Bambini e diritti nell’era della Rete

Della Convenzione sui diritti dell’infanzia abbiamo già avuto modo di parlare. Cinquantaquattro sono gli articoli che la compongono e 194 sono gli Stati che l’hanno sottoscritta. Tra i vari diritti elencati ci sono quello ad avere un nome, a essere protetti, curati e istruiti, a giocare, ma anche a esprimere le proprie idee e a conoscere i propri diritti. 
Quando il documento fu approvato era il 20 novembre 1989 e Internet non era ancora stato inventato. Per questo la Carta va aggiornata. L’Onu ha allora chiesto a 709 bambini provenienti da 28 Paesi, ma anche ad alcuni esperti, quali punti andrebbero inseriti. 
Con l’aiuto di Popotus, l’inserto di Avvenire (13/04/2021) per i giovani lettori, vi elenco quanto è emerso. 
Tutti uguali, anche nel digitale 
La possibilità di accedere a internet è diventata molto importante: negli ultimi mesi grazie alla Rete è stato possibile continuare a fare lezione, anche quando le scuole sono state chiuse, o vedere i nonni e gli amici che non potevamo incontrarci di persona a causa del Covid. Un diritto, questo, che dev’essere garantito a tutti, non solo a chi è ricco ed esperto. Per questo tutti i bambini, anche quelli che vivono in montagna o in posti lontani dalle città, devono potersi collegare senza pagare un prezzo esagerato e devono possedere gli strumenti per farlo. A volte però avere un computer o un tablet non basta, bisogna anche saperli usare: i più piccoli devono poter avere un adulto vicino che li aiuta non solo a entrare in Rete ma anche a muoversi in un ambiente che, a volte, può essere difficile e pericoloso. 
Agli sconosciuti bisogna dire no 
Anche stando a casa davanti al computer ci si può fare male. Si possono incontrare i bulli, che quando non hanno di fronte nessuno in carne e ossa diventano ancora più bulli: ma gli insulti in Rete non fanno meno male, anzi. Ci si può imbattere anche in adulti che chiedono delle foto, che non bisogna mai inviare (e se succede è necessario avvisare subito i genitori o gli insegnanti), o in altri che propongono di entrare in gruppi che fanno giochi pericolosi, a causa dei quali alcuni bambini sono morti, o che vorrebbero arruolare la guerra (questo non succede in Italia ma in altri Paesi purtroppo sì). La Convenzione dice che bisogna sempre tener conto dell’interesse superiore del bambino, che è non correre rischi e crescere sereno. Anche stare troppe ore davanti a uno schermo non fa bene: meglio parlare, leggere e giocare. 
Navigare online solo in sicurezza 
Le opportunità che offre internet anche ai bambini sono davvero tante: si possono conoscere cose nuove, diventare capaci di farne altre, entrare in contatto con persone che vivono dall’altra parte del mondo, scoprire abilità che non si credeva di avere. Pensate, per esempio, a chi non ha la possibilità di viaggiare o abita lontano da un museo o da una biblioteca o a causa di una malattia deve trascorrere un periodo in ospedale: grazie alla Rete non è costretto a restare isolato e a smettere di imparare. L’importante è sapere come muoversi: occorre conoscere la strada, le regole per spostarsi, il tempo previsto. È un compito che spetta soprattutto agli adulti, chiamati a guidarvi e a proteggervi: anche per molti di loro il digitale è un mondo poco conosciuto e hanno bisogno di essere formati. 
Sempre protetti, perfino da se stessi 
Ci sono bambini che hanno bisogno di una protezione speciale perché corrono più rischi: si tratta dei bambini con disabilità, ma anche di quelli che sono scappati da Paesi in guerra, che sono stati abbandonati o separati dalle loro famiglie, che sono perseguitati per la loro religione. Un telefono o un tablet possono aiutarli a comunicare, a trovare informazioni che possono salvare loro la vita: devono perciò essere accessibili e semplici da usare. Tutti gli Stati devono avere leggi per proteggere i più fragili, per evitare che vengano presi in giro, che venga fatto loro del male o che arrivino in posti pericolosi: per questo bisognerebbe riuscire a verificare la vera età di chi gira in Rete. Molti bambini si fingono più grandi per potersi iscrivere ad alcuni social: così facendo frequentano un ambiente che non è adatto a loro. 
Il bello della partecipazione 
Far sentire la propria voce: forse è la cosa più bella che il digitale permette di fare. L’articolo 12 della Convenzione dice che i bambini hanno diritto a esprimere la loro opinione e a essere ascoltati. Spesso non è così facile far sapere ciò che si pensa a chi deve prendere le decisioni. Quest’ultimo anno è stato molto difficile: a volte è sembrava che i bambini fossero scomparsi. I più piccoli sono rimasti senza voce, invisibili. Grazie a internet anche il pensiero dei bambini può viaggiare veloce e arrivare praticamente ovunque: gli adulti dovrebbero creare piattaforme adatte, sistemi per facilitare la partecipazione dei bambini, e abituarsi a chiedere il loro parere un po’ su tutto, come ha fatto l’Onu quando ha deciso di estendere anche al mondo digitale i diritti contenuti in questa Carta pensata per voi più di 30 anni fa.




Il re dei versi

Sappiamo che san Francesco passò a San Severino Marche. Vi ho già raccontato dell’episodio dell’agnellino ed ora aggiungo alla storia un altro tassello. 
Le fonti francescane dicono che, durante il soggiorno di Francesco a San Severino nel 1212, avviene la conversione di Guglielmo da Lisciano, un trovatore noto come il “re dei versi”. L’incontro con Francesco risulta determinante per Guglielmo che decide di cambiare vita, assumendo il nome di Pacifico e diventando uno dei più stretti e fedeli compagni del Poverello d’Assisi. 
Nel 1217 Pacifico è, infatti, inviato in Francia per fondare l’Ordine francescano; rientrato in Italia nel 1223-1225, egli ritorna intorno al 1230 definitivamente in Francia, dove muore nel 1234. Tommaso da Celano così descrive la conversione di Guglielmo Divini nel Capitolo LXXII della Vita seconda di San Francesco: 

«Vi era nella Marca d’Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all’oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato “il Re dei versi”, perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato con molte glorie dall’Imperatore. […] Per disposizione della divina provvidenza, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse. Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l’altro era venuto a casa di una sua parente con molti amici. La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe di traverso, molto splendenti: l’una si stendeva dalla testa ai piedi, l’altra, trasversale, da una mano all’altra, all’altezza del petto. Non conosceva personalmente il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, subito cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l’adempimento al futuro. Ma il Padre, quando cominciò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada di Dio. Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino. L’altro, senza frapporre indugi, rispose “Toglimi dagli uomini e rendimi al grande Imperatore”. Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell’abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore». 
Alcuni storici propendono per un ruolo importante di Fra Pacifico nella revisione e redazione del Cantico di Frate Sole. Per chi fosse interessato ad approfondire la storia suggerisco questo link https://www.ilsettempedano.it/2017/10/09/storia-locale-guglielmo-divini-da-re-dei-versi-a-frate-pacifico/ , ma ricordo anche il libro, recentissimo, Francesco giullare di Dio. Raccontato ai giovani da frate Pacifico «re dei versi» di padre Raniero Cantalamessa.
 
 
La prefazione al libro è stata redatta da papa Francesco. Vorrei riportarvi alcuni passaggi. 

