persone 
Siamo il silenzio che resta dopo le parole 
Siamo la voce che può arrivare dove vuole 
Siamo il confine della nostra libertà 
Siamo noi l’umanità 
Siamo il diritto di cambiare tutto e di ricominciare. 
Ricominciare. 

E anche se a volte vi sembra che la vita vi deluda, sappiate che potete essere capaci di sopportare il peso del coraggio.
Ma questo richiede che non pensiate in maniera disattenta.
PS: come vedete, la prof sempre quello ha in testa 🤣.