Solo per oggi

Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta. 
Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso. 
Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo. 
Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri. 
Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l’ascolto sono necessari alla vita dell’anima. 
Solo per oggi, compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno. 
Solo per oggi mi farò un programma: forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l’indecisione. 
Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che la buona Provvidenza di Dio si prende cura di me come di nessun altro al mondo. 
Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell’Amore. Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita. 

Papa Giovanni XXIII

La Bibbia e il Corano

Il Corano è il testo sacro della religione islamica: il termine arabo significa lettura o recitazione di un testo a fini liturgici.
Alla base c’è una rivelazione di Allah al suo profeta  Maometto, attarverso l’angelo Gabriele, di un messaggio destinato a tutti gli uomini.
Esso è diviso in 114 Sure o capitoli, per un totale di 6219 versetti.
Per i cristiani ed ebrei la Bibbia è stata ispirata da Dio; per i musulmani il Corano è stato rivelato, parola per parola, da Dio al profeta Maometto. Proprio per questo la recitazione liturgica del Corano deve avvenire sempre e comunque in arabo.
Questo testo, lungo quasi quanto il Nuovo Testamento della Bibbia cristiana, non è strutturato nel modo in cui sarebbe stato rivelato a Maometto, ma secondo la lunghezza dei capitoli, che sono generalmente più brevi verso la fine del libro.
Diversi sono gli argomenti trattati: prescrizioni etiche e morali; moniti sulla venuta dell’ultimo giorno e del giudizio finale, narrazioni che riguardano la vita dei profeti che precedettero Maometto (Adamo, Noè, Abramo, Isacco, Mosè, Elia, Giovanni Battista, Gesù) e dei popoli presso i quali essi furono inviati; regole riguardanti la vita religiosa o sociale come il matrimonio, il divorzio e l’eredità.

Il messaggio fondamentale è che esiste un solo Dio, il creatore di tutte le cose, che richiama continuamente l’umanità alla sua adorazione e al suo servizio.
Il Corano si riferisce di continuo all’Antico Testamento e, in modo particolare, alle tradizioni e ai racconti: li esamina, li valuta, li utilizza e li trasforma.
Così per il Nuovo Testamento il Corano raccoglie le tradizioni attorno a Gesù (alla sua vita e alle sue opere), anche se in misura minore rispetto all’Antico Testamento.
In ogni caso gli eventuali paralleli con il testo biblico vengono sviluppati in modo diverso.
Così Abramo, nel Corano, è immagine del vero credente. La differenza sostanziale non riguarda semplicemente il fatto che, per la tradizione musulmana, egli sacrificò il figlio Ismaele e non Isacco, come invece riporta la tradizione giudaico-cristiana, bensì l’assenza d’un riferimento storico-salvifico, che invece è sempre presente nel testo biblico. Il Corano riserva un interesse particolare per alcuni libri: Genesi ed Esodo. Sono narrati continuamente, e ripresi in diversi punti e modi, i racconti della creazione del mondo e dell’uomo, nonché le storie di Noè, d’Abramo, di Mosè e dell’esodo, come pure la storia di Giuseppe. È presente anche il racconto di Babele, però riletto diversamente: è il faraone d’Egitto a chiedere la costruzione della torre (cf. 40,36-38).

Il Corano non percepisce la distinzione tra Antico e Nuovo Testamento e, diversamente, dal cristianesimo, non rilegge l’Antico in funzione del Nuovo, né si riconosce nelle radici giudaiche. Sporadici e poco significativi i richiami alla vita di Gesù, ai suoi miracoli, agli apostoli.  La morte e la risurrezione di Gesù ricevono un’interpretazione molto diversa rispetto ai Vangeli. L’immagine di Gesù, per Maometto, è stata contraffatta dagli stessi cristiani. Gesù non può essere figlio di Dio (cf. 19,34-35) né Maria può aver partorito un Dio ed essere all’interno della Trinità: Dio-Gesù-Maria. Di solito si presenta Gesù come il Figlio di Maria: di Giuseppe non si parla minimamente.
Nella sura 19,30-33, Gesù bambino parla di se stesso presentandosi come servo di Dio, colui che ha ricevuto il Libro (il Vangelo) ed è diventato un profeta: egli è stato benedetto da Dio che gli ha prescritto la preghiera e l’elemosina fino al giorno della sua morte.  Gesù, nel Corano, 11 volte è citato con il titolo di Cristo e 13 con il nome Gesù Cristo. Tuttavia, l’appellativo “Cristo” non è stato recepito in senso escatologico né messianico: è il nome proprio di Gesù.
Gesù appare come modello di fede, o quale norma della fede nel Corano. La stessa sua madre, Maria, è un modello da seguire per tutti gli uomini di buona volontà d’ogni tempo (cf. 66,14).
È rifiutata in misura totale la morte in croce di Gesù perché Dio non abbandona mai i suoi profeti (cf. 3,52-54; 4,155-159).
Chi volesse  approfondire, può leggere integralmente il testo da cui ho tratto alcune di queste informazioni: cliccate qui.

Il male e la nostra libertà

Se Dio è buono, perché esiste il male? Il brano di Genesi 3, che abbiamo letto e analizzato in classe, ci dice che il male è entrato nel mondo per una scelta umana.
 Per approfondire ancora un po’ il tema del nostro lavoro, vi invito a dare un’occhiata a questo video.

Penso che ora valga la pena di ragionare sulla libertà, su come la usiamo o, piuttosto, ne abusiamo. Che ne dite? Se digitate la parabola “libertà” su “cerca nel blog”, potete trovare alcuni spunti.

Il Concilio Vaticano II

L’11 ottobre del 1962 Giovanni XXIII apriva ufficialmente  il Concilio Vaticano II.
Fin dall’inizio del suo Pontificato, Benedetto XVI si è proposto “l’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II”, che ha avuto modo di definire “la bussola con cui orientarci nel vasto oceano del terzo millennio”.
Ma cos’è un concilio? e come avviene?
Per rispondere a queste e altre domande, vi rimando a quanto pubblicava, nell’ottobre del 1962, il mitico (almeno per me) giornalino che si chiamava il Corriere dei Piccoli. Ci sono immagini da ritagliare, luoghi da ricostruire, informazioni a fumetti. Vale la pena dare un’occhiata. Cliccate qui.

Il fumetto che segue e che racconta Il Concilio Vaticano II è in spagnolo, ma ce la farete senz’altro a capirlo.

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Altre informazioni le trovate nel Giornalino online. Cliccate qui.

Per comprendere il concetto di “ispirazione”

Per i credenti la Bibbia è sì “Parola di Dio”, ma anche “parola umana”. Cosa significa? Significa che Dio non si è sostituito agli autori materiali della Bibbia, ma li ha accompagnati, illuminati, affinché potessero giungere alle giuste intuizioni e la loro volontà potesse conformarsi a quella di Dio.
Chi studia la Bibbia riesce infatti a cogliere la personalità dei diversi autori, a rendersi conto se un libro è stato scritto da un’ unica “penna” o se vi hanno messo mano più persone, se un testo è molto antico o più vicino all’epoca di Gesù. I credenti, sia ebrei che cristiani, ritengono che in ogni caso Dio ha garantito la sua “assistenza”. Questo particolare aiuto di Dio, profondamente rispettoso della personalità dei diversi autori, è chiamato “ispirazione”. Vediamo cosa dice la Dei verbum, una delle Costituzioni del Concilio Vaticano II, proprio sul concetto di ispirazione. Provate a completare il testo.

La «Notte dei cristalli» del XXI secolo

Dall’Editoriale di Timothy Dolan, cardinale arcivescovo di New York, pubblicato su Avvenire di domenica 10 febbraio 2013.

