QUEL GIORNO A SARAJEVO, A VIVER DI PACE

Dopo tanto silenzio – la scuola quest’anno mi sta impegnando come non mai, per quanto stia cercando di mollare tanti impegni 🙄 – oggi sono riuscita a trovare un po’ di tempo per riprendere a pubblicare quanto vado raccogliendo.

Di fronte alla guerra alle porte dell’Europa, ma anche con il pensiero a tutte le guerre che infestano questo mondo, mi sono ricordata di quanto avvenne trent’anni fa. A dir la verità è stato il giornale Avvenire a pemettermi di ravvivare nella mia memoria la storia dei 500 che arrivarono a Sarajevo, assediata durante la guerra nei Balcani.
Vi riporto alcuni brani dell’articolo pubblicato il 7 dicembre 2022.

Ancona, 13 dicembre ‘92: a destra don Tonino Bello, a sinistra don Albino Bizzotto dei “Beati i costruttori di pace”, di ritorno da Sarajevo 

La nave dei “folli” si staccò dal porto di Ancona il 7 dicembre di trent’anni fa sotto un cielo da paura. A bordo del Liburnija 496 persone dirette a Sarajevo, la città bosniaca martirizzata da nove mesi e stretta sotto assedio dalle milizie serbe: un esercito di “pacifisti” armati solo del loro essere inermi, pronti ad irrompere nel cuore del conflitto per costringerlo a una tregua anche solo di ore.
«In 100.000 a Sarajevo!» era lo slogan con cui don Albino Bizzotto, guida di “Beati i costruttori di pace”, aveva chiamato all’invasione pacifica della città insanguinata. Risposero in 500. Tra loro c’erano giovani e vecchi, credenti e atei, suore e obiettori di coscienza, anarchici e sacerdoti, anche due vescovi, Luigi Bettazzi e Tonino Bello, suo successore alla testa di Pax Christi.
Ha 58 anni, don Tonino Bello, ed è minato dal cancro, ma è deciso a interporsi fisicamente tra le parti in guerra per dimostrare che la nonviolenza può funzionare. Quel 7 dicembre coloro che si imbarcano sanno bene che l’impresa può essere senza ritorno, in molti hanno cercato di farli desistere, ma loro hanno raccolto il sogno e sono partiti, nello zaino acqua e cibo per quattro giorni, poi si vedrà.

La prima tappa è Spalato, 7 ore di traversata, ma l’Adriatico scatena una tempesta di tale violenza che il Liburnija, dato per disperso dalle agenzie di stampa, arriverà sull’altra sponda con 12 ore di ritardo. «Siamo passati per l’acqua e per il fuoco e il Signore ci ha liberati», dirà poi don Tonino citando la Bibbia, «l’acqua di quel mancato naufragio terrificante, il fuoco delle granate».
Vogliono entrare a Sarajevo il 10 dicembre, Giornata mondiale dei Diritti umani, ma i continui posti di blocco e le estenuanti trattative con i capi militari dei diversi eserciti rallentano la marcia. Dell’arrivo della carovana è preavvisata l’Onu, sono preavvisati i rappresentanti delle fazioni in lotta, ma per i 500 non ci sarà protezione, nessuna garanzia, procederanno a loro rischio e pericolo, a bordo di dieci pullman malmessi e due ambulanze portate in dono dall’Italia, una per fronte.
L’ 11 dicembre l’arrivo sulla montagna innevata che sovrasta Sarajevo, ma ancora non è finita: «Una delegazione di dieci di noi si reca a Ilidža a parlamentare con le autorità militari serbe, è una trattativa lunghissima – racconta don Tonino –.
Intanto la gente del posto viene sui pullman a offrirci tè caldo. Una signora serba ha visto gli autisti intirizziti dal freddo e, benché fossero croati, li ha portati a casa sua e ha offerto un pranzo per loro».
È l’inizio del miracolo umano.
La popolazione, prima incuriosita e poi commossa, li attornia, li abbraccia, «un uomo ha visto la mia croce al collo e l’ha baciata, poi mi ha invitato a casa sua dove era in corso il banchetto funebre per suo padre. Sono entrato e mi ha detto: “Io sono serbo, mia moglie è croata, queste mie cognate sono musulmane, eppure viviamo insieme da sempre e ci vogliamo bene. Perché questa guerra? Chi la vuole?” A vedere quella gente seduta alla stessa mensa ho pensato alla convivialità delle differenze: questa è la pace».
Infine i 500 entrano in città nel silenzio allucinato delle 7 di sera, quando ormai nessun essere umano oserebbe percorrere il “vialone della morte” crivellato dai cecchini. 
 «Da nove mesi dopo le quattro del pomeriggio neppure le camionette dell’Onu hanno il coraggio di entrare», annota don Tonino, «ma stasera qui c’è un’altra Onu, un’Onu rovesciata ». Le bombe chiamano bombe, il loro essere lì in pace sta provando al mondo intero che un’alternativa esiste e funziona: «A questa Onu che scivola in silenzio nel cuore della guerra il cielo vuole affidare un messaggio: che la pace va osata».

Siamo abituati a pensare che “osare” sia il verbo del combattere, quando per morire e ammazzare ci vuole coraggio, invece è la pace che va osata e che davvero richiede coraggio. Solo il giorno prima Sarajevo è stata colpita da tremila granate, ma per la durata in cui gli inermi percorrono il terreno di guerra è evidente che i militari hanno abbassato l’intensità del fuoco.
L’ indomani, 12 dicembre, «è incredibile l’accoglienza della gente lungo le strade e dalle finestre», quel gruppo venuto da fuori significa che il mondo esterno non li ha dimenticati. Poi nel buio e nel gelo del cinema don Tonino Bello tiene il discorso destinato a restare nella storia, ad ascoltarlo anche i capi delle diverse religioni in lotta. Nel 1992 non esistono i cellulari e le autorità hanno vietato le riprese, ma don Renato Sacco, consigliere di Pax Christi, registra di nascosto consegnando al futuro un documento di rara potenza: 

«Questa è la realizzazione di un sogno – dice il vescovo, il corpo crocifisso dalla malattia ma lo sguardo acceso di passione – di una grande utopia che abbiamo tutti portato nel cuore, probabilmente sospettando che non si sarebbe realizzata. Ma ringrazio il Signore che, attraverso il nostro gesto folle, ha realizzato l’utopia». Parola che nel suo vocabolario significa azione che contrasta la rinuncia, movimento che contrasta la staticità: «Queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono solo le notaie dello status quo, non le sentinelle profetiche che annunciano tempi nuovi». Le sue parole infuocano e consolano la popolazione piegata da mesi di tragedia. «Quanta fatica si fa a far capire che la soluzione dei conflitti non avverrà mai con la guerra ma con il dialogo – continua il vescovo –, abbiamo fatto fatica anche qui con i rappresentanti religiosi, perché è difficile questa idea della soluzione pacifica dei conflitti. Ma noi siamo venuti a portare un germe: un giorno fiorirà». […]

[…] don Tonino Bello tornando a casa si interrogava, «qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Fino a quando la cultura della nonviolenza rimarrà subalterna?». Era il 13 dicembre 1992, i 500 “folli” tornavano vincenti, contro ogni pronostico erano arrivati fin dentro la guerra e in loro presenza le armi avevano taciuto. Don Tonino, tra «il rimorso del poco che si è potuto seminare» e «l’incontenibile speranza che le cose cambieranno», si avviava verso l’ultima Grande Partenza avvenuta il 20 aprile 1993. 

A Facen di Pedavena (Belluno) in un museo che da decenni osa la pace, tra le stole dei santi è conservata anche quella del venerabile don Tonino Bello, non un segno di potere ma il potere di un segno, il «grembiule che ci fa lavapiedi del mondo», come la definiva il vescovo di Molfetta. Nello stesso “Museo dei Sogni, della Memoria e della Coscienza” sono conservati 25 grandi pani impastati lo scorso Natale nei luoghi più simbolici della terra, tra questi la pagnotta che sulla crosta porta l’impronta della croce di don Tonino: «Sono pani impastati con il sale giunto da 50 nazioni – spiega il direttore Aldo Bertelle – e ora viaggeranno a ritroso, ognuno verso un luogo di conversione ». Il pane di don Tonino Bello passerà di mano in mano sul Ponte di Sarajevo.

i pani conservati nel “Museo dei Sogni, della Memoria e della Coscienza”


Carlo e Alberto: storia di un’amicizia stra-ordinaria

Alberto Michelotti e Carlo Grisolia sono due ragazzi genovesi che hanno vissuto, fra di loro e con i loro coetanei, una storia di amicizia, aperta ed alimentata da un obiettivo comune: portare a tutti il dono dell’ideale evangelico del mondo unito, della fraternità universale. 
Per una veloce conoscenza:

   
Il trailer del documentario che è stato realizzato:

    

Per chi volesse vederlo per intero, cliccare qui.

Dalla parabola dei Talenti alle Beatitudini

Agli studenti ho proposto una lettura un po’ insolita della parabola dei talenti arrivando ad associarla al Discorso della Montagna.
Solitamente noi interpretiamo il talento come le capacità che abbiamo (saper cantare bene, giocare a calcio come un campione, essere un asso nella matematica, ecc….), ma la parabola ci dice che quell’uomo,  «partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì» (Mt 25, 14-15). La capacità è quindi la condizione che fa sì che ognuno di loro riceva un numero diverso di talenti. La diversità del numero non deve però essere intesa come una sorta di preferenza che quel signore ha per uno piuttosto che per l’altro, ma come una grande sensibilità che lo porta a non dare a nessuno di loro un compito che va oltre le proprie capacità personali. Insomma, questo signore è un uomo giusto, perché, come diceva don Milani, “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”.
La parabola è un genere letterario che sollecita il paragone: il signore è Dio, i servitori siamo noi. E il talento? sicuramente è un dono di Dio che siamo chiamati a mettere a frutto. Quale dono? mi viene da pensare alla possibilità di bene che Dio ha dato ad ognuno di noi e che ciascuno è chiamato a realizzare con le capacità che ha. 
Il tempo che stiamo vivendo ci interpella a non fare come il terzo servo della parabola: il mondo ha bisogno di persone che testimonino che il Bene (quello con la B maiuscola perché è quello vero, quello che rispetta la dignità di ogni essere umano) è possibile, anche in mezzo a tanto male. 
Proprio per sottolineare che il Bene è la scelta che va fatta se vogliamo essere felici, Gesù ha stilato un elenco di Beatitudini, cioè di scelte che ci portano alla felicità, proprio perché sono scelte concrete di Bene. Se prendete la versione di Matteo (capitolo 5)  potete arrivare a contare 10 Beatitudini (rallegratevi ed esultate sono le ultime due). Il numero 10 richiama il Decalogo e come per il Decalogo  anche questo elenco è per la felicità dell’uomo (vedi Dt 5, 32). Una felicità che non ha nulla a che fare con il potere, la prepotenza, l’indifferenza, il rancore, ecc…. , ma che si realizza operando con umiltà, impegnandosi per la pace e la giustizia, non cercando la vendetta, non rimanendo indifferenti alla sofferenza dell’altro….
In sintesi, la strada da seguire è quella che rende concreta la possibilità di Bene. Ognuno è chiamato a farlo con le capacità che ha, ma guai a chi per pigrizia, per tornaconto personale, per insensibilità, per indifferenza, ecc… non avrà operato per il Bene, perché di questo Bene mancato dovrà rendere conto. Avete mai sentito parlare dei peccati di omissione? Per vigliaccheria, distrazione, quieto vivere, chiudiamo gli occhi o voltiamo la testa dall’altra parte e non facciamo quel Bene che avremmo potuto.  Essere cristiani secondo il Vangelo, significa essere presenti nel mondo e nella storia. «Dio non ci chiederà – ha detto  papa Francesco nell’omelia di una delle giornate mondiali dei poveri – se avremo avuto giusto sdegno ma se avremo fatto del bene».
Nell’immagine che segue sono contenuti tanti nomi. Alcuni conosciuti, altri meno, ma si tratta di uomini e donne che hanno vissuto pienamente la propria vita perché hanno cercato di costruire il Bene. Credo che ognuno di loro ci conferma che vivere le Beatitudini è possibile, se si permette a Dio di starci accanto.



Santa Teresina di Lisieux

Ieri, mentre andavo ad una riunione a scuola, durante il viaggio in auto, sintonizzata su radio1 mi capita (ma credo che mai nulla capiti per caso) di sentire un bel racconto su Teresina di Lisieux, conosciuta anche come Santa Teresa del Bambin Gesù. Devo dire che ho apprezzato la delicatezza con cui è stata raccontata la sua storia nella trasmissione “Jack Folla, un dj nel braccio della morte”. Mentre ascoltavo pensavo che avrei voluto condividere questo momento con i ragazzi del Liceo, tanto quelli di seconda, con i quali stiamo parlando dell’amore cristiano e con quelli del terzo, a cui sto proponendo un percorso sull’essere giovani.


 
Cliccando qui, si aprirà la pagina di Cathopedia dedicata a questa piccola-grande santa.

 

Oggi 9 maggio: Sophie e Rosario

Il 9 maggio si celebra il centenario della nascita di Sophie Scholl, vittima del nazismo a 22 anni nel 1943. Per l’occasione è stata pubblicata una grafic novel dal titolo “Sophie, ragazza d’Europa”, disegnata da Giorgio Romagnoni, in cui due ventenni di oggi dialogano con lei. L’originale prodotto di 16 tavole, edito dal settimanale diocesano Vita Trentina e diffuso anche dal settimanale La Difesa del Popolo di Padova, è stato condiviso anche dall’associazione Rosa Bianca con il contributo di Paolo Ghezzi, studioso di Sophie Scholl: “Questa ragazza può essere sentita come una nostra contemporanea e il linguaggio del fumetto potrà spingere tanti giovani ad appassionarsi dei grandi amori di Sophie: la libertà, la giustizia, la fraternità… ”.

Oggi, 9 maggio, la Chiesa dichiarerà beato il giudice Rosario Angelo Livatino, ucciso dalla mafia, come don Pino Puglisi. 

Una giovane donna ed un giovane uomo trucidati da un sistema perverso (il regime nazista per la prima, l’illegalità e la prepotenza della mafia per il secondo) che non ha a cuore il bene dell’uomo. 
“Picciotti, che cosa vi ho fatto?” sono le ultime parole pronunciate dal giudice Livatino, come ci è stato riferito da uno dei killer. Perché la Chiesa lo ha proclamato beato? Perché Rosario sentiva un fortissimo bisogno di camminare sotto lo sguardo di Dio, consapevole della gravità del compito che aveva, che era quello di giudicare. Il rendere giustizia, era per lui dedizione a Dio, preghiera.
Ideatori e mandanti vollero mettere a tacere per sempre un uomo e un magistrato che incarnava, nella sua professione, il suo ideale di fede e di giustizia. Livatino era consapevole di rischiare la vita e per questo decise di non contrarre matrimonio e di non coinvolgere in un ipotetico agguato degli innocenti. Era un uomo che cercava la normalità del bene e aveva fatto voto di “camminare sempre sotto lo sguardo del Signore”.
Come vedete, è possibile opporsi a quella che qualcuno ha chiamato la “banalità del male”. Tanto nella scelta di Sophie che in quella di Rosario ha contato moltissimo la fede in un Dio che desidera incontrarci per aiutarci a vivere come persone belle, vere, giuste. 
Il giudice Livatino fu chiamato il giudice ragazzino, perché quando morì a 38 anni, per mano di quattro killer e per ordine della Stidda la mafia agrigentina, era il più giovane dei 27 magistrati uccisi in ragione del loro servizio dalla mafia o dai terroristi. 
Anche su di lui, per dare possibilità ai più giovani di conoscerne la storia, è stato realizzato un volume a fumetti.

 

Il re dei versi

Sappiamo che san Francesco passò a San Severino Marche. Vi ho già raccontato dell’episodio dell’agnellino ed ora aggiungo alla storia un altro tassello. 
Le fonti francescane dicono che, durante il soggiorno di Francesco a San Severino nel 1212, avviene la conversione di Guglielmo da Lisciano, un trovatore noto come il “re dei versi”. L’incontro con Francesco risulta determinante per Guglielmo che decide di cambiare vita, assumendo il nome di Pacifico e diventando uno dei più stretti e fedeli compagni del Poverello d’Assisi. 
Nel 1217 Pacifico è, infatti, inviato in Francia per fondare l’Ordine francescano; rientrato in Italia nel 1223-1225, egli ritorna intorno al 1230 definitivamente in Francia, dove muore nel 1234. Tommaso da Celano così descrive la conversione di Guglielmo Divini nel Capitolo LXXII della Vita seconda di San Francesco: 

