Non siate pecore o pecoroni (Omaggio a mio padre)

Imparare a scegliere è un’arte difficile a cui occorre allenarsi sin da piccoli. È esercizio di una libertà che ci dimentichiamo di avere ogni volta che ci “accodiamo” alla folla.
Come tante pecore seguiamo il leader del momento, che spesso è del tutto inadeguato, tanto per non sentirci diversi dagli altri. Ma siamo così sicuri che ne valga la pena? Non potremmo pensare che essere fuori da un gruppo con valori inadatti possa essere un privilegio? Si. Un privilegio. Il privilegio di pensare con la nostra testa, di non essere condizionati dalle mode di turno. È faticoso, lo so. È certamente più facile lasciarsi trasportare dalla corrente. Ma a quale prezzo? Rinunciando a essere noi stessi perderemmo la nostra autenticità e unicità. Perché siamo unici e irripetibili, non siamo cloni.
Quante volte vi dico che potete essere meglio di quel che fate vedere, specialmente quando vi nascondete tra tante altre “pecore”?
Mio padre diceva a me e ai miei fratelli che per non essere pecoroni – per lui era peggio che essere pecore – dovevamo pensare con la nostra testa e, soprattutto,non venir mai meno a valori come l’onestà e la lealtà, anche a costo di essere esclusi o non capiti. Era un militare mio padre, che aveva fatto la guerra e che non si era mai “intruppato” .  Aveva invece sempre cercato di scegliere di stare dalla parte più giusta. A casa c’è un attestato in cui lo si elogia per il servizio prestato per la Marina Americana a Napoli dopo l’armistizio.

Dobbiamo essere pronti ad andare anche controcorrente se questo significa non adeguarsi a ciò che non è bello, giusto e vero. Facciamocele, ogni tanto, queste domande: Chi sto seguendo? Quali sono i miei modelli?

Ps Sono due anni, babbo, che sei con noi in modo diverso. Spero ti abbia fatto piacere, averti ricordato così.

Andiamo oltre l’odio e il rancore: riconosciamoci fratelli in umanità!

Di fronte alle tante divisioni che alimentano sospetti, odio, indifferenza, è bello vedere che c’è chi crede che possiamo riconoscerci fratelli, al di là di ogni differenza.
 A scuola abbiamo avuto modo di parlare della Dichiarazione comune sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi da papa Francesco e dall’imam di al Azhar al Tayyeb e proprio ieri un’alunna musulmana che frequenta Religione ricordava quanto fosse stato importante per lei questo richiamo alla comune fratellanza che ci permette di andare oltre ogni divisione.
Siamo fratelli in umanità – aggiungeva – e per questo dobbiamo sentirci impegnanti alla costruzione di un mondo più giusto, dove nessuno debba sentirsi guardato con sospetto per la sua religione.
A lei. che è una delle migliori alunne che ho avuto per conoscenze, capacità riflessive e disponibilità al dialogo educativo, ma anche a tutti gli altri, indipendentemente dalla frequenza o meno all’Ora di Religione e dal loro credo, dedico un video, realizzato da una compagnia telefonica kuwaitiana in occasione della fine del Ramandan (lunedì 3 giugno 2019).
Il video racconta in una canzone di quattro minuti la storia di due bambine, una musulmana e una cristiana, nate una accanto all’altra in ospedale. In maniera semplice vengono riportate le preghiere dei loro genitori; poi diventate più grandi si vedono le bambine correre insieme mano nella mano. Arriva però anche il momento in cui ciascuna deve fare i conti con gli strattoni di chi vorrebbe separarle, perché «non bisogna essere amici delle altre religioni». Ma il loro legame è forte e non banale. E allora ecco ognuna delle due raccontare che si sente «pugnalata alla schiena» e ha «il cuore che sanguina» quando viene colpito il luogo di culto dell’altra. Finché le due donne – diventate ormai adulte – esprimono una condanna ferma per chi imprigiona l’innocente, distorce la verità, tradisce la propria religione alzando la mano contro i figli dell’altra.
Il messaggio finale, cantato insieme mentre un coro cristiano e un gruppo di sufi musulmani si mescolano tra loro, dice: «quando ti trovi a un bivio segui il tuo cuore e lasciati guidare da Dio sulla strada che porta all’unità».

 

Credo

Non potevo non condividerlo.



«Credo nello sguardo della Gioconda e nei disegni dei bambini.
Nell’odore dei panni stesi, e in quello delle mani di mia madre.
Credo che quando la barbarie diventa normalità, la tenerezza è l’unica rivoluzione.
Credo che la vera gioia sia sentirsi parte di un paesaggio incantevole, pur non essendo altro che un minuscolo granello di sabbia.
Credo che la lingua di Dio è il silenzio, e il suo corpo la Natura.
Credo alla potenza del soffione, quel minuscolo fiore selvatico che cresce ostinato tra le pieghe dell’asfalto e pure in mezzo a mille difficoltà, riesce comunque a germogliare e a diventare fiore. Credo che chi non vive il presente, sarà sempre imperfetto. Pure da trapassato.
Perché la vera sfida è debuttare ogni giorno, tutto il resto è repertorio.
Credo che non sia la bellezza che salverà il mondo, ma siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza
e che non c’è peggior peccato che non stupirsi più di niente
e che tutta la scienza, la cultura e l’intelligenza del mondo non basta
e si inchini davanti a questo enorme mistero in cui tutti siamo avvolti,
al miracolo di questa vita che va avanti e si trasforma ogni momento.
Questa vita che non si ferma, che va contro tutto e tutti.
Perché la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere».