Una storia che parla incontro e non di scontro

Dall’articolo di MARCO ERBA L’imam “socratico” e l’insegnante che fa nascere idee senza imporre, in Avvenire del 17/03/2024 . 
In uno dei miei viaggi in Bosnia ho conosciuto una donna piena di luce. Quella donna, durante la guerra degli anni Novanta, ha vissuto dentro l’assedio di Sarajevo, con il marito a combattere al fronte per difendere la città e un bambino molto piccolo da accudire. Ho passeggiato a lungo con lei per la città. Mi ha portato vicino al mercato coperto, mi ha indicato il punto in cui si metteva a vendere i suoi regali di nozze, per procurare del cibo a suo figlio. Mi ha portato al tunnel di Sarajevo, sotto l’aeroporto, di cui restano pochi metri: è un budello claustrofobico, nel quale si deve stare chini per camminare. La donna, suo figlio e sua suocera lo hanno percorso per centinaia di metri, per sbucare nella terra di nessuno, rischiando la vita, alle spalle della linea dell’esercito serbo che assediava la città. 
Dopo un viaggio pazzesco, quella donna è arrivata prima in Germania e poi qui in Italia, dove è stata accolta e dove suo marito l’ha raggiunta una volta finita la guerra. 
La guerra per lei è un incubo che fatica ad andarsene. Ha perso molte persone. Un giorno mi ha indicato un ponte sulla Miljacka, il fiume di Sarajevo. Mi ha detto che una sera, su quel ponte, una sua amica si è data appuntamento col suo fidanzato: avrebbero dovuto sposarsi pochi giorni dopo. Ma il matrimonio non ci sarebbe mai stato: proprio quella sera, una bomba ha spazzato via le loro vite. Nonostante ciò che ha passato, la donna è tornata a vivere a Sarajevo con suo marito. 
«A volte mi chiedono chi me lo ha fatto fare», mi ha detto. «Molti, durante e dopo la guerra, da Sarajevo se ne sono andati per non tornare più. Altrove si vive meglio. Anche oggi c’è chi vorrebbe andarsene. Ma io mi guardo intorno, passeggio per il centro. Vedo il locale dove siamo stati io e mio marito la prima volta che siamo usciti insieme. Vedo la stradina dove abbiamo passeggiato la sera, tenendoci per mano. Vedo i luoghi dove ci incontravamo coi nostri amici, per far festa tutta la notte. Questa è la mia città, la nostra città. Se non la facciamo vivere noi, la nostra bella città, a chi dovrebbe toccare?». 
Ciò che di quella donna mi ha più colpito è stata la totale assenza di odio nelle sue parole. 
«L’esercito serbo ci ha attaccato, ci ha accerchiato, di ha bombardato; i cecchini non ci hanno dato tregua per anni. Io in guerra ho perso amici e parenti. Ma non odio nessuno». L’ho guardata stupito. «E come fai? Come ci riesci?». Lei mi ha indicato le montagne intorno a Sarajevo: «Io ho vissuto in un assedio, lo so cosa vuol dire stare in una prigione a cielo aperto. Per questo, adesso, non consento più a nessuno di imprigionarmi. Neanche al mio odio. Perché l’odio è la gabbia peggiore». 
Sono parole che mi hanno segnato profondamente. Mi sono chiesto quale percorso avesse alle spalle per essere arrivata fino a lì. Chiacchierando, ho scoperto che è figlia di una donna musulmana e di un uomo di etnia croata e di religione cattolica. Del resto, la Bosnia è un Paese meravigliosamente multietnico: nel centro di Sarajevo la moschea più importante dista pochi minuti a piedi dalla basilica ortodossa e dalla cattedrale cattolica. I matrimoni tra etnie e religioni diverse, soprattutto prima della guerra, erano all’ordine del giorno. La donna che in quel momento mi parlava era stata una bambina figlia di un matrimonio così: i due genitori pregavano ciascuno un Dio diverso. 
