Premetto che con la parola “vocazione” non dobbiamo intendere solo la chiamata alla vita religiosa, cioè il farsi prete o suora, ma la risposta personale al progetto che Dio ha su ognuno di noi. Alla base di ogni vocazione c’è il sentirsi chiamati verso qualcosa (come la terra promessa ad Abramo) che realizza in pieno la nostra vita. Si tratta di riconoscere che c’è un sogno di Dio su di noi e aderire a questo sogno, farlo diventare il proprio. E’ una questione di fede, di consegnare la nostra vita ad un Altro, senza che questo comporti però un venir meno alle proprie responsabilità o all’impegno personale, come se dovesse fare tutto Dio.
Certo che la scelta di una vita di clausura sembra, ad una lettura superficiale, una rinuncia a vivere, quasi una sorta di deresponsabilizzazione, visto che si rimane chiusi tra quattro mura e si trascorre la giornata nella preghiera e nella contemplazione. Ma non è per nulla così. Anzi, abbiamo bisogno di chi si assume la responsabilità di pregare anche per noi. Per questo, quando sento che ancora oggi, in questo mondo dove tutto e troppo viene mostrato, c’è qualcuno che decide di “nascondersi” nella scelta della clausura, mi si riempe il cuore, perchè vuol dire che Dio non si è stancato delle nostre preghiere.
Qualche tempo fa ho letto sul Resto del Carlino, il quotidiano che circola in casa dei mei genitori, di una vocazione alla vita di clausura di una giovane donna in carriera, che oggi è suor Maria Serena di Gesù.
Il suo cammino spirituale – riporto dal giornale – era iniziato sette anni fa: scegliendo i voti aveva lasciato il fidanzato e rinunciato a una promettente carriera in magistratura, dove aveva mosso i primi passi, dal febbraio 2002, come pubblico ministero onorario nel Palazzo di giustizia di Ravenna. In precedenza si era diplomata al liceo scientifico con il massimo dei voti e laureata con lode in Giurisprudenza a Bologna. (…) La religiosità, in ogni caso, era già allora il tratto distintivo di una vita semplice e votata agli altri. Militante dell’Azione cattolica, era molto attiva anche nella sua parrocchia, quella di San Cristoforo, come educatrice e catechista. Gratificazioni professionali e personali dunque non erano mai mancate. Ma evidentemente nel suo cuore Serena aveva un senso di incompiutezza. «Quando venne a parlarmi della sua ‘chiamata’, così la chiamò lei – ricorda Giovanni Maroni, suo insegnante di liceo con cui il rapporto scolastico è divenuto poi amicizia – Serena aveva una bella carriera che si spalancava in campo giuridico. Capì che la sua scelta radicale non era improvvisata, ma meditata e maturata attraverso un itinerario interiore che mi parve subito autentico e coraggioso». Per verificare l’autenticità della sua ‘chiamata’ e sperimentare da vicino la vita e il lento trascorrere dei giorni dietro le mura di un convento, la giovane ha trascorso due anni nel monastero delle benedettine a Cesena. Il trasferimento al Carmelo di Firenze – dove vige un ambiente ancora più austero – è avvenuto quasi per caso: era rimasta colpita dalla storia di una santa del ‘600 che era vissuta lì. In una lettera a un amico di qualche anno fa Serena diceva che era molto felice e scriveva di sé: «E’ una grazia di cui ogni giorno apprezzo sempre più la bellezza. In questo silenzio d’amore che è tutta la mia vita … a Lui presento le necessità di tutti». La vocazione eccezionale di questa ragazza, di spiccata intelligenza, bella, serena di nome e di fatto, che ha scelto di abbandonarsi al mistero della vita contemplativa, confidando nella capacità rivoluzionaria della preghiera, è ora un motivo di riflessione per chi le è stato accanto. Erano un centinaio i parenti e gli amici che sono accorsi nel capoluogo toscano per partecipare alla liturgia solenne e salutarla. «Dopo la professione – conclude il suo ex insegnante di liceo – da dietro la grata Serena ci ha salutato festosamente e per ciascuno aveva parole di affetto. La sua gioia mi ha commosso».
FONTE: Il Resto del Carlino, 18 febbraio 2010
La processione delle Palme? Parte dalla «casa dei fichi»… No, non si tratta di uno scambio di alberi: pare infatti che, per entrare in Gerusalemme la domenica del suo apparente trionfo, sulla groppa di un asinello e tra due ali di folla festante, Gesù si avviò proprio da Betfage, un sobborgo alle pendici del monte degli Ulivi il cui nome significa appunto «casa dei fichi».
Oggi in quel luogo sorge una chiesetta, al centro della quale sta una grande roccia decorata con affreschi antichi: la leggenda vuole che quel masso squadrato sia servito come una specie di «scaletta» per far salire il Signore in groppa alla sua cavalcatura.
Che non a caso era un asino: infatti esso (e non il maestoso e possente cavallo, animale adatto alla guerra) serviva da mezzo di trasporto ai re d’Israele quando volevano indicare che le loro intenzioni erano pacifiche. L’ingresso di Gesù nella Città santa – così come è descritto dagli evangelisti – in realtà non è soltanto un semplice momento di festa o un superficiale trionfo: si trattò invece di un rito preciso, quello delle Capanne, quando gli ebrei agitavano mazzetti verdi composti da un ramoscello di palma, due di salice e tre di mirto legati insieme con un cordone dorato e nastri colorati. Una festa di pace, dunque: come simbolo universale di pace e di concordia è appunto l’ulivo, fin dai tempi del diluvio universale. È perciò una doppia tristezza il fatto che proprio accanto al santuario di Betfage sia sorto da pochi anni il muro in cemento che separa le zone palestinesi da quelle israeliane: forse oggi Gesù non avrebbe potuto entrare facilmente a Gerusalemme…
da Popotus di sabato 27/03/2010
L’azione nasce in vista della nuova direttiva sui tempi di lavoro che la commissione europea sta preparando. Ma risponde anche alle pressioni sempre più forti che, nei vari stati nazionali, vengono dal settore del commercio a fare della domenica un “normale” giorno di lavoro e soprattutto di shopping. In Gran Bretagna la liberalizzazione è già stata approvata nel 1994, in Francia la polemica è rovente perché il governo preme per una maggiore apertura dei negozi, sperando così di spingere i consumi e riprendersi dalla crisi. In Italia, la legislazione nazionale è ferma a 8 domeniche di apertura oltre a quelle di dicembre, ma in realtà in molte regioni le saracinesche dei negozi possono restare alzate anche fino a 32 domeniche l’anno o tutte e 52 se si tratta di località turistiche. L’ultimo contratto del settore del commercio, inoltre, prevede che i lavoratori non possano rifiutarsi di prestare la loro opera nella maggior parte dei giorni festivi.
Che poi le maggiori aperture domenicali portino effettivamente un incremento delle vendite – e, di conseguenza, contribuiscano a far crescere l’occupazione e il benessere sociale – resta ancora tutto da dimostrare. Molto più concreti appaiono invece gli effetti negativi sulla vita familiare dei lavoratori – costretti a programmazioni improbabili per passare qualche giornata con i figli – “tagliati fuori” da buona parte delle attività sociali concentrate tra il sabato e la domenica, ostacolati nell’esercizio dell’attività comunitaria, religiosa o laica che essa sia. In una parola, un ulteriore contributo a quella disgregazione del tessuto sociale già ampiamente in atto in Italia come nel resto d’Europa. E che vede proprio i grandi centri commerciali quale epicentro della trasformazione. Nuovi (presunti) luoghi di aggregazione, dove però lo stare insieme è comunque subordinato all’acquistare, al vendere, allo scambio profittevole. L’esatto contrario di quella gratuità che è il segno costitutivo di un autentico rapporto sociale e più ancora di quello familiare.
La domenica non è semplicemente il giorno del riposo, ma il tempo degli affetti, della cura familiare, dello stare insieme come comunità. E ancora, della riflessione personale e della preghiera per i credenti. Un tempo speciale perché sincronizzato con quello degli altri. Di festa proprio perché libero, nel quale in fondo esprimiamo ciò che di più autentico siamo.
Francesco Riccardi in Avvenire del 25/03/2010
Un ulteriore approfondimento sul rapporto tra la fede e la scienza.
«La fede cerca di comprendere »: è caratteristico della fede che il credente desideri conoscere meglio colui nel quale ha posto la sua fede, e comprendere meglio ciò che egli ha rivelato; una conoscenza più penetrante richiederà a sua volta una fede più grande, sempre più ardente d’amore. La grazia della fede apre «gli occhi della mente» (Ef 1,18) per una intelligenza viva dei contenuti della Rivelazione, cioè dell’insieme del disegno di Dio e dei misteri della fede, dell’intima connessione che li lega tra loro e con Cristo, centro del mistero rivelato. Ora, «affinché l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni». Così, secondo il detto di sant’Agostino: «Credi per comprendere: comprendi per credere»
Fede e scienza. «Anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero». «Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio. Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza che egli se ne avveda, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono ».[158-159]
Ho letto su Avvenire che gli scienziati dell’University of California a San Diego e dell’ateneo di Harvard hanno condotto un esperimento di cooperazione, in cui si dava del denaro ad alcuni volontari, liberi di cederlo o meno agli altri. Sapete qual è stato il risultato?
Di fronte a una buona azione anche gli altri si mostrano generosi, e anche a distanza di tempo. Le buone azioni, insomma, sono “contagiose”, si diffondono a ondate, e i pochi che fanno bene generano una cascata che influisce sulle vite di centinaia di altre persone. Per una volta tanto, concludeva il servizio di Avvenire, la scienza ci rincuora e ci dà una direzione. Di cui la società odierna sembra avere più che mai bisogno…
Peccato che… leggete la vignetta.
Sono ragazzi extraterrestri o ragazzi che hanno capito quanto sia importante prepararsi alla vita nel modo più giusto possibile?
A voi l’ardua sentenza!
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