Mary, Did You Know?

Bellissimo canto per prepararci al Natale.
 


Testo 

Mary, did you know
That your baby boy will one day walk on water?

Mary, did you know
That your baby boy will save our sons and daughters?
Did you know
That your baby boy has come to make you new?
This child that you’ve delivered
Will soon deliver you

Mary, did you know
That your baby boy will give sight to a blind man?

Mary, did you know
That your baby boy will calm a storm with His hand?
Did you know
That your baby boy has walked where angels trod?
And when you kiss your little baby
You’ve kissed the face of God

Mary, did you know?
The blind will see
The deaf will hear
And the dead will live again
The lame will leap
The dumb will speak
The praises of the Lamb

Mary, did you know
That your baby boy is Lord of all creation?
Mary, did you know
That your baby boy will one day rule the nations?
Did you know
That your baby boy is heaven’s perfect Lamb?
This sleeping child you’re holding
Is the Great I Am

Oh Mary did you know?

Traduzione 

Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
un giorno avrebbe camminato sull’acqua?
Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
avrebbe salvato i nostri figli e le nostre figlie?
sapevi che il tuo figliolo
è venuto per renderti nuova?
questo bambino che tu hai fatto nascere
presto farà nascere te?

Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
avrebbe dato la vista ad un uomo cieco?
Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
avrebbe calmato una tempesta con la sua mano?
sapevi che il tuo figliolo
ha camminato dove gli angeli hanno passeggiato
sapevi che quando baci il tuo bambinello
hai baciato il volto di Dio?
Maria, lo sapevi?
Maria, lo sapevi?
i ciechi vedranno, i sordi sentiranno,
i morti risorgeranno
gli zoppi salteranno,
i muti parleranno, sia lodato l’agnello!

Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
è il Signore della creazione?
Maria, lo sapevi che il tuo figliolo
un giorno governerà le nazioni?
sapevi che il tuo figliolo
sarebbe stato l’agnello perfetto del Paradiso?
quel bambino che dorme e che tu stai abbracciando
è il grande “Io Sono”

Maria, lo sapevi?
Maria, lo sapevi?

Maria, lo sapevi?

La grazia delle domande

Perché farsi le domande, come abbiamo detto a scuola, fa parte dell’essere umani.
Sarebbe veramente un peccato rinunciarvi, come lo sarebbe il pensare che tanto risposte non ce ne sono.

«A tredici, a quattordici anni io vivevo prevalentemente per strada. Ogni tanto passavo la notte da qualche amica che abitava in campagna. Invece di dormire, trascorrevamo il tempo sdraiate nei campi, incuranti del freddo, dell’umido, e interrogavamo per ore la volta celeste.
Importava qualcosa di noi alle stelle lassù? Il fuoco che ardeva in loro era per noi inimmaginabile: quei piccoli soli dal basso della terra sembravano soltanto dei puntini di ghiaccio. Da qualche parte nello spazio siderale era nascosto il nostro destino? O invece era scritto solo nel nostro cuore? Come sarebbe stata la nostra vita adulta?
Avremmo fatto un lavoro che ci piaceva? E avremmo trovato prima o poi il grande amore? E i figli? Quel cielo che, da parte a parte, colmava l’orizzonte era la nostra sfera di cristallo.

Nell’adolescenza la grazia delle domande bussa per l’ultima volta spontaneamente alla porta. In un’epoca di rare distrazioni come quella in cui sono cresciuta, bussava quasi con irruenza.
Ora invece deve sgomitare nel frastuono per riuscire a farsi aprire se non una porta, almeno uno spiraglio.
Ma sicuramente bussa e continua a bussare e, ai ragazzi che osano porsi in ascolto, offre da subito un dono straordinario – la luce che a un tratto irrompe nello sguardo».
Susanna Tamaro, in Avvenire del 21 novembre 2014

Gli amici che vorrei

«Prof, non ne posso più. G. mi prende sempre in giro».
G., ma potrebbe essere tutte le lettere dell’alfabeto (in lui infatti rivedo tanti alunni, ragazzi e anche ragazze, perché ormai il bullismo non è più prerogativa dei maschi), forse non si rende conto del male che arreca agli altri. Superficialità, rabbia, mancanza di empatia, ….. chissà cosa si nasconde dietro il comportamento di un bullo. Non mi addentro nelle analisi sociologiche e/o psicologiche, ma  lascio parlare un ragazzo, anche lui ipotetico, come il nostro G., che rappresenta invece i tanti studenti che desiderano venire a scuola per imparare e stare bene con i compagni.