Ai tempi, quella bambina e la sua famiglia abitavano un paese tra le montagne. La bambina, curiosa e piena di domande come tutti alla sua età, cominciò a interrogarsi su quelle differenti religioni che erano presenti nella sua famiglia, dove tradizioni diverse si intrecciavano e le festività di entrambi i culti venivano celebrate. Così, un giorno, Dudu decise di andare dall’imam del suo paese. «Senti, signor Imam, devo farti una domanda». «Dimmi». «Signor imam, io ho un dubbio. Mi papà crede in Dio, in suo Figlio Gesù Cristo e nello Spirito Santo. Mia mamma invece dice che l’unico vero Dio è Allah, e Maometto è il suo profeta. Tu cosa ne pensi? Secondo te, dove dovrei pregare? In chiesa oppure in moschea?». L’imam sorrise benevolo. Le rispose con un’altra domanda, come fanno le persone sagge. «Nella tua classe, a scuola, non c’è qualcuno che gli altri prendono in giro?», le chiese. «Sì. Una mi compagna se ne sta spesso da sola». «Allora tu domani vai da lei, parlaci, state un po’ insieme, coinvolgila. E, senti, nella tua classe non c’è qualcuno che fa fatica in qualche materia?». «Sì. Il mio compagno di banco fa fatica in matematica. Dice che ci capisce molto poco». «Allora invitalo a studiare con te. E quando sei a casa, non litigare troppo con i tuoi fratelli. E dai una mano a tuo papà e a tua mamma senza troppo lamentarti, quando ti chiedono aiuto». «Va bene, signor imam». 
 «Ti lancio una sfida. Impara ad amare. Ma non con le parole, con le azioni: ama con la vita. Amare è una palestra. Se imparerai ad amare, Dio ti parlerà: sarà lui a dirti se pregare in una chiesa o in una moschea». 
Ascoltando questo racconto, ho capito il segreto di quella donna. Ho pensato a quanto è viziata la comunicazione in cui siamo immersi. L’11 settembre del 2001 avevo vent’anni: l’attacco alle Torri Gemelle ha segnato tutta l’epoca successiva. Mi sono reso conto, immaginando il dialogo tra quell’imam e quella bambina curiosa, di quanti messaggi che riceviamo descrivono le identità religiose più come fonte di divisione e di violenza che come strumento di dialogo: l’Islam contro l’Occidente, i cattolici conto i laici. Ma, più in generale, quanto spesso la propria identità viene affermata contro l’altro? Quanto spesso abbiamo bisogno di creare un nemico per affermare identità fragili, senza radici? Quella bambina e il suo imam mi hanno insegnato che l’identità è una ricchezza, ma che un’identità consapevole e ben sviluppata non ha mai paura delle altre identità, non si chiude al confronto, anzi, ne esce arricchita. Un’identità sana non esclude altre identità. Costruisce ponti, abbatte muri. 
Perché una identità può avere molte sfaccettature: non è un pezzo di granito, è un giardino accogliente che si espande e ospita germogli sempre nuovi. Io mi sento orgogliosamente milanese: amo il mio dialetto, amo la mia cucina, amo le mie favole e miei modi di dire. Ma sono anche orgogliosamente italiano, concittadino di Dante, Falcone e Borsellino. Ma sono anche fieramente europeo: tedeschi, francesi, spagnoli, polacchi sono miei fratelli. Ma mi sento anche cittadino del mondo: in Africa e in Sudamerica mi sono sentito a casa, ho incontrato persone con tradizioni diversissime dalle mie, ma che sentivo profondamente legate a me. Poi, certo, c’è chi gioca a dividere per affermare identità fragili: i terroristi, gli integralisti, gli estremisti nazionalisti. In mezzo però ci sono Papa Francesco, che afferma che un uomo può guardare un altro uomo dall’alto in basso solo quando lo aiuta a rialzarsi, e quell’imam, che lascia le risposte a Dio e non pretende di averle in tasca lui. 
Papa Francesco e quell’imam, se si conoscessero, sarebbero amici, ne sono convinto. Quell’imam è stato un grande educatore, ha avuto lo sguardo giusto. È sfuggito alla tentazione di imporre una verità per lui facile a una bambina, per scegliere il sentiero impervio del senso critico e della libertà. Un grande educatore non dà mai risposte preconfezionate, preferisce spingere l’interlocutore a riflettere. Un grande educatore non manipola, preferisce tenere aperte le discussioni. Un grande educatore non afferma certezze, ma dona strumenti utili ad acquisirne. Non costringe verso una meta, ma dona una bussola. Un po’ come faceva il filosofo Socrate, che spingeva le persone a trovare autonomamente la verità attraverso le sue domande. 
La verità è dentro di noi: non ci servono insegnanti narcisi che la calino dall’altro, ma insegnanti levatrici che ci aiutino a partorirla.


