I magi, dotti in ricerca, viandanti e non vagabondi

In diversi post ho già parlato dei MagI. Mi affascinano questi personaggi, perché in loro vedo tutti coloro che cercano di dare senso alla loro vita. 
 Aggiungo a quanto già trovate nel blog, alcune parti dell’articolo di Mimmo Muolo pubblicato in Avvenire del 07/01/2021, “Non re ma dotti in ricerca. Ecco chi erano, al di là di leggende e fantasie”.

 «Solo dodici versetti all’inizio del secondo capitolo di Matteo. Tanto dura nel Vangelo l’apparizione dei Magi. Eppure la loro fama nel corso dei secoli è cresciuta esponenzialmente, dando vita a una tradizione fantasiosa e multiforme che li ha fatti diventare re, ne ha fissato il numero (tre, probabilmente in relazione ai continenti allora conosciuti e anche al numero dei doni offerti a Gesù, oro incenso e mirra) e gli ha dato un nome: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. 
Una fortuna comunque meritata, perché il brano evangelico, pur breve, è dotato di un infratesto di grande presa simbolica, che ha giustamente innescato l’immaginario popolare e le tradizioni che affondano le loro radici nei Vangeli apocrifi e in altri testi soprattutto medievali (si veda ad esempio la Legenda Aurea di Giacomo da Varazze, composta tra il 1260 e il 1298). 
Ed è appunto a questo ricco simbolismo che, soprattutto in un tempo particolare come il nostro, conviene fare riferimento […]. Prima di ogni altra cosa bisogna riportare i Magi alla loro vera identità. Non re, ma come è attestato anche da fonti storiche parecchio antecedenti al Vangelo (Erodoto, ad esempio), membri della casta sacerdotale della religione mazdea, il cui culto fu riformato nel VI secolo a.C. da Zarathustra. Essi adoravano il dio unico Ahura Mazda, attendevano un Messia o “Soccorritore” che sarebbe nato da una Vergine e che, annunziato da una stella, avrebbe salvato il mondo. Coltivavano inoltre l’astronomia ed erano dediti all’interpretazione dei sogni, come è attestato in relazione all’imperatore Serse. Questo è sostanzialmente l’identikit che ne fa anche l’evangelista Matteo. Saggi giunti da oriente seguendo una stella (probabilmente l’allineamento di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci, che effettivamente avvenne in quel periodo, dando luogo a un effetto ottico di straordinaria brillantezza). Uomini in ricerca, dunque, sacerdoti e intellettuali contemporaneamente, che abbandonando le loro certezze, si erano messi in cammino, nell’intento di coniugare scienza e fede, intelligenza umana e credenze religiose. […] 
Quanto sia attuale questa pagina evangelica è facile da comprendere in tempi in cui, dopo secoli di rigida separazione post illuminista, è oggi la stessa scienza a essere messa in discussione da atteggiamenti senza alcun fondamento razionale (le polemiche sui vaccini, anche prima del Covid, stanno lì a testimoniarlo), mentre sul piano religioso si assiste al pericoloso ritorno di forme di fondamentalismo disposte a sacrificare sull’altare dei principi ogni forma di carità. Nella ricerca dei Magi confluiscono invece nel giusto mix razionalità, religiosità e anche contemplazione e rispetto del cosmo (la stella o ciò che era), tanto da diventare paradigma anche per la Chiesa della Laudato si’. […] Gli straordinari personaggi che il 6 gennaio giungono ad adorare Gesù offrono inedite prospettive anche alla cultura contemporanea, sfidandola ad agire […]. Anche per quanto riguarda il rapporto con il potere. I Magi, proprio in virtù del proprio bagaglio culturale, non si lasciano ammaliare dalle blandizie di Erode. Fanno sì tesoro delle indicazioni ricevute per il suo tramite, ma una volta incontrato il Bambino ritornano a casa «per un’altra strada». 
E anche in questo caso la metafora è chiara e preziosa. Il cristianesimo è un incontro che cambia la vita. Un incontro offerto a ogni uomo e a ogni donna affinché ognuno diventi a sua volta un “magio”, capace cioè di seguire strade nuove. Il che in tempi di Covid non è solo un’opzione. Ma un imperativo morale». 

