Adolescenti e gruppo

Inserisco l’attività prevista per le classi seconde, che stanno riflettendo sull’esperienza del gruppo, che è molto significativa per gli adolescenti.

Cliccare sull’immagine. Si aprirà una scheda da leggere e una serie di domande a cui rispondere.

 

Prima di rispondere alla domande della scheda, verifica se hai ben compreso il testo proposto (tratto da I. M. Josselin, L’adolescente e il suo mondo, Firenze, Giunti – Barbera).

 

Un antico antenato: l’homo Naledi

Ne avete sicuramente sentito parlare. Mi riferisco alla scoperta di una specie umana sconosciuta fino ad oggi.
 In una grotta a 50 chilometri da Johannesburg sono stati scoperti i resti di 15 corpi “di una nuova specie dei nostri avi”, così ha affermato Leo Berger, professore dell’università ‘Witwatersrand’ di Johannesburg. La nuova specie umana è stata denominata “Homo naledi”, perché la grotta della scoperta si chiama stella nascente. Naledi significa infatti stella nella lingua Sesotho, usata da alcune tribù sudafricane.
 Gli scienziati non hanno ancora stabilito l’età delle ossa ritrovate, anche se quei resti appartengono a persone probabilmente portate nella grotta dopo la loro morte. E’ proprio questo l’aspetto interessante, perché prima di questo ritrovamento si pensava che l’idea di comportamenti rituali funebri fosse un’esclusiva dell’Homo sapiens.
Si credeva infatti che le sepolture più antiche fossero avvenute solo 100 mila anni fa, ma sebbene l’Homo Naledi non abbia una datazione ancora precisa, è sicuramente più antico di 100 mila anni. ‘L’Homo Naledi – afferma Berger – seppelliva i cadaveri costantemente, questo indica che si vedeva diverso dagli altri animali’.

Questa “pietà” verso i propri simili, manifestata dalla cura con cui furono deposti quei corpi, è espressione di quel “sentire religioso” che caratterizza l’essere umano.

Educare alla bellezza

«Ogni statua che cade, ogni colonna che crolla è un colpo letale nei confronti della libertà e della ragione dell’uomo, della bellezza, della possibilità di costruzione. 

L’archeologo che ha difeso fino al sangue la possibilità di ‘guardare’ quelle opere, dopo aver lavorato una vita per tirarle fuori dalla sabbia e renderle ‘visibili’ al mondo, dovrebbe essere ricordato il primo giorno di scuola.

È fondamentale che tutti i nostri studenti, anche i più piccoli, vedano quella bellezza e quella distruzione per capire il senso del nostro amore per quello che ci è stato consegnato dalla storia».
Elena Ugolini in Avvenire del 26 agosto 2015
Khaled al Asaad

E tu, che avresti fatto?

Tutti noi siamo “progettati” per vivere insieme. È nella vita con gli altri che impariamo a conoscere noi stessi e a crescere. A volte, purtroppo, è proprio nel gruppo che un ragazzo può “perdersi£, perché l’influenza negativa di alcuni compagni incide fortemente sulla crescita.
Scopriamo, così, di poter essere capaci di fare del male. Forti del gruppo, finiamo per distruggere la vita degli altri.

Purtroppo non si è bulli da soli e molte volte pensiamo che altri siano i bulli.

Caro alunno di seconda, ti propongo questo video. Volutamente si interrompe, perché vorrei che rispondessi ad alcune domande, che troverai dopo il video, e su cui discuteremo a scuola.

(1) Cosa ne pensi di quello che hai visto?

(2) Ti è mai capitato di trovarti in una situazione del genere o conosci qualcuno che ha vissuto una situazione simile?

(3) Perché, secondo te, accadono situazioni simili?

(4) Tu come ti saresti comportato?

(5) Come potrebbe finire la storia?

Nel caso ti interessasse approfondire il tema del bullismo, ti propongo di visitare il portale del MIUR, rivolto a studenti, docenti e genitori, che offre strumenti e informazioni utili a prevenire forme di disagio giovanile che possono determinare comportamenti violenti come bullismo, cyber bullismo, omofobia…

Clicca sull’immagine.

 

Si ricomincia. Ahimè!