Buddha e Gesù costruttori di pace

Oggi sentiamo con particolare intensità che la pace è un bene estremamente fragile. Abbiamo visto come ci voglia pochissimo per passare da una situazione di “normalità” ad una in cui ogni giorno ti chiedi se ci sarà un domani e come questo sarà. 
La pace non è comunque l’assenza di guerra, ma è una rivoluzione da fare nel cuore e nella mente. Richiede fiducia, dialogo, umiltà; insomma qualità di cui il nostro mondo, purtroppo😔, non abbonda. Papa Francesco, rivolto alla delegazione di autorità del Buddhismo in Mongolia (28 maggio) si è così espresso: 
La pace è oggi l’ardente anelito dell’umanità. Pertanto, attraverso il dialogo a tutti i livelli, è urgente promuovere una cultura della pace e della nonviolenza e lavorare per questo. Questo dialogo deve invitare tutti a rifiutare la violenza in ogni sua forma, compresa la violenza contro l’ambiente. Purtroppo, c’è chi continua ad abusare della religione usandola per giustificare atti di violenza e di odio. Gesù e Buddha sono stati costruttori di pace e promotori della nonviolenza.
Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). 
Perciò, «essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2017, 3). 
Il messaggio centrale del Buddha era la nonviolenza e la pace. Insegnò che «la vittoria si lascia dietro una scia di odio, perché il vinto soffre. Abbandona ogni pensiero di vittoria e sconfitta e vivi nella pace e nella gioia» (Dhammapada, XV, 5 [201]).
Sottolineò inoltre che la conquista di sé è più grande di quella degli altri: «Meglio vincere te stesso che vincere mille battaglie contro mille uomini» (ibid., VIII, 4 [103]). 
In un mondo devastato da conflitti e guerre, come leader religiosi, profondamente radicati nelle nostre rispettive dottrine religiose, abbiamo il dovere di suscitare nell’umanità la volontà di rinunciare alla violenza e di costruire una cultura di pace. 
[…] la Chiesa si impegna pienamente a promuovere una cultura dell’incontro, seguendo il suo Maestro e Fondatore il quale ha detto: “Amatevi come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). Rafforziamo la nostra amicizia per il bene di tutti.

Un appello di pace

Dal 12 al 14 settembre a Bologna si è tenuto il G20 Interfaith Forum. 

Per tre giorni autorità religiose, intellettuali, accademici e politici si sono confrontati, in vista del G20 di ottobre, il vertice che vedrà riuniti a Roma i leader mondiali. 
Cosa hanno da dire le religioni al mondo? 
Eccovi alcuni punti che sono emersi da questo incontro:
– nessuna religione può mai accettare di essere utilizzata per la violenza e per la guerra
– l’attenzione all’altro è il vero modo per servire Dio
– bisogna inaugurare il tempo del prendersi cura gli uni degli altri, altrimenti la pace e la tolleranza, che sono valori universali, non potranno realizzarsi
– i Grandi della Terra si impegnino per «guarire il mondo» da guerra e ingiustizia.
Il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha sottolineato che in gesti piccoli ma concreti dobbiamo affermare quanto «la sofferenza di ciascuno ci riguardi». Ha continuato dicendo che «Non possiamo perdere la consapevolezza che tragicamente ci ha dato la pandemia. Non possiamo semplicemente metterla tra parentesi e dimenticarla. Dobbiamo cogliere questo tempo», «non arrivarci per contrarietà» (citazione da Eskimo, canzone di Francesco Guccini).
«Quante strade – ha domandato il cardinale, parafrasando la celebre Blowin’ in the wind di Bob Dylan – deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?». 
La pace, è stato sottolineato in questo Forum, deve essere un obiettivo da raggiungere giorno dopo giorno, con costanza, pazienza, passione. Dal Forum è partito un appello delle autorità religiose, strutturato in tre preposizioni:
– «noi non uccideremo» 
– «noi ci soccorreremo» 
– «noi ci perdoneremo ».
Essere e voler essere ‘fratelli tutti’ è il ‘punto di Archimede’, l’antidoto autentico contro quello che è stato definito il «riscaldamento globale del religioso» che assume i tratti dell’intolleranza e del fanatismo religioso.
 