«Vi era nella Marca d’Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all’oscuro di Dio, si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato “il Re dei versi”, perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso famoso, che era stato incoronato con molte glorie dall’Imperatore. […] Per disposizione della divina provvidenza, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo monastero di povere recluse. Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l’altro era venuto a casa di una sua parente con molti amici. La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe di traverso, molto splendenti: l’una si stendeva dalla testa ai piedi, l’altra, trasversale, da una mano all’altra, all’altezza del petto. Non conosceva personalmente il beato Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, subito cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l’adempimento al futuro. Ma il Padre, quando cominciò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada di Dio. Poi, in disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino. L’altro, senza frapporre indugi, rispose “Toglimi dagli uomini e rendimi al grande Imperatore”. Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell’abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace del Signore». 
Alcuni storici propendono per un ruolo importante di Fra Pacifico nella revisione e redazione del Cantico di Frate Sole. Per chi fosse interessato ad approfondire la storia suggerisco questo link https://www.ilsettempedano.it/2017/10/09/storia-locale-guglielmo-divini-da-re-dei-versi-a-frate-pacifico/ , ma ricordo anche il libro, recentissimo, Francesco giullare di Dio. Raccontato ai giovani da frate Pacifico «re dei versi» di padre Raniero Cantalamessa.
 
 
La prefazione al libro è stata redatta da papa Francesco. Vorrei riportarvi alcuni passaggi. 

Rivolgendosi ad un giovane in ricerca, come lo era Gugliemo, il papa scrive: 

[…]Dio si lascia trovare, sì, ma solo dall’uomo che lo cerca con tutto il cuore. Apri i Vangeli, leggi degli incontri di Gesù con le persone che andavano a lui e vedrai come per alcuni di loro le sue promesse si sono realizzate. Sono quelli per cui trovare una risposta era divenuto questione essenziale. 
Il Signore si lasciò trovare dall’insistenza della vedova importuna, dalla sete di verità di Nicodemo, dalla fede del centurione, dal grido della vedova di Nain, dal pentimento sincero della peccatrice, dal desiderio di salute del lebbroso, dalla nostalgia della luce di Bartimeo.[…] 
Chi cerca trova se cerca con tutto il cuore, se per lui il Signore diventa vitale come l’acqua per il deserto, come la terra per un seme, come il sole per un fiore. E questo, se ci pensi bene, è molto bello e molto rispettoso della nostra libertà: la fede non si dà in maniera automatica, come un dono indifferente dalla tua partecipazione, ma ti chiede di coinvolgerti in prima persona e con tutto te stesso. È un dono che vuole essere desiderato. È, in sostanza, l’Amore che vuole essere amato. Forse tu hai cercato il Signore e non lo hai trovato, ma permetti anche a me di consegnarti una domanda: quanto era forte il tuo desiderio di Lui?[…] 
Il re dei versi, la cui storia leggerai nelle pagine che seguono, amava la vita e, come ogni giovane, desiderava viverla appieno. Era uno tra i più famosi cantori del suo tempo e nel suo impetuoso desiderio di pienezza cercava senza saperlo Colui che solo può riempire il cuore dell’uomo. Cercava e fu trovato. Questo ci mostra una verità ancora più profonda: il Signore desidera che tu lo cerchi perché egli possa trovarti. Deus sitit sitiri disse san Gregorio di Nazianzo, cioè, Dio ha sete che si abbia sete di Lui, perché trovandoci così disposti egli possa finalmente incontrarci. 
Egli che ci invita a bussare, in realtà si presenta per primo alla porta del nostro cuore: 
«Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). […] 
Il re dei versi incontrò frate Francesco un giorno nel monastero di Colpersito a San Severino Marche; fu trafitto dalla sua parola e una scintilla nuova si accese dentro di lui. Avvenne, forse, per lui, quello che avvenne per san Paolo sulla via di Damasco: che la luce di Dio «rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). Egli vide Francesco nello splendore della sua santità e in lui intravide la bellezza del volto di Dio. Quello che aveva sempre cercato ora finalmente lo trovava, e lo trovava grazie a un uomo santo. E, come per san Paolo, quelle cose che per lui erano guadagni le considerò una perdita, una spazzatura, dinanzi alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù (cf. Fil 3,7-9). 
Subito ruppe ogni indugio: «Che bisogno c’è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi dagli uomini e rendimi al grande Imperatore! ». Quando il Signore chiama a sé non vuole compromessi o tentennamenti da parte nostra, ma una risposta radicale. Gesù direbbe: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Mt 8,22). 
In quel giorno nacque un uomo nuovo, non più Guglielmo da Lisciano, il re dei versi, ma fra Pacifico, un uomo abitato da una pace nuova prima sconosciuta. Da quel giorno divenne tutto di Dio, consacrato interamente a lui, uno dei compagni più intimi di san Francesco, testimone della bellezza della fede.[…] Dio non ha smesso di chiamare, anzi, forse oggi più di ieri fa sentire la sua voce. Se solo abbassi altri volumi e alzi quello dei tuoi più grandi desideri, la sentirai chiara e nitida dentro di te e intorno a te. Il Signore non si stanca di venirci incontro, di cercarci come il pastore cerca la pecora perduta, come la donna di casa cerca la moneta dispersa, come il Padre cerca i suoi figli. 
Egli continua a chiamare e attende con pazienza da noi la stessa risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). 
Se avrai il coraggio di lasciare le tue sicurezze e aprirti a Lui si schiuderà per te un mondo nuovo e tu, a tua volta, diverrai luce per gli altri uomini. Grazie del tuo ascolto. Invoco su di te il Santo Spirito di Dio e anche tu, se puoi, non dimenticarti di pregare per me. 
Tuo Francesco