Oggi per noi riapre la scuola e secondo alcuni dati (focus Pisa “What 15-year-olds know and what they can do with what they know” e un’indagine di AlmaDiploma),  anche il “mal di scuola”.
Ho letto che gli studenti italiani sono tra i meno contenti al mondo di tornare tra i banchi.
I motivi?
Perché gli insegnanti non sanno spiegare (lo affermano 2 alunni su 7) e sono poco disponibili al dialogo; le aule sono inadeguate; ci sono troppi compiti…
Neanche i rapporti tra compagni rendono la scuola più appetibile: uno studente su tre lamenta di essere stato vittima di bullisno o cyberbullismo almeno una volta.
Insomma, sembra che i nostri studenti frequentino una scuola da INCUBO.
Così siamo al 54esimo posto per grado di felicità a scuola dei ragazzi.
Dopo di noi ci sono solo Qatar, Grecia, Russia, Polonia, Lettonia, Finlandia, Estonia, Slovenia, Repubblica Ceca e all’ultimo posto la Corea. Troppe posizioni ci separano dal primo Stato in classifica, quello che ha gli studenti che si alzano con il sorriso pensando sia arrivato il momento di andare finalmente a scuola, l’Indonesia. A superarci sono anche Serbia, Montenegro, Vietnam e Kazakistan.
E’ un quadro veramente desolante.
Che vi devo dire, ragazzi?
Non ci si può fare niente. Oggi ricomincia la scuola.
E’ proprio un giorno di lutto?
Vi lascio alcune frasi che possono aiutarci a vedere la scuola con un occhio diverso:

«Il mondo può essere salvato solo dal soffio della scuola».
(Talmud)
«Colui che apre una porta di una scuola, chiude una prigione».
(Victor Hugo)
«Un investimento in conoscenza paga sempre il massimo interesse».
(Benjamin Franklin)
«L’apprendimento è un tesoro che seguirà il suo proprietario ovunque».
(Proverbio cinese)

Su internet trovate tante altre frasi sull’importanza della scuola e dell’imparare.
Provate a cercate la vostra frase, quella che vi accompagnerà nel corso di quest’anno.
Intanto vi lascio ancora qualcosa su cui sorridere e pensare: due vignette e il link al trailer del film “Vado a scuola”.

Per il link al video, cliccare qui.
Buon anno scolastico a tutti noi!!!

Rethink, un software anti-bullismo

Rethink riconosce le parole offensive e mostra una finestra che chiede a chi sta scrivendo di “ripensarci”.

Può sembrare troppo semplice, eppure funziona. Secondo alcuni studi è sufficiente una semplice domanda come “sei proprio sicuro che vuoi farlo?” per indurre i ragazzi a fermarsi a riflettere.

Stando alle ricerche di Trisha, la giovane (15 anni) programmatrice di Rethink,sarebbe addirittura il 90% a fermarsi e riformulare il proprio messaggio. Un successo enorme.

“Steve Jobs una volta ha detto che una cosa semplice può essere più difficile di una cosa complessa. Ma quanto ci riesci muovi le montagne” ha ricordato Trisha presentando il suo software in un coinvolgente TEDxTeen a Londra lo scorso anno.

Tutto è cominciato nel 2013. Trisha ha 14 anni e vive nello stato dell’Illinois. Legge sul giornale la storia di Rebecca, una ragazzina di 12 anni che in Florida si è suicidata dopo essere stata vittima di cyberbullismo. La notizia la impressiona: “Avevo il cuore spezzato – ha detto Trisha al TEDxTeen – come poteva una ragazza più piccola di me essere spinta a togliersi la vita?”.

Trisha va a vedere i dati: Rebecca è solo una dei tanti giovanissimi vittime del bullismo in rete. Megan, ha ricevuto tanti messaggi come “il mondo sarebbe un posto migliore senza di te” e si è impiccata nel suo bagno.

Tyler aveva 18 quando dei compagni di stanza hanno deciso di filmarlo quando era in intimità con il suo fidanzato e inviare il video in streaming sui social media. Tyler si è buttato da un ponte.
“In queste storie, il danno è fatto. Vorrei riscriverle, ma non posso. Vorrei poter andare indietro nel tempo e chiedere alle persone che hanno spinto questi adolescenti a uccidersi di ripensarci prima di compiere le loro azioni. Non posso farlo: quello che posso fare, però, è prevenire i prossimi danni. Per questo ho creato Rethink”.
Trisha è appassionata di codici e programmazione, così inizia a pensare a quale potrebbe essere un rimedio contro il bullismo in rete. Crea il software Rethink che riconosce le parole offensive e le tipiche espressioni da bulli nelle conversazioni tra gli utenti. Il software invia dei messaggi a chi scrive per invitarlo a ripensarci, a riformulare, ad essere più attento. “E’ come se io tutte le volte gli dicessi: ‘Ehi, aspetta, guarda che stai per offendere qualcuno, vuoi veramente farlo?’ Ripensaci prima che il danno sia fatto”.
Trisha fa delle ricerche che dimostrano come un’altissima percentuale di adolescenti, se viene messa di fronte a un messaggio che li invita a “ripensare” ciò che hanno scritto, di fatto cancella e riscrive.
Il motivo è che nell’adolescenza la capacità di riflettere prima di scrivere e di prendere delle decisioni che potrebbero avere delle conseguenze è molto meno sviluppata rispetto all’età adulta. In parole semplici: i ragazzi sono meno propensi a riflettere, ma se qualcuno instilla loro il dubbio sono pronti a tornare sui loro passi.
“In questo mondo sempre connesso – ha detto Trisha – certe volte abbiamo bisogno di rallentare, prenderci una pausa e pensare a quello che stiamo facendo. Noi lanciamo un messaggio, ed ha un significato”. La sua idea funziona, tant’è che nel 2014 Trisha Prabhu partecipa anche alla Google Science Fair, la competizione di Google per adolescenti che hanno inventato qualcosa di utile alla società e arriva tra i 20 finalisti mondiali.
Trisha sta portando il suo programma anti-bullismo in tante parti del mondo, intervenendo anche alla Casa Bianca in un recente evento lo scorso luglio.

Per scaricare l’app cliccare qui.

La “Scuola del gratuito”

Una proposta interessante e “pro-vocatoria” tratta da Popotus (01/06/2015):
«Che cosa ti ha scritto oggi il prof?».
Forse a nessuno è mai capitato di sentirsi porre questa domanda dai genitori al ritorno da scuola. Molto più comune il «Come è andata?». Che vuol dire: «Quanto hai preso?».
Eppure, alle scuole medie di Pesaro c’è un professore di Matematica e Scienze che, ormai da quindici anni, preferisce scrivere lettere ai propri alunni anziché comunicare i voti. Che ci sono e sono scritti sul registro, ma che sono confidati soltanto a chi lo chiede perché, per il prof, non rappresentano l’obiettivo finale, la ragione ultima per cui si va a scuola e si studia.
«I ragazzi sentono molto il peso del voto, che è vissuto come un giudizio sulla propria persona e questo non va bene», spiega Ferdinando Ciani, tra i primi in Italia ad applicare il metodo della “Scuola del gratuito”, nata da un’intuizione di don Oreste Benzi, il fondatore dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, che si occupa soprattutto di ragazzi, adulti e famiglie in difficoltà.
«All’inizio dell’anno – prosegue il prof – chiedo ai ragazzi se preferiscono il voto o la lettera e, la maggior parte, chiede la seconda. In quelle poche righe cerco di mettere in luce i passi in avanti compiuti e anche i punti deboli su cui l’alunno dovrà lavorare, indicando un metodo per migliorare». Alla base di tutto c’è il Patto educativo che professore, alunni e famiglie stipulano in prima media e che vale per l’intero triennio. Un patto che è anche un’assunzione di responsabilità e, per gli studenti, una motivazione in più per impegnarsi. «Insieme – aggiunge Ciani – stabiliamo le regole e concordiamo il metodo di lavoro. Con questo sistema, per esempio, l’anno scorso abbiamo scelto insieme il libro di Scienze, adottando quello più votato dai ragazzi».
Ecco la testimonianza di una ex alunna del prof Ciani:
«È stata un’esperienza molto positiva, di cui ho un buon ricordo e che, soprattutto, mi ha aiutata a crescere». A dieci anni di distanza, Cristina Spadoni ricorda ancora con piacere (e un pizzico di nostalgia) il tempo delle scuole medie, con questo prof di Matematica un po’ speciale che, a lei e ai suoi compagni, scriveva lettere in fondo ai compiti in classe anziché limitarsi ad assegnare voti. «Aver messo in secondo piano il risultato – ricorda Cristina, che oggi ha 26 anni ed è educatrice in un asilo nido di Pesaro – ha fatto sì che in classe non ci fosse competizione, che noi studenti non ci giudicassimo sulla base di un 5 o di un 8.
Penso che, anche per questa ragione, il nostro gruppo classe fosse molto unito».
Cristina ricorda anche le attività extrascolastiche proposte dal prof. Come, per esempio, trascorrere alcuni pomeriggi a casa di un coetaneo con una gravissima disabilità che gli impediva di andare a scuola.
«Andavamo da lui a fare i compiti – racconta la giovane – e gli facevamo compagnia per qualche ora. La ricordo come un’esperienza molto forte che, per la prima volta, mi ha fatto entrare in contatto con la fragilità, con il bisogno di chi deve vivere con una grave problema. Come tutte le esperienze fatte alle medie (penso, per esempio, alla coltivazione dell’orto nell’ora di Scienze), quei pomeriggi mi hanno davvero fatto “diventare grande” e hanno lasciato un segno durevole nella mia vita».
Per sapere qualcosa di più sulla “Scuola del gratuito” vi invito a cliccare sull’immagine.