Nel biglietto di auguri che ho preparato per questo Natale ho inserito proprio i magi, come metafora di chi si mette in cammino verso una meta, di chi sa accettare le sfide ed è attento ai segni. Di chi, insomma, sa farsi viandante come loro e non si accontenta di essere vagabondo.

Chi sono i profeti: alcune riflessioni

Riprendo alcuni passi da “E la preghiera divenne corpo” di L. Bruni su Avvenire del 25/08/2019 .
Ci possono aiutare a capire qualcosa in più sui profeti.

[…] Nonostante tutta la rivelazione biblica e poi il cristianesimo che ci ha detto che Dio è agape, anche noi continuiamo ancora a leggere le disgrazie come colpa –’se lo avessi accompagnato’, ‘se gli avessi detto di no’, ‘è la punizione per la mia vita sbagliata’… I sensi di colpa sono la prima moneta con cui paghiamo i conti dei nostri funerali. Arrivano da soli, sono iscritti nei nostri cromosomi culturali. La religione economico- retributiva è infatti molto più antica e quindi radicata nel cuore individuale e collettivo della religione dell’amore e della grazia. Ecco perché ci servono i profeti. I profeti si mettono accanto a noi. Fanno silenzio, non ci fanno prediche né discorsetti consolatori, ci donano un Dio liberato dalle colpe e dai meriti, tutto grazia e misericordia. Lo fanno con la parola, ma soprattutto col corpo: con un abbraccio lungo e tenace, condividendo un pasto di lacrime e sale, standoci vicini, silenziosi, in quei sabati santi che non finiscono mai. Mi ci è voluta una vita intera – mi confidava un amico sacerdote – per capire che le persone che vivono grandi dolori da noi non cercano parole, cercano un corpo che sa vivere lo stabat.
[…] Nelle grandi crisi e nei dolori insostenibili il profeta si mette accanto a noi e chiede a Dio di mostrarsi buono almeno quanto una madre. Mentre ci insegna le parole di Dio, guarda il meglio degli uomini e lo indica, lo insegna, a Dio. Se la Bibbia, alla fine, ci ha potuto donare l’immagine di Dio che si commuove per il figlio tornato, che si china sulla vittima nella strada per Gerico, è perché i profeti avevano osato chiedere a Dio di scendere dai cieli e di diventare buono almeno quanto le madri.
I falsi profeti per difendere Dio condannano gli uomini. I profeti veri sanno invece che l’unico modo per salvare e proteggere veramente Dio è proteggere e salvare veramente gli uomini – soprattutto i figli.I profeti sono gli amici di Dio, hanno una intimità unica con l’assoluto. Sta qui il loro mistero.

La Bibbia? È come una grande sala parto

Dall’intervista alla rabbina francese Delphine Horvilleur (pubblicata su Avvenire del 14 marzo 2018) di cui ho già pubblicato qualche stralcio (vedi post del 16 marzo):

Nella sua personalissima interpretazione l’Eden è una grande sala parto e il primo uomo come un neonato che nasce. E lo stesso vale per l’Esodo. Quali sono le conseguenze antropologiche di questa sua visione “generativa” delle vicende bibliche?


 «I racconti più centrali della Torah e quelli che fondano precisamente l’identità ebraica sono racconti di “estrazione”: si tratta sempre di uscire da una matrice, da un luogo che ci ha dato la nascita e dal quale ci si deve estrarre. È il caso del giardino dell’Eden da cui l’uomo è espulso; è, ancora di più, il caso delle narrazioni della vita di Abramo e dell’uscita dall’Egitto.

Abramo lascia la casa di suo padre e la città della sua nascita, Ur, nel paese dei caldei. Si mette in cammino verso una terra promessa e verso se stesso. Essere un figlio di Abramo (quello che le tre religioni monoteistiche rivendicano) è dunque sempre un po’ riprodurre questo viaggio, questa partenza da se stessi e dalla proprio zona di benessere.

La stessa cosa avviene con l’Esodo, ovvero l’uscita dalla schiavitù. Il popolo ebreo nasce in Egitto, che è incontestabilmente la matrice del popolo. Le metafore bibliche sono molto eloquenti. Si dice che la discendenza di Giacobbe prolifera in Egitto e si sviluppa fino a quando non ha più spazio. E’ come se il feto ebraico fosse al termine della sua crescita uterina. Allora inizia il lavoro della nascita. Le 10 piaghe si abbattono sull’Egitto come i dolori di uno sforzo ostetrico. Il popolo si mette in cammino e nasce a se stesso mettendosi in marcia verso il proprio destino e la propria autonomia».

Samuele: una voce che chiama nella notte

Che spavento sentire una voce nella notte che pronuncia il nostro nome: tutti dovrebbero dormire, ma c’è qualcuno che chiama e allora bisogna scoprire chi è.
Ed è proprio quello che fece il giovane Samuele, che viveva nel tempio di Gerusalemme assieme al suo maestro, l’anziano sacerdote Eli. Il ragazzo era stato un vero e proprio dono per sua madre, che pensava di non potere avere figli, e per questo fu affidato alle cure di Eli. In quel periodo (all’incirca nell’XI secolo prima di Cristo) il popolo di Israele viveva con fatica la fede e quindi servivano voci autorevoli in grado di ristabilire un legame forte con Dio.

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E Samuele quella notte dimostrò di avere tutte le qualità per svolgere un compito così impegnativo: era un vero e proprio “ragazzo di Parola”. Forse proprio la sua giovane età gli permise di non stupirsi quando sentì che qualcuno lo chiamava nell’ora in cui a illuminare la sua stanza erano solo le tenue luci delle lampade. Corse subito da Eli: era un ragazzo sveglio e sapeva che quando il maestro chiamava bisognava essere pronti. Ma l’anziano sacerdote, forse un po’ scocciato per il fatto di essere stato disturbato di notte, lo rimandò a letto.
Poco dopo Samuele sentì la stessa voce che lo chiamava una seconda volta e con la stessa prontezza della prima corse dal maestro, che lo rispedì a dormire. Solo la terza volta Eli capì che a chiamare Samuele era il Signore e che quella chiamata avrebbe cambiato la vita del ragazzo. Così gli disse di rispondere dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». E fu così che Dio parlò a Samuele dopo averlo chiamato per la quarta volta.
Il messaggio che gli diede non era semplice ed era un avviso per Eli e la sua gente: chi dimentica Dio rischia di perdere la strada giusta, di rovinarsi. Il ragazzo riferì controvoglia questo richiamo al maestro, diventando in quel momento un vero “profeta”, cioè un uomo in grado di guardare al mondo con gli occhi di Dio.
L’entusiasmo di Samuele è lo stesso di tutti i bambini e la sua capacità di ascoltare il cuore, di sentire la voce della verità, è ciò che gli adulti dovrebbero far crescere nei loro ragazzi, proprio come ha fatto Eli, anche se con qualche difficoltà iniziale.
Samuele diventò un’importante guida per Israele; era stato fortunato: aveva trovato il maestro giusto che aveva creduto in lui.
Matteo Liut in Popotus del 31 ottobre 2017

Isacco che amava il suo papà

Era un ragazzo sveglio, il giovane Isacco, ma si fidava completamente di suo padre, Abramo, e quindi lo seguì senza esitare in quello strano viaggio durato tre giorni.
Forse non capiva perché con loro c’erano due servi e una piccola catasta di legna caricata sull’asino, ma sentiva dentro il cuore che nulla di male poteva succedergli finché seguiva Abramo. D’altra parte l’anziano padre amava con tutto se stesso quel figlio che era stato un vero dono di Dio: non pensava che Sara, sua moglie, potesse avere figli, perché ormai era avanti con gli anni e invece era nato Isacco. Ma qualcosa, durante quel viaggio, era strano e il giovanetto lo aveva capito: suo padre gli aveva parlato di un “sacrificio”, cioè di un’offerta da fare a Dio, ma non capiva cosa Abramo avrebbe sacrificato.
Poco dopo, come racconta il libro della Genesi, Isacco si ritrovò a salire lungo il pendio del monte Moriah, da solo con il padre, portando lui stesso la legna. Poi Abramo preparò un altare e Isacco capì che sarebbe toccato a lui essere sacrificato, eppure non si oppose. La tensione sparì all’improvviso, però, quando un angelo fermò l’anziano: Dio, che all’inizio aveva chiesto di compiere quel gesto, non voleva il sacrificio di Isacco. La gioia, possiamo immaginare, inondò il cuore di Abramo e anche quello del suo giovane figlio. Era stata una prova per capire quanto Abramo si fidava del Signore, che fino a quel giorno gli aveva fatto molti doni. Ma era stata una prova anche per Isacco e per la sua fiducia nei confronti del papà.
Questo antico testo, che oggi potrebbe apparire incomprensibile perché appartenente a una cultura antica, in realtà ci affida un messaggio importante e rivoluzionario per quel tempo: Dio non vuole che nessun uomo muoia nel suo nome. Ci invita, invece, a mettere nelle sue mani tutto quello che per noi è più prezioso, come Abramo ha fatto portando Isacco sul mondo Moriah, perché il suo amore lo farà vivere per sempre. Quel giovane ragazzo diventò il padre di un popolo intero al quale trasmise l’eredità lasciatagli da suo padre Abramo.
La difficile prova sul monte Moriah era diventata il suo tesoro più prezioso: fidarci di chi ci ama e affidarci a chi ci ama è il primo modo per diventare davvero grandi.
Matteo Liut in Popotus del 28 novembre 2017

Davide dal grande cuore

Avete mai pensato che la Bibbia ci può aiutare a comprendere meglio la nostra vita?
Attraverso le storie che vi troviamo raccontate, Dio ci vuol far capire come funziona l’esistenza.
Mi rivolgo in particolare a voi, ragazzi di prima, perché possiate, incuriosendovi, trovare, attraverso le storie dei tanti personaggi della Bibbia, suggerimenti utili per affrontare le difficoltà e per dare valore a ciò che ci circonda.
Alcune di queste storie hanno per protagonisti bambini o ragazzi, giovani che con i loro gesti e il loro modo di affrontare le situazioni in cui si sono trovati hanno scritto la storia del popolo di Dio. Isacco, Samuele, Davide, Daniele, Rebecca, Giuditta, Tobia ma anche Gesù: sono tutti “bambini di Parola”.
Su molti di loro nessuno avrebbe scommesso un centesimo, eppure essi sono riusciti a fare grandi cose.

Come quel piccoletto dai capelli del colore della criniera del leone, tra il biondo e il rossiccio, di nome Davide e vissuto tra l’undicesimo e il decimo secolo prima di Cristo. Era figlio di Iesse e aveva sette fratelli, ma lui era il più piccolo e gli spettava il compito più noioso (ma anche rischioso), cioè pascolare le pecore. E stava facendo proprio quello quando il profeta Samuele arrivò da suo padre per scegliere il futuro re di Israele. Era stato il Signore a inviare il profeta e a chiedergli di passare in rassegna i figli di Iesse. Uno alla volta Samuele, guidato da Dio, incontrò i sette fratelli più grandi ma nessuno era quello giusto. Come mai? «Non guardare all’aspetto o alla statura», sottolineò allora Dio, perché «l’uomo vede l’apparenza ma il Signore vede il cuore».
Fu quindi chiamato Davide e subito si capì che il prescelto per diventare re era proprio lui, un ragazzino.
Il cammino verso il trono era ancora lungo e, nonostante l’importanza della sua vocazione, lui continuò con umiltà a pascolare le pecore fino a quando venne il momento giusto per i gesti più eroici. Coraggio e lealtà sono i valori che poi Davide mostrò di saper coltivare, superando anche i suoi stessi errori, alcuni dei quali molto gravi. Ma la sua storia ci insegna che per diventare grandi in tutti i sensi dobbiamo imparare non solo a leggere quello che abbiamo dentro noi, ma anche quello che gli altri portano nel profondo del loro cuore.
Tratto da Popotus,GIOVANI PROTAGONISTI DELLA BIBBIA. Il piccolo Davide dal grande cuore, di Matteo Liut

I re Magi e il “mistero” della stella

Chi sono i magi e quanti sono?

Di loro ci parla il vangelo di Matteo. Sono “sapienti”, “esperti” in astrologia; persone che sanno vedere e riconoscere in Gesù il “re dei Giudei”.
Il termine magi e il loro numero, da sempre, costituisce un grande enigma. Riguardo alla loro identità, nella Bibbia la parola “mago” oscilla tra un significato positivo, come nel vangelo di Matteo e un significato negativo, come “Simone il mago” di cui si parla negli Atti degli Apostoli (cf. Atti 8,9ss.).
I magi del vangelo di Matteo indicano persone esperte d’astronomia o, comunque, dei sapienti. Nella mentalità comune si afferma che essi sono tre, ma Matteo non specifica il loro numero. Li ricorda semplicemente al plurale. Il numero tre s’impose in base ai tre doni: oro, incenso e mirra che i magi offrono a Gesù.
Essi sono stati indicati come “re” per la ricchezza di questi doni e il richiamo ad alcuni testi dell’Antico Testamento (Salmo 72,10-11; Isaia 60,6.10).L’evangelista Matteo vuole indicare che i pagani, qui rappresentati dai magi, cercano Dio e per trovarlo non misurano la strada né il pericolo che possono incontrare durante il percorso. Vengono da lontano, da Oriente, come da Oriente era partito anche il patriarca Abramo per seguire le indicazioni di Dio.
Mentre il popolo non riconosce Gesù e il re Erode ne decide la morte, i magi si muovono stimolati da una stella. Essa ricorda che Dio si serve di cose e di avvenimenti per farsi conoscere e per rivolgere la sua Parola.
I magi, come Matteo li presenta, sono persone umili capaci di porsi delle domande. Vanno a chiedere spiegazioni al re Erode, il quale non conoscendo la risposta, interpella gli esperti della Sacra Scrittura. In questo modo, Matteo insinua che la risposta alle nostre domande profonde può giungere solo dalla parola di Dio.
I magi, ricevute le informazioni, vanno a Betlemme, affrontando i disagi del cammino. Finalmente, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Hanno visto un bimbo come tanti altri: tanta strada per venire a vedere un bambino, come tanti altri.
I magi sono le persone che sanno vedere con “occhi interiori”, i soli che mostrano che quel bambino non è un bimbo qualsiasi, ma il ‘re del Giudei’. E lo adorano. Trovato il bambino, ritornano gioiosi alla vita normale. Per un’altra strada, perché la loro vita è cambiata.
La stella cometa, che i magi vedono e seguono, richiama la profezia del pagano Balaam, il quale invitato a maledire il popolo di Dio, anziché maledirlo pronuncia un oracolo di benedizione: “Io lo vedo ma non ora, io lo contemplo ma non da vicino, una stella spunta per Giacobbe e uno scettro sorge per Israele” (Numeri, 24,17). Matteo riprendendo le parole di Balaam mostra che la stella indica il re Messia che il popolo di Dio attendeva.

Fonte: Filippa Castronovo in http://www.paoline.it/Conoscere-la-Bibbia/PERSONAGGI-DELLA-BIBBIA

Sul “mistero” della stella (una cometa? una combinazione di pianeti? l’esplosione di una supernova?) vi lascio questa Infografica

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I Magi: cercatori di senso, cercatori di verità

 