«Non sono più un bambino piccolo, ma i genitori, che ancora non ne sono convinti, non fanno che predicare: «Quei ragazzi non ci piacciono. Non ci andare». Anche un insegnante che mi vuole bene ogni tanto mi avverte: «Mi raccomando stai attento a quei tipi lì».
Io, però, lo so quali sono i compagni e le compagne con i quali fare amicizia, e quelli, invece, che più mi stanno lontani e meglio è.
Non mi piacciono quelli che vogliono avere sempre ragione, anche quando dicono stupidaggini, e che non soltanto insistono sulle loro idee, che sarebbe giusto, ma lo fanno arrabbiandosi, urlando, come se volessero farti paura. Non mi piacciono quelli che, se tu gli dici che sei tifoso dell’Inter, non rispettano la tua idea e non te la lasciano nemmeno spiegare, ma ti dicono che sei stupido e non capisci niente. Meno che meno mi piacciono coloro che, magari perché sono più grossi o perché sono in tanti, se non la pensi e non ti comporti come loro, minacciano di picchiarti, oppure di bucarti le ruote della bicicletta. Alla larga, da questi ultimi!
Credono di rendere giuste le idee sbagliate con i pugni o con i dispetti. Invece, secondo me, una cosa sono le idee, e un’altra i muscoli.
A scuola ci hanno parlato di Gandhi. Era tutto pelle e ossa, però ha vinto gli inglesi con le idee, non con le botte. Certo, a volte anche a me viene voglia di ricorrere ai pugni e ai calci ma, se lo facessi, mi risponderebbero con pugni e calci, e non si finirebbe più.
Mi piacciono, invece, i compagni e le compagne che ti ascoltano, che ti lasciano spiegare, che non ti offendono e non ti minacciano, e soprattutto che rimangono amici tuoi anche se non la pensi e non ti comporti come loro. Mi piacciono quelli che sono coraggiosi perché sono capaci di difendere le proprie idee anche se rimangono da soli. Queste persone Gesù le chiamava “miti”, altri le chiamano “non violenti”. Io li chiamo gli amici che cerco e voglio avere vicino».
Tonino Lasconi in Popotus del 18 novembre 2014

Migliori si può

Migliori si può. Anche le parole possono uccidere” è una campagna sociale promossa da Avvenire, Famiglia Cristiana, la Federazione italiana settimanali cattolici e dall’agenzia pubblicitaria Armando Testa, per dire no alla discriminazione.
I volti che compaiono, trafitti da parole denigratorie che assumono la forma di proiettili, ci fanno ben capire quanto i pregiudizi facciano male.
Dire “no” alla discriminazione, è dire un “sì” a una società più sensibile, attenta, accogliente. Carissimi alunni, quante volte anche la nostra scuola è ambiente poco accogliente? Quante volte le parole hanno ferito e feriscono?
PS: ricordo agli adulti che è possibile aderire a questa campagna sottoscrivendola qui da dove è anche possibile scaricare tutti i “volti trafitti”.

Com’è nato l’uso di farsi il segno della croce?

Il segno di croce è il primo gesto di fede che impariamo ed è quello che accompagna ogni preghiera ufficiale o personale della Chiesa. La simbologia che esprime è limpida, specialmente quando è accompagnato dalle parole «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo». La sua storia è antichissima e si perde nelle origini della Chiesa apostolica, che inizia a strutturare la propria fede attraverso gesti e parole comuni.

