Se Alexéi per studiare si arrampica su un albero

L’altro giorno, durante i consigli di classe, alcuni genitori facevano notare che tenere le finestre aperte in aula avrebbe forse salvato i loro figli dal covid, ma non dalla bronchite. Purtroppo le aule scolastiche non hanno sistemi di filtraggio dell’aria e stare in 25, 26 e più in un’aula non è il massimo. E’ anche vero che questa epidemia sta mettendo a dura prova i nervi di tutti, però si dovrebbe cercare un po’ di equilibrio, soprattutto se pensiamo a chi è messo in condizioni peggiori di noi. Ho letto su Avvenire di qualche giorno fa la storia di un ragazzo che, per seguire le lezioni non solo rischia la bronchite, ma anche di rompersi l’osso del collo. 
Da Avvenire del 26/11/2020, articolo di LUCIA CAPUZZI 

Il tragitto dalla casa all’aula è di 308 metri. Una distanza minima in apparenza. Se non fosse che gli ultimi otto metri sono da percorrere in verticale. Tanta è l’altezza dell’albero di betulla che, ogni giorno, Alexéi Dudoladov deve scalare con il cellulare in tasca per scaricare i materiali delle lezioni online e sperare di connettersi su zoom, fin quando non cade la linea. 
Con la facoltà di Ingegneria meccanica navale chiusa dalla fine di ottobre – come le altre – a causa del Covid, il ventunenne non ha altro modo per tenersi al passo con il programma. Nel suo villaggio, Stankevichi – un pugno di case dove risiede una cinquantina di abitanti, nel cuore della steppa siberiana –, Internet va a singhiozzo.
Alexéi lo ha fatto più volte presente agli insegnanti, ma questi ultimi pensavano esagerasse. Appena duecento chilometri separano la comunità da Omsk, dove si trova l’Istituto del trasporto acquatico che frequenta. Ma la “distanza digitale” tra i due punti è siderale. I russi che vivono in aree rurali hanno meno di un decimo di possibilità di accesso alla rete rispetto a quanti abitano nelle città. In zone remote e povere come la Siberia, la percentuale si riduce ulteriormente e in modo drastico. 
Per incrementare il segnale, sarebbe sufficiente un amplificatore portatile. Il suo costo – l’equivalente di 88 euro – corrisponde, però, a due terzi del salario minimo. Una somma inarrivabile per la famiglia Dudoladov. Alexéi, però, non si è dato per vinto. Era arrivato da poco a Omsk quando ha dovuto fare ritorno al villaggio per la chiusura dell’ateneo. Da ottobre, la Russia è stata sferzata dalla seconda ondata della pandemia. […] Per arginare il contagio, le autorità regionali hanno chiuso le aule. Le lezioni sono proseguite sul Web. 
Per non perdersele, Alexéi ha cercato l’unico punto in cui riesce a prendere il segnale: la cima della betulla. Così, nonostante la temperatura ben al di sotto dello zero, percorre i 300 metri fino all’albero, poi si arrampica fra i suoi rami, connette il telefono e scarica il più possibile. Non solo. Il ragazzo ha anche deciso di filmare la scena e pubblicarla – sempre dall’alto dell’albero – su TikTok e Instagram, in modo da denunciare l’isolamento in cui si trovano molte località siberiane. In breve, i video sono stati visti da oltre 2,5 milioni di utenti. 
La Russia e il resto del mondo hanno conosciuto la storia di Alexéi. Perfino il governatore di Omsk, Alexander Burkov, si è occupato della questione, promettendo di risolvere il problema senza specificare, però, come e quando. Al momento, il giovane è solo riuscito ad ottenere un programma accademico personalizzato. Non è, però, soddisfatto. «Non è un problema solo mio. Per quanto tempo ancora i ragazzi dei villaggi dovranno continuare a salire sui tetti o sugli alberi per poter studiare? ». Cartina di tornasole di molti nodi sociali irrisolti, il Covid ha acceso i riflettori sugli “isolati digitali”. Il 53 per cento della popolazione del globo è connessa a Internet. La media, però, si basa su un mix di due estremi. Nel Nord del pianeta, gli esclusi dalla rete sono meno del 15 per cento. In Africa subsahariana sono oltre l’80 per cento. In America Latina sfiora il 60 per cento. Non a caso, in queste regioni è la radio la principale fonte di informazione. Ed è stato anche lo strumento più impiegato per garantire qualche forma di istruzione a distanza. 
Uno studio dell’Unicef, sottolineava l’esclusione dal circuito scolastico di uno studente su tre del pianeta a causa della mancanza di connessione: almeno 463 milioni di bambini su un totale di 1,5 miliardi. Tre quarti di loro vive in zone rurali. 
«Si tratta di un’emergenza educativa globale, le cui ripercussioni sulle società e le economie potrebbero pesare per decenni», ha spiegato Henrietta Fore, direttore esecutivo di Unicef. Gli ostacoli tecnici non sono, però, gli unici. 
La pandemia rischia di tagliare definitivamente fuori dalle classi quasi il 2 per cento della popolazione scolastica mondiale, condannata al lavoro schiavo o ai matrimoni forzati. 

No a facce da funerale. Parola di Papa Francesco

Si sa, le barzellette che si raccontano i preti sulle “cose di Chiesa” sono tra le più divertenti. E le più autoironiche.
Fede, preghiera, cibo, ritiri spirituali, c’è chi perfino riesce a fare la voce perfetta del proprio vescovo: e infatti i parrocchiani di “ogni dove” le tramandano di padre in figlio, di catechista in catechista. Umorismo per fortuna sdoganato da papa Francesco che fin dall’inizio del suo pontificato ha messo in guardia il fedele dall’essere troppo triste e dall’avere «facce sfiduciate, da funerale».
In un’omelia a Santa Marta riservata a un gruppo di dipendenti dei Servizi economici del Vaticano e alcuni collaboratori delle Guardie svizzere, Francesco, ad esempio, ha ricordato l’insegnamento di Paolo VI e ha parlato della gioia cristiana che nasce anche «perdendo tempo a lodare Dio».
«Tante volte i cristiani – disse a braccio il papa nell’omelia con quel suo slang un po’ latinoamericano – hanno la faccia di andare più a un corteo funebre che di andare a lodare Dio. Noi cristiani non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria». E talvolta «ci piacciono di più le lamentele».
Ma non dovrebbe essere così perché «lo Spirito Santo che ci guida è l’autore della gioia, il Creatore della gioia e senza gioia noi cristiani non possiamo diventare liberi, diventiamo schiavi delle nostre tristezze». [Tratto da segnoweb)

Vignetta tratta dal sito del simpaticissimo don Giovanni Berti (http://www.gioba.it)

Dai Sikh un milione di alberi piantati come dono al Pianeta Terra

Nell’aprile di 550 anni fa, 1469, nasceva nel sultanato di Delhi, parte dell’attuale India, Sri Nanak Dev, mistico e fondatore del Sikhismo di cui è stato il primo guru.
Attorno a Nanak si raccolse una comunità di discepoli (Sikh significa proprio “discepolo”), tra i quali egli scelse il proprio successore, Guru Angad. In tutto, i successori del primo guru furono dieci.
Il decimo guru, Gobind Singh (1666-1708), fondò l’ordine militante dei Khalsa (“i puri”) e decretò che, dopo di lui, non ci sarebbe stato un altro guru in quanto l’autorità religiosa veniva trasferita al testo sacro, l’Adi Granth, raccolta di quasi seimila inni, composti dai primi cinque guru, curata da Arjan Dev (il quinto guru) nel 1606.
I principi fondamentali si ispirano ad alcuni principi dell’Induismo e dell’Islam, pur mantenendo un’ampia autonomia rispetto ai precetti di fondo.
I Sikh, monoteisti, sono oggi almeno 25 milioni in India e vari altri milioni nel resto del mondo.
Per festeggiare degnamente questo anniversario i Sikh in tutto il mondo stanno partecipando a un progetto per piantare un milione di nuovi alberi come un “regalo per l’intero pianeta”.
Il progetto mira a invertire il declino ambientale in corso e a aiutare le persone a riconnettersi con la natura. Rajwant Singh, presidente dell’organizzazione ambientale di Washington EcoSikh, che coordina il Million Tree Project, ha dichiarato di voler celebrare l’anniversario in modo significativo. «Guru Nanak era un amante della natura. Lui aveva parlato della natura come manifestazione di Dio e molti dei suoi scritti parlano di come abbiamo bisogno di imparare le lezioni della vita dalla natura». Uno degli inni di Guru Nanak, che molti sikh recitano come preghiera quotidiana, include la frase: «L’aria è l’insegnante, l’acqua è il padre, la terra è la madre».
Singh ha aggiunto di sperare che il progetto possa motivare i Sikh – specialmente i giovani – a migliorare il loro rapporto con la natura in maniera che essi stessi possano esser considerati come «un dono per l’intero pianeta».
La diaspora Sikh ha raccolto la sfida e decine di migliaia di alberi sono già stati piantati. Per lo più in India – la maggior parte della popolazione sikh del mondo vive nello stato del Punjab, che sta pianificando di piantare 550 alberelli in ogni villaggio – ma anche nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Australia e in Kenya.
La Sikh Union di Coventry nel Regno Unito ha iniziato a piantare alberi, arbusti e fiori come noccioli e biancospino a Longford Park, e sta allargando il discorso a scuole, parchi e aree ricreative. Palvinder Singh Chana, presidente della Sikh Union Coventry, ha dichiarato: «Come Sikh, la nostra connessione con l’ambiente è parte integrante della nostra fede e identità. Le generazioni future trarranno beneficio dai frutti del nostro lavoro, che simbolizzano la pace, le amicizie e la continuità per le generazioni a venire».
EcoSikh sta anche collaborando con Afforestt, un’organizzazione che forma le persone per progettare e costruire piccole foreste native che crescano rapidamente e che siano parte sostenibile dell’ecosistema.
Singh ha dichiarato che più di 1800 di queste foreste sono state pianificate in tutto il mondo e che l’obiettivo di un milione di alberi messi a dimora sarà raggiunto al momento del compleanno di Guru Nanak a novembre.
FONTE: https://riforma.it/