 

 
 

 

Alle radici: il Papa a Ur

Avrete sicuramente sentito parlare del viaggio del Santo Padre in Iraq (5-8 marzo 2021). 
Un viaggio difficile perché ha riguardato una terra martoriata dalle guerre, il terrorismo, le divisione; un viaggio difficile per la pandemia. Il Papa lo ha fortemente voluto per far sentire la vicinanza ai fratelli cristiani che vivono lì, tra mille difficoltà, e per rivolgere un appello a tutti i credenti per l’impegno comune al dialogo e alla pace. 
Lì tutto è cominciato: in quella terra Abramo ha udito la voce del Signore. Da lì vengono i credenti delle tre religioni monoteiste.

Vi riporto alcuni stralci del suo discorso a Ur: 

Cari fratelli e sorelle, questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra. 
1. Guardiamo il cielo. Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge ad amare. 
Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo. Nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità. Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! […] 
Il Cielo non si è stancato della Terra: Dio ama ogni popolo, ogni sua figlia e ogni suo figlio! Non stanchiamoci mai di guardare il cielo, di guardare queste stelle, le stesse che, a suo tempo, guardò il nostro padre Abramo.
2. Camminiamo sulla terra. Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e latitudine. Ma tutto cominciò da qui, dal Signore che “lo fece uscire da Ur” (cfr Gen 15,7). Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli. Sì, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. La pandemia ci ha fatto comprendere che «nessuno si salva da solo» (Lett. enc. Fratelli tutti, 54). […] 

La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte. È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità.[…] 
Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia. Nella storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa.[…] 
Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra.

 

Andiamo oltre l’odio e il rancore: riconosciamoci fratelli in umanità!

Di fronte alle tante divisioni che alimentano sospetti, odio, indifferenza, è bello vedere che c’è chi crede che possiamo riconoscerci fratelli, al di là di ogni differenza.
 A scuola abbiamo avuto modo di parlare della Dichiarazione comune sulla fratellanza umana firmata ad Abu Dhabi da papa Francesco e dall’imam di al Azhar al Tayyeb e proprio ieri un’alunna musulmana che frequenta Religione ricordava quanto fosse stato importante per lei questo richiamo alla comune fratellanza che ci permette di andare oltre ogni divisione.
Siamo fratelli in umanità – aggiungeva – e per questo dobbiamo sentirci impegnanti alla costruzione di un mondo più giusto, dove nessuno debba sentirsi guardato con sospetto per la sua religione.
A lei. che è una delle migliori alunne che ho avuto per conoscenze, capacità riflessive e disponibilità al dialogo educativo, ma anche a tutti gli altri, indipendentemente dalla frequenza o meno all’Ora di Religione e dal loro credo, dedico un video, realizzato da una compagnia telefonica kuwaitiana in occasione della fine del Ramandan (lunedì 3 giugno 2019).
Il video racconta in una canzone di quattro minuti la storia di due bambine, una musulmana e una cristiana, nate una accanto all’altra in ospedale. In maniera semplice vengono riportate le preghiere dei loro genitori; poi diventate più grandi si vedono le bambine correre insieme mano nella mano. Arriva però anche il momento in cui ciascuna deve fare i conti con gli strattoni di chi vorrebbe separarle, perché «non bisogna essere amici delle altre religioni». Ma il loro legame è forte e non banale. E allora ecco ognuna delle due raccontare che si sente «pugnalata alla schiena» e ha «il cuore che sanguina» quando viene colpito il luogo di culto dell’altra. Finché le due donne – diventate ormai adulte – esprimono una condanna ferma per chi imprigiona l’innocente, distorce la verità, tradisce la propria religione alzando la mano contro i figli dell’altra.
Il messaggio finale, cantato insieme mentre un coro cristiano e un gruppo di sufi musulmani si mescolano tra loro, dice: «quando ti trovi a un bivio segui il tuo cuore e lasciati guidare da Dio sulla strada che porta all’unità».