I magi, questi personaggi misteriosi, si mettono in movimento, si allontanano dalla loro terra e camminano alla ricerca di un re, del Re.
Il Vangelo di Matteo (2,1-12) mette in risalto questa realtà attraverso alcuni verbi, che accompagnano lo svolgersi della vicenda: giunsero, siamo venuti, li inviò, andate, partirono, li precedeva, entrati, non tornare, fecero ritorno.
Il percorso fisico dei magi nasconde in sé un viaggio ben più importante e significativo, che è quello della fede; è il movimento dell’anima, che nasce dal desiderio di incontrare e conoscere il Signore. Ma allo stesso tempo è anche l’invito di Dio, che chiama e attira con forza a sé; è Lui che fa alzare in piedi e pone in movimento, che offre indicazioni e non smette mai di accompagnare.
La Scrittura ci offre molti esempi importanti.
Ad Abramo Dio disse: “Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò” (Gen 12, 1). Anche Giacobbe fu pellegrino di fede e di conversione; di lui, infatti, sta scritto: “Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran” (Gen 28, 10) e: “Poi Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli orientali” (Gen 29, 1). Dopo molti anni il Signore gli parlò e gli disse: “Torna al paese dei tuoi padri e io sarò con te” (Gen 31, 3). Anche Mosè fu un uomo del cammino; Dio stesso gli ha disegnato la strada, l’esodo, dentro al cuore, nelle viscere e ha fatto di tutta la sua vita una lunga marcia di salvezza per sé e per i suoi fratelli: “Ora va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo!” (Es 3, 10).
L’esodo non si è mai interrotto; la liberazione, che viene dalla fede, è sempre in atto. Guardiamo a Gesù, ai suoi apostoli, a Paolo: nessuno sta fermo, nessuno si nasconde. Tutti questi testimoni ci parlano, oggi, attraverso la loro vicenda e ci ripetono: “Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio” (Sal 83, 6).
stella-cometa-Re-MagiPer quanto riguarda la stella, in questo racconto del viaggio dei Magi è un elemento molto importante, perché ad essa è affidato il compito di guidare i magi alla loro meta, di rischiarare le loro notti di viaggio, di indicare con precisione il luogo della presenza del Signore.
In tutta la Bibbia le stelle compaiono come segni di benedizione e di gloria, sono quasi una personificazione di Dio, che non abbandona il suo popolo e, allo stesso tempo, una personificazione del popolo, che non si dimentica del suo Dio e lo loda, lo benedice (cfr. Sal 148, 3; Bar 3, 34).
Per la prima volta il termine stella appare, nella Scrittura, in Genesi 1.16, quando, giunto al quarto giorno, il racconto della creazione narra dell’apparizione nei cieli del sole, della luna e delle stelle, come segni e come luci, per regolare e per illuminare. Il termine ebraico “stella” kokhab (Caf waw (H) caf bet) è molto bello e denso di significato; le lettere che lo formano, infatti, ci svelano l’immensità della presenza che questi elementi celesti portano in sé. Troviamo due caf, che significano “mano” e che racchiudono in sé una waw, cioè l’uomo, inteso nella sua struttura vitale, nella sua colonna vertebrale, che lo mantiene in posizione eretta, che lo fa salire verso il cielo, verso il contatto col suo Dio e Creatore. Dunque, dentro le stelle, appaiono due mani, caf e caf, che stringono in sé, con amore, l’uomo: sono le mani di Dio, che mai cessano di sostenerci, solo che noi ci affidiamo ad esse. Infine compare la lettera bet, che è la casa. Le stelle ci parlano, allora, del nostro viaggio verso casa, del nostro continuo migrare e ritornare là, da dove siamo venuti, fin dal giorno della nostra creazione, ma già fin da sempre.

(adattato da  www.qumran2.net)