In una fetta del mondo che va crescendo sempre di più, i cristiani non possono riunirsi e pregare in maniera sicura. I cristiani in Egitto, Cina, Iraq, India, alcune parti dell’Africa e dell’Indonesia – per citare alcuni esempi – devono stare nell’ombra quando vanno in chiesa, devono evitare certe persone, raggiungere i luoghi di culto per vie traverse, affrettarsi per affollare una chiesa tenuta al buio. Molti sperano che non vi siano bombe che esplodano durante il culto oppure che non vi siano terroristi o poliziotti ostili che facciano irruzione, infine si augurano di poter tornare a casa sani e salvi. Secondo la Conferenza internazionale sulla libertà religiosa, che si è svolta lo scorso settembre a Washington e che ha riunito rappresentanti ortodossi, protestanti, cattolici, ebrei e islamici, i cristiani sono diventati i rappresentanti della confessione religiosa che oggi viene maggiormente perseguitata al mondo. Questo odio ha un titolo: cristianofobia. Di recente ho avuto l’onore di parlare alla convention dell’Anti-Defamation League a New York. Il passaggio del mio intervento che ha ricevuto più riscontro e applausi è stato il seguente: «Gli ebrei e i cattolici devono essere ancora più uniti oggi dal momento che ebrei o cattolici innocenti sono nel mirino dell’arma di fanatici che li odiano solamente a motivo della loro fede». Secondo l’International Society for Human Rights, un associazione che si autodefinisce ‘laica’ e che ha base a Francoforte, l’80% di tutti gli atti di intolleranza religiosa nel mondo sono diretti verso coloro che professano la divinità di Gesù Cristo. Il noto giornalista John Allen, cronista del National Catholic Reporter , ha scritto: «Le minacce ai cristiani non arrivano solo dal crescente islam estremista, ma anche da una sconcertante varietà di forze: la crescita dell’induismo radicale in India; le politiche di regimi ufficialmente atei come Cina e Corea del Nord; antiche rivalità etniche e tribali in alcune parti dell’Africa». E aggiunge, in maniera incalzante: «Così come dal pregiudizio laicista contro ogni fede religiosa in alcune parti dell’Europa e del Nordamerica». I governi rimangono fermi. Chiedete a uno degli oltre 300 cristiani rimasti feriti o alle famiglie e agli amici delle 27 vittime massacrate al Cairo il 9 ottobre 2011 in quella che John Allen ha chiamato «la notte dei cristalli dei cristiani in Egitto», quando i soldati non solo non proteggevano i cristiani, ma anzi partecipavano alla furia della violenza. Il cardinale Kurt Koch, responsabile dei rapporti con le altre confessioni cristiane nel mondo, ha parlato di un ‘ecumenismo dei martiri’: oggi persone di qualsiasi fede devono fare esperienza di una solidarietà più viva da parte di chiunque creda. In questo modo si può difendere meglio la libertà religiosa e la sicurezza di quanti stanno versando il proprio sangue a causa della loro fede. L’arcivescovo Dominique Mamberti, ‘ministro degli esteri’ del Vaticano, ha chiesto l’istituzione di una ‘Giornata mondiale di preghiera per le vittime delle persecuzioni religiose’. Un paio di anni fa, nel periodo di Natale, ho visito un campo di rifugiati in Orissa, in India. Migliaia di cattolici sfollati affollavano quel luogo; le suore di madre Teresa di Calcutta se ne prendevano cura, aiutate dal Catholic Relief Service. Quelle persone erano state cacciate dai loro villaggi, avevano visto le loro donne stuprate, decine di vicini ammazzati coi machete durante un attacco di estremisti indù. Era troppo pericoloso tornare a casa. Il governo non sembrava molto predisposto a garantirne la sicurezza nei loro villaggi di origine. In quel campo una bambina mi ha sussurrato: «Io spero che il nostro albero di Natale, il nostro presepe e i nostri regali siano ancora là. Siamo dovuti scappare appena prima della messa e ho lasciato tutto a casa…». Ora, sono solito ricordarmi delle parole di questa bambina ogni volta che a Natale mi inginocchio davanti al presepe nella nostra cattedrale di S.Patrick.

Non ci fu soltanto Celestino V

Ma veramente il gesto di Benedetto XVI ha delle affinità con quello di Celestino V? E quello di papa Celestino è l’unico precedente?
Vi riporto l’intervista di Roberto I. Zanini allo storico Franco Cardini pubblicata su Avvenire di ieri.

«In un caso come questo il primo no­me che viene in mente è quello di Celestino V, il Papa del ‘gran rifiu­to’, anche se il versetto non è fra i più simpa­tici di Dante e nei fatti non sappiamo con cer­tezza se il poeta si riferisse proprio a Pietro da Morrone». È la prima osservazione dello sto­rico Franco Cardini quando gli chiediamo se nella storia ci sono stati casi che in qualche modo possano assomigliare a quello di Be­nedetto XVI. Poi spiega che in realtà casi simili non ce ne sono stati, ma «se proprio si vuole andare a caccia di Papi che hanno rinunciato», ci sono ca­si vagamente somiglianti. E aggiunge: «Le somiglianze storiche zoppicano, perché sono sempre soggettive». In questa logica salta a piè pari il caso poco documentato di papa Clemente, terzo succes­sore di Pietro. Poi, c’è quello di papa Ponziano, che nel 235 viene deportato in Sardegna e nella prospettiva di non tor­nare più dai lavori forzati rinuncia alla carica consentendo la nomina del suo successore. Sorte che più o meno accade tre secoli dopo a papa Silverio, confinato da Belisario su or­dine dell’imperatrice Teodora.
Allora professore, quali sono i casi vagamen­te somiglianti più vicini a noi?
«Un caso emblematico è quello relativo a Be­nedetto IX, Teofilatto dei conti di Tuscolo, che viene eletto nel 1032. Personaggio dalla vita as­sai criticabile, che viene cacciato da una ri­volta nel 1044. Al suo posto viene eletto Silve­stro III che a sua volta viene rimosso dal ri­torno di Benedetto IX che resta in carica fino a maggio del ’45, quando vende il pontificato a Giovanni dei Graziani che prende il nome di Gregorio VI e viene deposto l’anno dopo. U­na fase particolarmente confusa della storia della Chiesa che culmina con lo Scisma d’O­riente e si chiude con la nomina al soglio pon­tificio di Ildebrando di Soana, il riformatore Gregorio VII».
C’è un periodo analogo, nel ’400, in cui si ve­rifica una singolare sovrapposizione di Pa­pi…
«In effetti se da professore di storia, non da commentatore della vicenda attuale, dovessi andare cercando curiose analogie indicherei i fatti accaduti negli anni fra il 1409 e il 1414».
Siamo alla fine dello Scisma d’Occidente. 
«Esattamente. Parliamo del caso di Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr, che si dimet­te nel 1415 su richiesta del Concilio di Co­stanza, dopo però che nel 1409 il Concilio di Pisa aveva deposto sia lui che il papa avigno­nese Benedetto XIII, eleggendo in loro sosti­tuzione Alessandro V, che muore nel 1410 e viene sostituito dall’antipapa Giovanni XXIII. Una situazione particolarmente confusa a fronte della quale, anche su sollecitazione di molti cardinali che rilevano la necessità di por­re fine allo scisma, interviene l’imperatore Si­gismondo di Boemia. Viene indetto il Conci­lio di Costanza il 4 luglio del 1415 che accoglie l’abdicazione ufficiale, ancorché forzata, di Gregorio XII, che torna cardinale e va a vive­re a Recanati. Qualche mese dopo lo scisma viene ricomposto con l’elezione di un mem­bro di una nobile famiglia romana, Oddone Colonna, che assume il nome di papa Marti­no V. È nel corso del Concilio di Costanza che emerge un fatto importante nella Chiesa, cioè il dibattito sull’opportunità che il Papa gover­ni affiancato dal Concilio. A questo scopo si de­cise che i Concili venissero indetti a cadenze fisse».
Questo non impedì quello che è passato alla storia come il Piccolo Scisma.
«E anche qui emerge la singolare figura di un antipapa dimissionario. Si tratta di Amedeo VIII di Savoia, eletto in seno al Concilio di Ba­silea da un gruppo di cardinali che deposero Eugenio IV. Prese il nome di Felice V. Quando a Roma Eu­genio IV muore, su richiesta del successore, Ni­colò V, accetta di abbandonare la tiara per riu­nire la Chiesa. È il 1449. Muore due anni do­po da cardinale e in fama di santità. Da quel momento l’unità di guida all’interno della Chiesa Cattolica non viene più messa in di­scussione ».
Figure che ci allontanano parecchio dal caso di Benedetto XVI. 
«Sono somiglianze molto vaghe. Alla fine il ca­so che si avvicina di più, nonostante le tante differenze, è forse quello di Celestino V. Lui è tornato a fare il monaco anche perché non poteva fare altrimenti, considerate le pressio­ni esterne. Le libere dimissioni di papa Bene­detto aprono ora nuovi scenari anche riguar­do alla domanda su cosa fa un Papa dopo che si è dimesso».