Si può fare davvero la differenza

Avete sicuramente visto la sua figura, di spalle, mentre in ginocchio implora i militari di non attaccare i giovani che manifestavano contro l’arresto della loro presidente, Aung San Suu Kij. Questa piccola suora ha dato una testimonianza di coraggio e di fede nella bontà dell’uomo e nella Provvidenza divina. Come cristiana non poteva certo assistere senza prendere posizione (ragazzi di terza, vi dice qualcosa?).

Per saperne di più vi condivido l’articolo pubblicato su Popotus, il supplemento del quotidiano Avvenire del 2 marzo.
 
Che cosa può fare una persona, da sola, davanti ai drammi della storia? 
 
Niente, verrebbe da rispondere. E invece non è così. Molte volte è proprio l’iniziativa di un singolo individuo a imprimere un corso inatteso agli eventi. È una questione di coraggio, ma anche di tempestività, che è la capacità di fare la cosa giusta al momento giusto. Quando l’ingiustizia è diventata troppo evidente, per esempio, e tutti sono davvero stanchi di quello che sta accadendo. 
A ricordarcelo è un episodio avvenuto nei giorni scorsi nella città di Myitkyina, capitale del Kachin, nel Nord del Mynamar. Il Paese asiatico, che molti conoscono come Birmania, è in una situazione di estrema tensione da oltre un mese, per l’esattezza dal 1° febbraio, quando un colpo di Stato militare ha rovesciato il governo presieduto da Aung San Suu Kyi, l’attivista politica premiata con il Nobel per la Pace nel 1991. 
Le proteste sono state immediate, così come le azioni di repressione da parte delle forze dell’ordine, che spesso sono sfociate nella violenza, provocando anche numerose vittime. Di fronte a tanta sofferenza una religiosa di Myitkyina, suor Ann Nu Thawng, ha deciso di fare qualcosa di assolutamente semplice: si è inginocchiata davanti alla polizia che stava intervenendo per sopprimere una manifestazione e ha impedito che gli scontri degenerassero. 
A rendere nota la vicenda è stato il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che ha pubblicato sui social network le immagini della scena. 
Sì, una sola persona può davvero fare la differenza.


 