La storia del bambino con la pagella cucita nella giacca

Torna sui social dopo il racconto del medico legale Cristina Cattaneo, in un’intervista pubblicata da Il Foglio, e la vignetta di Makkox su Twitter, una storia che risale al naufragio nel Mediterraneo del 18 aprile 2015.
Per ricordarla riporto alcuni passaggi tratti da un articolo di Daniela Amenta in www.globalist.it.

[…] Il cadavere del naufrago ha età apparente 14 anni, provenienza Mali. Indossa una giacchetta. All’interno della tasca una pagella cucita con cura. Ha ottimi voti. Questo ragazzino di cui non sappiamo, non sapremo il nome, aveva sperato in un lasciapassare per un mondo più libero e più giusto, un mondo più accogliente, con la sua pagella da “perla rara”. L’illustratore Makkox gli ha dedicato una struggente vignetta. Dolorosa. Di sale, come le lacrime. Di sale, che brucia.

C’è sempre un prima e un dopo nelle storie dei migranti, così simili a quelle dei terremotati, di chi a un certo punto si trova costretto a lasciare, a fuggire, ad andare via di corsa dalla sua casa e porta con sé, un particolare che fa la storia. Una foto, una ciocca di capelli, un documento, uno scritto, un biberon, una maglietta. Sono le ferite loro e le cicatrici nostre. Sono storie negate che galleggiano. Una pagella per dire al mondo: prendetemi con voi, studio e sono bravo.
Non è arrivato in tempo per dircelo. Chissà che ingegnere abbiamo perso, che meccanico, che fisico, che matematico o che poeta.
Età apparente 14 anni. Com’è profondo il mare. Come sono buie, buie come un pozzo, le coscienze di chi non alza un dito davanti a questa strage.

Il presepe: mai per separare

Da Popotus del 13 dicembre 2018

Piccolo o grandissimo, artistico o casalingo, il presepe riassume lo spirito del Natale. Ed è bellissimo prepararlo insieme, lavorare la carta stagnola per il cielo e il laghetto, decidere in che ordine mettere le pecore, trovare il posto giusto, magari un po’ nascosto, per il pastore addormentato. Di fronte alla grotta di Gesù Bambino anche chi non è lo più torna piccolo. Riscopre l’importanza della famiglia, prepara il cuore alla festa, sente il desiderio di dividere quel che possiede con chi ha meno. Perché il presepe ci dice proprio questo: che abbassarsi rende grandi, che tutti sono invitati alla festa del Signore, che gli ultimi, i più soli, sono i primi agli occhi del Padre.
La Natività ci rivela l’amore folle di un Dio che si fa bambino, che pur di starci accanto accetta il freddo e la povertà, che agli applausi dei vip, degli uomini importanti, preferisce l’allegria semplice, un po’ grossolana, di chi ha le mani sporche di fatica.
Per questo stupisce e fa male vedere il presepe impugnato come un bastone, diventare “segno” che divide, sentir dire che è un obbligo farlo, che chi non lo accetta va considerato straniero e non ha posto tra noi. Ma sbagliato sarebbe anche modificare la realtà delle cose, presentare Giuseppe e Maria come naufraghi, cosa non vera, in nome di una battaglia politica contro misure, ingiuste, a danno dei poveri. Non serve, non ce n’è bisogno.
Il messaggio del presepe è semplice, per capirlo basta avvicinarsi. Guardando la povertà della mangiatoia, la grotta fredda dove nasce il Dio Bambino, diventa facile volere bene ai piccoli, si sente il bisogno di essere più accoglienti, viene spontaneo ringraziare. No, il presepe non è un muro di separazione ma una lezione di ospitalità, il coraggio dei miti opposto all’arroganza dei forti, l’abbraccio che si stringe al petto chi non ha voce. I poveri, gli stranieri, gli ultimi, gli scartati.