Rivolgendosi ad un giovane in ricerca, come lo era Gugliemo, il papa scrive: 

[…]Dio si lascia trovare, sì, ma solo dall’uomo che lo cerca con tutto il cuore. Apri i Vangeli, leggi degli incontri di Gesù con le persone che andavano a lui e vedrai come per alcuni di loro le sue promesse si sono realizzate. Sono quelli per cui trovare una risposta era divenuto questione essenziale. 
Il Signore si lasciò trovare dall’insistenza della vedova importuna, dalla sete di verità di Nicodemo, dalla fede del centurione, dal grido della vedova di Nain, dal pentimento sincero della peccatrice, dal desiderio di salute del lebbroso, dalla nostalgia della luce di Bartimeo.[…] 
Chi cerca trova se cerca con tutto il cuore, se per lui il Signore diventa vitale come l’acqua per il deserto, come la terra per un seme, come il sole per un fiore. E questo, se ci pensi bene, è molto bello e molto rispettoso della nostra libertà: la fede non si dà in maniera automatica, come un dono indifferente dalla tua partecipazione, ma ti chiede di coinvolgerti in prima persona e con tutto te stesso. È un dono che vuole essere desiderato. È, in sostanza, l’Amore che vuole essere amato. Forse tu hai cercato il Signore e non lo hai trovato, ma permetti anche a me di consegnarti una domanda: quanto era forte il tuo desiderio di Lui?[…] 
Il re dei versi, la cui storia leggerai nelle pagine che seguono, amava la vita e, come ogni giovane, desiderava viverla appieno. Era uno tra i più famosi cantori del suo tempo e nel suo impetuoso desiderio di pienezza cercava senza saperlo Colui che solo può riempire il cuore dell’uomo. Cercava e fu trovato. Questo ci mostra una verità ancora più profonda: il Signore desidera che tu lo cerchi perché egli possa trovarti. Deus sitit sitiri disse san Gregorio di Nazianzo, cioè, Dio ha sete che si abbia sete di Lui, perché trovandoci così disposti egli possa finalmente incontrarci. 
Egli che ci invita a bussare, in realtà si presenta per primo alla porta del nostro cuore: 
«Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). […] 
Il re dei versi incontrò frate Francesco un giorno nel monastero di Colpersito a San Severino Marche; fu trafitto dalla sua parola e una scintilla nuova si accese dentro di lui. Avvenne, forse, per lui, quello che avvenne per san Paolo sulla via di Damasco: che la luce di Dio «rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). Egli vide Francesco nello splendore della sua santità e in lui intravide la bellezza del volto di Dio. Quello che aveva sempre cercato ora finalmente lo trovava, e lo trovava grazie a un uomo santo. E, come per san Paolo, quelle cose che per lui erano guadagni le considerò una perdita, una spazzatura, dinanzi alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù (cf. Fil 3,7-9). 
Subito ruppe ogni indugio: «Che bisogno c’è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi dagli uomini e rendimi al grande Imperatore! ». Quando il Signore chiama a sé non vuole compromessi o tentennamenti da parte nostra, ma una risposta radicale. Gesù direbbe: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Mt 8,22). 
In quel giorno nacque un uomo nuovo, non più Guglielmo da Lisciano, il re dei versi, ma fra Pacifico, un uomo abitato da una pace nuova prima sconosciuta. Da quel giorno divenne tutto di Dio, consacrato interamente a lui, uno dei compagni più intimi di san Francesco, testimone della bellezza della fede.[…] Dio non ha smesso di chiamare, anzi, forse oggi più di ieri fa sentire la sua voce. Se solo abbassi altri volumi e alzi quello dei tuoi più grandi desideri, la sentirai chiara e nitida dentro di te e intorno a te. Il Signore non si stanca di venirci incontro, di cercarci come il pastore cerca la pecora perduta, come la donna di casa cerca la moneta dispersa, come il Padre cerca i suoi figli. 
Egli continua a chiamare e attende con pazienza da noi la stessa risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). 
Se avrai il coraggio di lasciare le tue sicurezze e aprirti a Lui si schiuderà per te un mondo nuovo e tu, a tua volta, diverrai luce per gli altri uomini. Grazie del tuo ascolto. Invoco su di te il Santo Spirito di Dio e anche tu, se puoi, non dimenticarti di pregare per me. 
Tuo Francesco

La Bibbia e la voce delle donne: il Libro di Rut (e Noemi)

Prof la Bibbia racconta la storia di Dio? Ni 
Prof, conosciamo Abramo, Giacobbe, Mosè…….e le donne, a parte la mamma di Gesù? 
Proprio per questo vi ho presentato, vero ragazzi?, la storia di Lia e Rachele. Oggi aggiungo un’altra storia ed una riflessione. Mi faccio aiutare da L. Bruni che su Avvenire del 28 marzo propone un percorso di conoscenza di un libro che racconta la storia di una donna, anzi deu, Rut e Noemi. 

«Il piccolo libro di Rut è tra i libri più belli della Bibbia, se non il più bello dal punto di vista narrativo. Contiene molti messaggi etici, sociali, economici e religiosi, ma prima e soprattutto è una storia meravigliosa, una stupenda novella. È una storia familiare, nuziale, è un brano della storia di Israele; ma prima ancora è una storia di donne, la storia di due donne co-protagoniste, tanto che potremmo anche chiamarlo Libro di Rut e Noemi. Perché se Rut emerge come una donna semplicemente splendida, non meno grande e affascinante è la figura di sua suocera Noemi, e il rapporto tra di loro. La storia di due donne sole, donne straniere, donne migranti, donne in cammino, donne amiche (una etimologia del nome ebraico Rut è ‘la compagna’). Una storia che si svolge lungo la strada, nei campi, nell’aia di casa, quasi interamente all’aria aperta. 
Non è storia di palazzo né di tempio. Tutto ruota attorno a quel rapporto speciale, tenace e unico con la vita che è tipico delle donne. Un libro che non solo parla di donne, ma è attraversato da uno sguardo tutto femminile. Ci sono espressioni, scene, dettagli grammaticali che sembrano provenire direttamente dal repertorio linguistico e intimo delle donne. Tanto che qualche autore e autrice ha azzardato (l’improbabile) ipotesi che l’autore del libro sia una donna: «Se c’è un libro della Bibbia per il quale possiamo assumere che è stato scritto da una donna, questo è il libro di Rut» (Irmtraud Fisher, Il libro di Rut come letteratura esegetica). 
In realtà della storia di questo libro – come di tutti i libri biblici – sappiamo molto poco. Di certo chi l’ha scritto era un maestro delle tradizioni spirituali (e non solo ebraica) e della lingua che usa in tutte le sue potenzialità e sfumature, un conoscitore dell’animo umano, in particolare dell’anima delle donne. Sebbene sia ambientato in una fase arcaica della storia di Israele (attorno al XIXII secolo a.C., al tempo dei giudici, un tempo tremendo), oggi sappiamo che con ogni probabilità il libro risale al V secolo a.C., anche se non si può escludere che alcune tradizioni orali su Rut e Noemi (forse distinte in origine) circolassero già prima e durante l’esilio babilonese. […] 
Nella Bibbia greca dei Settanta il libro di Rut occupa un posto importante. Lo troviamo incastonato tra i Giudici e i libri di Samuele. Nella tradizione ebraica (testo masoretico) Rut è invece una delle Cinque Megillot o rotoli, un libro liturgico. Lo si legge nella ‘festa delle settimane’ ( shavuot), in greco Pentecoste, in origine una festa delle messi, celebrata sette settimane dopo l’offerta del primo covone di orzo nel giorno dopo Pasqua. […] 
Dove sta Dio in questo libro? In Rut, Dio si fa da parte per lasciar parlare l’uomo e soprattutto per dare spazio alle donne, alle loro parole, ai loro gesti, alla loro anima. È questo, forse, il messaggio teologico più importante del libro: quando la Bibbia incontra le parole umane più grandi fa tacere Dio e fa parlare gli uomini e, qualche volta, le donne. Rut è un libro fatto di parole di donne e di uomini – su 85 versi totali, 55 sono dialoghi –, alle quali è affidata la rivelazione di alcune dimensioni essenziali del Dio biblico: amore ( hesed),fedeltà, giustizia, riscatto dei poveri. 
Perché se è vero che la Bibbia contiene una rivelazione di Dio, a dirci chi è il suo Dio sono soprattutto gli esseri umani. E non lo fanno soltanto quando pregano nei salmi, né soltanto nelle parole della Legge e dei profeti; gli uomini e le donne bibliche ci dicono chi è Dio anche quando ci parlano semplicemente di azioni umane. 
Sta anche qui la natura reciproca dell’«immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27): se noi gli somigliamo, anche Dio somiglia a noi. Se quindi vuoi conoscere il Dio biblico, non cercarlo soltanto nel creato, nei profeti e nel roveto ardente; cercalo anche nelle parole e nei gesti di Noemi, Rut e Boaz. Sta anche qui l’infinita, meravigliosa laicità vera della Bibbia, che è una grande epifania di Dio tramite epifanie di uomini e di donne, che nell’esercizio ordinario della loro umanità ci hanno detto qualcosa di importante su Dio – e continuano a dircelo ancora». 

Capite allora il mio Ni alla domanda iniziale? E’ riduttivo dire che la Bibbia racconta la storia di Dio, perché la Bibbia racconta di uomini e donne che, nelle loro azioni umane (nel senso di bella umanità) ci rivelano l’immagine di Dio (concetto che abbiamo spiegato in tantissimi modi, vero?). 
Riprendiamo le parole del nostro esperto. 

«C ’è, infine, nel libro di Rut una nota tutta umana che spicca sulle altre. La Bibbia è piena di voci, di vocazioni, di uomini che ricevono una chiamata, che dialogano con Dio e poi quasi sempre partono per eseguire il compito ricevuto. Potremmo anche raccontare la Bibbia come il susseguirsi e l’intreccio di queste voci e questi dialoghi. Nel Libro di Rut, invece, queste voci divine non ci sono. Non ci sono gli angeli né Elohim a chiamare le sue protagoniste, non ci sono manifestazioni di Dio, non c’è quasi neanche il suo nome. Noemi e Rut si ‘alzano’ e si mettono in cammino non come risposta a una voce esterna. La voce che le chiama, le fa alzare, camminare e tornare è tutta interna, e quindi noi lettori non la udiamo, ne vediamo solo gli effetti. 
Forse perché le voci che muovono le donne sono sussurri incarnati, sono gemiti di vita, sono segni scritti nell’invincibile vocazione alla vita. Noemi e Rut cercano e inseguono la vita, e così vivono la loro vocazione. Il Dio della vita vede queste azioni tutte umane, le riconosce come sue, vi appone il suo crisma. E poi ci dice: ‘Vuoi capire chi sono? Guarda Rut e Noemi’. 
Gli uomini biblici per muoversi sembra abbiamo bisogno di udire la voce di Dio che li chiama per nome. Le donne bibliche, quasi sempre, partono e basta, quasi sempre partono sole, in una solitudine tutta loro anche quando è ricoperta di compagnia e sororità – partono per vivere, per far vivere altri. Rut e le sue sorelle – Abigail, Anna, Rispa, Elisabetta, Maria. E in questo c’è, forse, qualcosa del modo femminile di vivere le vocazioni – provo sempre un profondo imbarazzo quando si deve parlare dell’anima delle donne. 
Quando le donne raccontano le loro storie vocazionali dicono, spesso, storie diverse. La chiamata, l’incontro solenne e chiaro con la voce divina, non ci sono sempre; per mettersi in cammino con la loro tipica tenacia e fedeltà sono importanti le voci umane e gli incontri diversi con persone in carne e ossa, magari con il guardiano di un sepolcro vuoto. Hanno la rara capacità di intercettare il carattere divino dentro le voci umane, sanno, per un misterioso istinto spirituale, trovare l’infinito nel dettaglio, sanno riconoscere l’eterno in un bambino. Portano in sé la vita per donarla, e il Dio della vita ha fatto loro il dono di sentirlo e toccarlo dentro la vita – le religioni e i dogmi sarebbero stati molto diversi se li avessero raccontati le donne». 

Interessante questo passaggio. Non ne abbiate a male, giovanotti delle “mie” classi, ma il maschile e il femminile hanno un modo diverso, tutto loro, di rapportarsi al Mistero.