Carlo Acutis

Domenica prossima, ad Assisi, verrà beatificato Carlo Acutis. Chi era? 
Nato nel 1991, è morto nel 2006 per una leucemia fulminante. Devoto in particolare alla Madonna, aveva creato vari siti web e una mostra sui miracoli eucaristici.
Ve lo presento attraverso le parole della mamma, Antonia Salzano. 
“Quando il 23 gennaio si eseguì la ricognizione canonica sulle spoglie mortali del giovanissimo servo di Dio, la sua salma fu trovata intatta. «Io stavo lì, mio marito non volle vedere. Era ancora il nostro ragazzone, alto 1,82, solo la pelle un po’ più scura, con tutti i suoi capelli neri e ricci. E lo stesso peso, quello che si era predetto da solo». 
«Pochi giorni dopo il funerale, all’alba fui svegliata da una voce: “Testamento”. Frugai in camera sua, pensavo di trovarvi uno scritto. Nulla. Accesi il pc, lo strumento che preferiva. Sul desktop c’era un filmato brevissimo che si era girato da solo ad Assisi tre mesi prima: “Quando peserò 70 chili, sono destinato a morire”. E guardava spensierato il cielo». Entrò in coma alle 14 dell’11 ottobre 2006, con il sorriso sulle labbra. Credevamo che si fosse addormentato. Alle 17 fu dichiarata la morte cerebrale, la mattina del 12 quella legale. Avremmo voluto donare i suoi organi, ma non fu possibile, ci dissero che erano compromessi dalla malattia. Un bel paradosso, perché il cuore, perfetto, ora sarà esposto in un ostensorio nella basilica papale di San Francesco ad Assisi». 
In che modo Carlo scoprì la fede? 
«Non certo per merito di noi genitori, lo scriva pure. In vita mia ero stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non è che la domenica andasse a messa». 
«Un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla. Ma c’era in lui una predisposizione naturale al sacro. A 3 anni e mezzo mi chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all’eucaristia a 7 anni, anziché a 10». «Lo lasciammo libero. Ci pareva una cosa bella, perciò chiedemmo una deroga. Per me fu una “Dio-incidenza”. 
Carlo mi salvò. Ero un’analfabeta della fede. Mi riavvicinai grazie a padre Ilio Carrai, il padre Pio di Bologna, altrimenti mi sarei sentita screditata nella mia autorità genitoriale. È un percorso che dura tuttora. Spero almeno di finire in purgatorio». 
Carlo fu precoce in tutto. Era un mostro di bravura. A 6 anni già padroneggiava il computer, girava per casa con il camice bianco e il badge “Scienziato informatico”. A 9 scriveva programmi elettronici grazie ai testi acquistati nella libreria del Politecnico». 

«I promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti. Sognava di adoperare il pc e il web per diffondere il Vangelo. Papa Francesco nella “Christus vivit” cita Carlo come esempio per i giovani. “Sapeva molto bene”, spiega, “che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e bellezza”. 
Il suo sguardo spaziava ben oltre Internet». «Fino alle mense dei poveri, quelle delle suore di Madre Teresa di Calcutta a Baggio e dei cappuccini in viale Piave, dove prestava servizio come volontario. La sera partiva da casa con recipienti pieni di cibo e bevande calde. Li portava ai clochard sotto l’Arco della Pace, per i quali con i risparmi delle sue mance comprava anche i sacchi a pelo. Lo accompagnava il nostro cameriere Rajesh Mohur, un bramino della casta sacerdotale indù, che si convertì al cattolicesimo vedendo come Carlo aiutava i diseredati».
Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe salito all’onore degli altari? 
«Ero certa che fosse santo già in vita. Fece guarire una signora da un tumore, supplicando la Madonna di Pompei.Quello che lo farà proclamare beato accadde in Brasile nel settimo anniversario della morte, il 12 ottobre 2013, a Campo Grande. Matheus, 6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti solidi. Padre Marcelo Tenório invitò i parrocchiani a una novena e appoggiò un pezzo di una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominciò a mangiare. La Tac dimostrò che il suo pancreas era divenuto identico a quello degli individui sani, senza che i chirurghi lo avessero operato. Una guarigione istantanea, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche». 
Tratto da https://notizieh24.eu/antonia-salzano-il-miracolo-di-carlo-acutis-mio-figlio-morto-15enne-di-leucemia-un-santo-per-il-web/
Vi lascio anche un video con le sue immagini.
 

Brigida, Caterina, Edith: proposta didattica

Giovanni Paolo II volle queste tre donne compatrone d’Europa insieme a Benedetto da Norcia e ai fratelli Cirillo e Metodio. Già in un altro post (vedi qui) accennavo brevemente alla loro storia. L’attività che voglio proporre agli alunni del primo Liceo Scienze Umane è quella di scoprire la vita e le scelte di queste donne, nonché i motivi che spinsero Giovanni Paolo II a sceglierle come compatrone d’Europa (vedere qui), costruendo una sorta di carta d’identità che contenga le seguenti informazioni:
– Background (contesto storico, geografico, sociale)
– Principali eventi e risposte Sviluppo: problema, obiettivo, risultato
– Interazioni memorabili: citazione, azione, interazioni
– Impressione personale