Cliccando qui è possibile invece conoscere nel dettaglio alcune esperienze.
Che ne dite? Varrebbe la pena provarci?

Lence, la samaritana

Di fronte alle tragedie che accadono alle porte dell’Europa, apre il cuore questa testimonianza di Nello Scavo letta su Avvenire di ieri.
Lence va veloce. Anzi di fretta. «Qui serve dell’acqua, Lence ». E lei arriva. «Lence, questo sta male, ha bisogno di un medico». E Lence chiama il medico. «Lence, hai caramelle per i bambini?». E Lence regala dolcetti anche agli adulti. Che lo zucchero fa bene, e poi erano settimane che non mettevano tra i denti qualcosa che dia buon umore.
«Lence, la samaritana», la chiamano i vicini. «Lence, la santa», assicurano i profughi. «La nuova madre Teresa macedone», per stare alla definizione di alcune Ong con cui collabora.
È una donna magra, premurosa e di poche parole. Eroina per caso, che riscatta l’immagine di un’Europa chiacchierona e immobile.
Da sola ha assistito almeno cinquantamila profughi. «Non saprei, non tengo il conto». Ma con centinaia di loro è rimasta in contatto, costruendo una rete informativa ramificata ed efficiente.
Lence Zdravkin è una casalinga di Veles, uno di quei posti che anche Google Mapsfatica a trovare e per il quale non c’è ragione al mondo che ne giustifichi una sosta. Ma da Veles passa la strada ferrata che dal confine greco-macedone raggiunge Skopje, poi sessanta chilometri più a Nord risale verso la frontiera serba.
Lence ha compreso che la guerra in Siria era anche affar suo una sera di due anni fa. Ai rumori della ferrovia ci ha fatto l’abitudine. Il balcone si affaccia sui binari. I convogli passano così vicino che quasi piombano in soggiorno. Quella sera Lence sentì qualcosa di insolito. Passi pesanti di uno, due, dieci persone. Una marcia nella polvere. In silenzio. «Chi verrà mai a Veles a quest’ora?». Era il primo gruppo di profughi siriani che passava dalla Macedonia.
«All’inizio – racconta – offrivo dell’acqua, qualcosa da mangiare, poi se ne andavano». Dopo, Lence ha deciso che doveva fare di più. «Li facevo accomodare in casa per riposarsi al caldo. Magari per dormire. Non potevo lasciare che i bambini non ricevessero almeno una carezza». Anche il marito l’ha subito appoggiata. Fino a che la pedagogia del buon esempio ha avuto la meglio. I vicini di casa, gli amici, altri abitanti del villaggio di duemila macedoni (per metà cristiani e per metà islamici) ed altri ancora dai villaggi vicini, hanno trasformato Veles da borgo dimenticato a snodo cruciale.

In due anni di assistenza umanitaria organizzata informalmente, Lence conosce meglio di chiunque il diagramma degli afflussi. Nelle ultime settimane si è passati da un afflusso medio di 30 profughi a 300 al giorno. E dal momento che molti non se la sentono di finire stivati nei vetusti treni di epoca jugoslava, da Lence arriva sempre più gente. Lei non fa nulla per scoraggiarli. «Anzi li invito a passarsi il mio numero di telefono e, se vogliono, possono anche contattarmi su Facebook ». E infatti il telefono squilla. «Saranno in duecento – annuncia a gran voce –. Arriveranno stanotte. Ci sono anche degli anziani e una decina di bambini». Niente paura. C’è il ristoratore che provvede alle derrate. Le amiche che aiutano a mettere ordine, i volontari che preparano le tende. E sembra quasi che si preparino a una festa.
Poi arriva la notizia dall’Austria. Lence sgrana gli occhi. Non può piangere, lei non può crollare. Perché se Lence molla, cosa dovrebbe fare il profugo con una gamba sola, mutilato da una granata, che è riuscito ad arrivare fin quassù. Non c’è tempo neanche per un singhiozzo. Neanche per domandarsi se quei disgraziati erano passati di qua. «Domani vado al confine con la Grecia. Vado a rassicurarli. La polizia oramai mi conosce».
Di politica con Lence è impossibile parlare. Avrà le sue idee, certo. Chissà quante ne direbbe a chi blatera invece di venire qui a dare una mano. Ma Lence lavora e basta. Come quella prima notte di due anni fa. Impossibile starle dietro. Neanche il tempo di richiudere il taccuino che Lence è sotto una tenda a giocare con i bambini.
L’Europa, o quel che dovrebbe essere, comincia a Veles. Ha lo sguardo e le carezze di una piccola donna che non è rimasta sul balcone a guardare il treno della storia che passa.