La nostra società, i sogni, gli interpreti

Le carestie sono molte e diverse.
Il nostro tempo sta attraversando la più grande carestia di sogni che la storia umana abbia conosciuto. La carestia di sogni prodotta da questo capitalismo individualistico e solitario è una forma molto grave di indigenza, perché mentre la mancanza di pane non estingue la fame, se ci priviamo dei sogni finiamo per non accorgerci più della loro assenza; ci abituiamo a un mondo impoverito di desideri sempre più soffocati dalle merci, e presto diventiamo talmente poveri da non riuscire ad accorgerci di questa povertà.
Come è possibile sognare angeli, il paradiso, i grandi fiumi d’Egitto quando ci addormentiamo di fronte alla tv accesa? Per i sogni grandi occorre addormentarsi con una preghiera sulle labbra, o svegliarsi con un libro di poesie aperto sopra il petto, che ha vegliato sul nostro sonno.
Il giovane Giuseppe si ritrovò innocente in una prigione, rigettato di nuovo in fondo a un «pozzo» (Genesi 40,15). Quella prigione divenne, però, anche il luogo della piena fioritura della sua vocazione, quella annunciatagli dai sogni profetici di ragazzo. Quei primi sogni lo avevano fatto arrivare schiavo in Egitto; i sogni che interpreterà nella terra del Nilo saranno la strada che consentirà ai suoi grandi sogni giovanili di avverarsi, e di ritrovare i suoi fratelli-venditori e suo padre.
È in un carcere dove inizia una nuova fase della vita di Giuseppe, quella decisiva per sé e per il suo popolo (non è raro che un ‘carcere’ diventi il luogo di inizio di una vita nuova). In quel «pozzo», da raccontatore dei suoi sogni Giuseppe diventa interprete dei sogni degli altri.
Quand’era ragazzo narrava i suoi sogni, ma non li interpretava. Il dolore per essere stato odiato e venduto dai fratelli, la servitù e poi il carcere, lo avevano maturato e gli avevano rivelato se stesso. E nel crogiuolo delle sofferenze e delle ingiustizie scoprì la sua vocazione, divenne servitore dei sogni degli altri. […]
Il valore morale di un interprete di sogni si misura dalla sua onestà, cioè dalla capacità e dal coraggio di dirci anche le interpretazioni che non vorremmo sentire. Sono troppi, ieri e oggi, gli interpreti ruffiani che ci dicono soltanto le interpretazioni che ci piace sentire. A volta le interpretazioni sbagliate possono provenire anche da interpreti onesti, che però non hanno abbastanza coraggio e amore – anche se il carisma dell’interpretazione dei sogni si spegne se non lo si custodisce nella sofferenza delle interpretazioni difficili. Ho conosciuto giovani ai quali è stata resa la vita molto difficile, a volte guastata, da cattivi interpreti dei loro sogni, che di fronte ad evidenti segni di vocazione diversa da quella che quel giovane pensava di avere, non hanno avuto né l’onestà né il coraggio della interpretazione vera; e così invece di prendere su di loro il dolore per quella verità costosa, hanno manipolato i sogni e alimentato in quei giovani illusioni, delusioni, frustrazioni, infelicità. Fidarsi di un manipolatore di sogni è più dannoso della morte del sogno per mancanza di interpreti. […]

Giuseppe interpreta il sogno del Faraone, c. 1645

 

La nostra società abbonda di consulenti for-profit, è sempre più inondata da maghi e da oroscopi, ma ci mancano troppo i buoni interpreti di sogni – e quei pochi che ci sono non vengono né cercati né ascoltati, e così rischiano di estinguersi per mancanza di domanda. […]
Le carestie da vacche magre passano. Queste carestie, prima o poi, finiscono naturalmente, anche se a volte con grandi costi. Le carestie di sogni, invece, non terminano da sole. Finiscono soltanto se, a un certo preciso punto, decidiamo di reimparare a sognare. Non è impossibile. Lo abbiamo saputo fare dopo miserie infinite e indicibili: dopo le guerre e le dittature, dopo i fratricidi, dopo le morti dei bambini. Abbiamo voluto, insieme, ricominciare a sognare. Abbiamo così ascoltato i poeti, i santi, gli artisti, che hanno saputo interpretare i nostri nuovi sogni. Abbiamo pregato e pianto insieme, recitato le loro-nostre poesie, cantato le loro-nostre canzoni. Le persone e i popoli rinascono e risorgono veramente soltanto così. «Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo fece rivestire di abiti di lino finissimo e gli mise al collo un monile d’oro» (Gen 41,42).

Tratto da Luigino Bruni in Avvenire del 6/07/2014 (Gli occhi onesti del profeta)