Condividere: i rischi della rete

In questi giorni ho proposto agli alunni di seconda media una seria riflessione sui rischi della condivisione via social. Condividere, stavamo vedendo con riferimento alla nuova proposta didattica, è un bel verbo che rischia però di diventare qualcosa di poco piacevole e intelligente quando lo mettiamo in atto in modo poco critico, come spesso accade sui social.
Con riferimento ai fatti accaduti a pochi chilometri da noi, e senza demonizzare nessuno, ci siamo resi conto come visualizzazioni e condivisioni in Rete creano fenomeni mediatici di dubbio gusto e dubbio talento. Certo, basta “acchiappare” quello che il pubblico vuole (e già questo, di per sé è alquanto triste e avvilente) o creare un personaggio che incuriosisca, stimoli inconfessati desideri o pulsioni, e lasciare che sia proprio questo pubblico a scatenarsi nella condivisione. Il gioco è fatto. E’ nato il fenomeno del momento. Anche le fake news trovano spazio in questo impulso acritico alla condivisione. Domande:
Tutto, ma proprio tutto, va condiviso?
Siamo consapevoli che con i nostri click e i nostri like anche noi finiamo per diventare complici della circolazione di tutta la “spazzatura” che si trova nel web?
MIUR e “Generazioni Connesse” nel 2015 hanno varato una campagna di consapevolezza sull’uso di Internet. Sette personaggi, alle prese con situazioni legate al web, aiutano i ragazzi a rendersi conto dei comportamenti rischiosi o sbagliati nella Rete.
Cliccando sull’immagine potrete accedere alla pagina che vi permetterà di conoscere i personaggi della serie e di vedere il promo di tutti i cartoni animati realizzati per la vostra navigazione in Internet più sicura e intelligente.

Ps: cliccando qui, potete accedere alla pagina in cui potete vedere tutti gli episodi completi.

La teoria del Big Bang sarà rinominata?

Per riconoscere i contributi scientifici dell’astronomo belga Georges Lemaître alla teoria scientifica dell’espansione dell’universo (quella che parla del Big Bang, per intenderci), la International Astronomical Union (IAU) ha deciso di raccomandare che la legge di Hubble venga rinominata legge di Hubble-Lemaître.
Padre Lemaître pubblicò le sue idee due anni prima che Hubble descrivesse le sue osservazioni in base alle quali le galassie più lontane dalla Via Lattea si allontanano più velocemente.
La IAU ha affermato che la risoluzione per suggerire di rinominare la legge di Hubble è stata presentata e discussa nella sua Assemblea Generale a Vienna (Austria) ad agosto. La votazione elettronica, aperta a più di 11.000 membri, si è conclusa il 26 ottobre. Oltre 4.000 membri hanno votato, e il 78% si espresso favorevolmente.
Nel 1927 Lemaître aveva calcolato una soluzione alle equazioni della relatività generale di Albert Einstein che indicava come l’universo non potesse essere statico, ma fosse in espansione. Questa affermazione fu sostenuta con una serie limitata di misure previamente pubblicate delle distanze delle galassie e della loro velocità, calcolate in base all’effetto Doppler. I risultati a cui giunse furono pubblicati in francese su una rivista belga poco nota. Per questo passarono praticamente inosservati.
Due anni dopo, nel 1929, Hubble pubblicava le proprie osservazioni mostrando un rapporto lineare tra la velocità e la distanza per le galassie che si allontanavano. Questa legge divenne nota come legge di Hubble.

(notizia tratta da it.aleteia.org, 31 ottobre 2018)

Dona un neurone a un hater

Ho scoperto una parola nuova: hater.
Così è chiamato chi esprime odio nei confronti di un determinato soggetto in spazi di discussione pubblica, in particolare in quelli presenti nel World Wide Web, come i forum e siti come YouTube.

Purtroppo, se questo è il significato, devo dire di essermi imbattuta in qualche hater: a volte persone insospettabili che scatenano i loro istinti più biechi proprio nei social diffamando, o sputando veleno, a destra e a manca.
Quella che una volta era la pessima abitudine al pettegolezzo, alla maldicenza o all’insulto, è dal web elevata all’ennesima potenza, con effetti collaterali deprecabilissimi, come la traccia che rimane nella rete praticamente per sempre e la vastità del pubblico raggiunto. E’ chiaro che quando il web diventa un luogo dove seminare odio verso qualcuno, ci può stare qualche – perdonate l’espressione – altro imbecille (perché il primo è l’hater), che potrebbe sentirsi chiamato a compiere chissà quali azioni ai danni del soggetto preso di mira.

La scoperta di questa nuova parola è legata ad una notizia di qualche giorno fa: Bebe Vio è stata insultata e minacciata su Facebook. Vi rendete conto? Una campionessa paralimpica, testimone di coraggio e di tenacia, viene presa di mira e minacciata in una pagina creata appositamente per questo!
Ma cosa c’è nel cervello di queste persone? O meglio, cosa non c’è?!!!
In modo spiritoso e intelligente, ce lo dice proprio Bebe con Alessandro Cattelan.