Le prime testimonianze risalgono all’epoca dei padri e si riferiscono al piccolo segno di croce, l’unico allora in uso, fatto con il pollice, in genere sulla fronte, talora su altre parti del viso e poi del corpo. Tertulliano, autore a cavallo fra il II e il III secolo, parla di un uso personale e diffuso del segno di croce. In un’opera dove paragona l’impegno battesimale dei cristiani al giuramento dei soldati dell’impero, afferma: «Se ci mettiamo in cammino, se usciamo od entriamo, se ci vestiamo, se ci laviamo o andiamo a mensa, a letto, se ci poniamo a sedere, in queste e in tutte le nostre azioni ci segniamo la fronte col segno di croce» (La corona dei soldati, III,4).

Poco più tardi compaiono le prime testimonianze liturgiche. Si tratta sempre del piccolo segno di croce, che accompagna in vari momenti la liturgia battesimale, con la quale è comunicato il mistero della Pasqua di Cristo, per vivere nella comunione della Trinità.
Secondo la Tradizione apostolica, venerando testo liturgico di ambiente romano del III secolo, l’ultimo esorcismo con cui si comanda allo spirito nemico di allontanarsi dai candidati al Battesimo è accompagnato da un segno di croce sulla fronte, sulle orecchie e sulle narici (n. 20). Al termine del rito l’unzione sulla fronte con il sacro crisma sigilla il rito battesimale: il vescovo «lo segni sulla fronte, lo baci e dica “Il Signore sia con te”, e colui che è stato segnato risponda “E con il tuo spirito”» (n. 21). Il gesto, poi, accompagna la vita personale di fede del credente: «Quando sei tentato, segnati devotamente la fronte: è il segno della Passione, conosciuto e sperimentato contro il diavolo se lo fai con fede, non per essere visto dagli uomini, ma presentandolo… come uno scudo» (n. 42).
L’uso di segnarsi anche il petto risale al V secolo: nasce nell’Oriente cristiano, si diffonde poi in Gallia e nel rituale romano (unzione con l’olio dei catecumeni; durante la Messa all’inizio della lettura del Vangelo). Sempre in Oriente, durante il VI secolo, nasce l’uso di segnarsi con tre o due dita aperte, mentre le altre sono tenute chiuse. Il gesto rinvia alle lotte teologiche per definire la fede nella Trinità (le tre dita aperte) o in Cristo, vero Dio e vero uomo (le due dita sempre aperte).
Ancora una volta l’uso passa nella tradizione latina. Ne abbiamo una plastica rappresentazione in un bassorilievo del duomo di Modena, che risale al XII secolo, dove si vedono alcuni fedeli che si segnano sulla fronte con le tre dita aperte, davanti al sacerdote che inizia a leggere il Vangelo.

L’uso di un grande segno di croce nasce presso i monasteri all’incirca nel X secolo, ma probabilmente risale ad epoche anteriori, specialmente nell’uso privato. All’inizio era tracciato ancora con le tre dita aperte e scendendo dalla fronte al petto, passando poi dalla spalla destra a quella sinistra. La tipologia del gesto è tipicamente orientale. In passi successivi, la tradizione occidentale ha cominciato ad usare la mano distesa, invertendo il senso da sinistra a destra. Questo modo entra in modo codificato nella liturgia romana solo con la riforma liturgica del XVI secolo, dopo il concilio di Trento (Messale di san Pio V).
Infine, ricordiamo come il segno della croce era spesse volte accompagnato da una formula. Quella trinitaria, che usiamo ancora oggi, risale alla redazione del Vangelo ed è divenuta canonica dalla riforma carolingia del IX secolo. Ma erano in uso anche altre formule, come quando si apre la preghiera del mattino, segnandosi la bocca e dicendo: «Signore apri le mie labbra…». I Greci usano dire: «Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi». Questo gesto, sia pure attraverso piccole modifiche, ha accompagnato la vita di fede della Chiesa lungo i secoli. Riprendendo le parole dell’inizio, è come un incipit per momenti di fede che il credente ha la consapevolezza di vivere. Attraverso la Pasqua di Cristo, nella quale siamo stati immersi attraverso il Battesimo, siamo chiamati a vivere nell’amore della Trinità: il segno di croce ricorda a tutti noi a quale speranza siamo stati chiamati.

padre Valerio Mauro, docente di Teologia Sacramentaria, in http//www.aleteia.org/  (08/09/2014)