 

Francesco negli Emirati Arabi

Nella sua prima udienza al corpo diplomatico, nel lontano 2013, il Papa aveva anticipato con nitida chiarezza su quale arco avrebbe gettato il passo: «Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare. Le mie stesse origini poi mi spingono a lavorare per edificare ponti… e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità».
Questa fraternità non può costruirsi a prescindere dalla religione. Infatti il Papa aggiungeva:
«In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione. Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio. Ma vale anche il contrario: non si possono vivere legami veri con Dio ignorando gli altri. Per questo è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’islam».
Arriviamo quindi a qualche giorno fa, esattamente al 4 febbraio, quando è stato firmato un documento sulla «Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». Si tratta di un appello congiunto senza precedenti rivolto a «tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme, affinché diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli».
Ecco le parole del documento: «In nome di Dio Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio».
Il documento sancisce l’impegno per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze; condanna l’estremismo e l’uso politico delle religioni, afferma «il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi», la protezione dei luoghi di culto e il dovere di riconoscere alla donna il diritto all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici interrompendo «tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che ne umiliano la dignità e lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti».
E ancora: «Al-Azhar e la Chiesa Cattolica domandano che questo documento divenga oggetto di ricerca e di riflessione in tutte le scuole, nelle università e negli istituti di educazione
e di formazione». (vedi ttps://www.avvenire.it/papa/pagine/documento-sulla-fratellanza-papa-ad-abu-dhabi)
In questi giorni sono circolate su FB vignette che siglano questo importante momento storico. Ne posto alcune.



Le religioni monoteiste

Completo l’itinerario che ci sta portando, cari alunni di terza media, alla scoperta delle religioni, con le religioni monoteiste. L’ordine procede dalla più recente alla più antica.

ISLAM 

CRISTIANESIMO

EBRAISMO


Come approfondimento per le riflessioni che stanno scaturendo dal vostro lavoro, vi lascio le parole tratte dal documento Nostra Aetate, dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.

La religione musulmana 
3. La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.

Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

La religione ebraica 
4. Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.

La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti. […]
Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.

Le religioni dell’Oriente

Un contributo per il lavoro dei ragazzi di terza media: alcuni video sulle religioni dell’Oriente e alcune riflessioni secondo il punto di vista cristiano-cattolico.

Buddismo

Induismo

Shintoismo

 

dalla Nostra Aetate 2

[…] Così, nell’induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza.
Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l’aiuto venuto dall’alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.
La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. […]

Paolo VI ai rappresentanti dello shintoismo, Roma, 26 febbraio 1975
[…] Noi riconosciamo ed apprezziamo i valori di religiosità e di moralità che la vostra religione ha trasmesso nel corso della storia alla cultura e alla civiltà giapponese. In particolare ci piace ricordare il vostro impegno per la sincerità e la purezza del cuore e il vostro ideale di vivere in armonia con gli uomini e con la natura. Desideriamo estendere questo saluto e apprezzamento sincero a tutta la Comunità shintoista.
Questo incontro è espressione dell’impegno della Chiesa cattolica di promuovere le relazioni e il dialogo con le religioni per una migliore comprensione reciproca e una amichevole collaborazione in vista della pace e dello sviluppo dei valori spirituali e morali tra gli uomini. […]

La prima proposta didattica per la classe prima: il nome di Dio

Con questa proposta didattica vorrei aiutare gli alunni a riflettere sulla necessità del rispetto dell’altro per una convivenza civile, pacifica e solidale. Non si può utilizzare il nome di Dio per giustificare alcun tipo di violenza o imposizione. Il primo comandamento dà il divieto di strumentalizzare, manipolare il nome di Dio per ragioni che vanno contro Dio e contro l’uomo: ecco perché la violenza nel nome di Dio è una bestemmia.
Tanto nel Cristianesimo, come nell’Islam Dio è presentato come misericordioso, clemente, pietoso. Compito dei credenti è allora presentare questo volto di misericordia nel loro impegno per la pace, il dialogo, la fraternità. Generando misericordia nei comportamenti di ogni giorno ogni uomo o donna di buona volontà realizza la propria umanità e come credente testimonia di essere veramente vicino a Dio.

La prima proposta per la classe terza: Credenti in dialogo

Come sviluppare un’identità capace di accoglienza, confronto, dialogo?
Credo che senza conoscenza non ci possa essere né accoglienza né dialogo. L’ignoranza crea muri e i preconcetti ostacolano l’incontro.
Questa proposta didattica vuole sollecitare negli studenti delle classi terze un atteggiamento di curiosità verso le diverse religioni in un’ottica di accogliente confronto e dialogo. I documenti con cui i ragazzi si confronteranno offriranno l’occasione per scoprire che ci si può accogliere nonostante le differenze. La via della pace è possibile anche tra i credenti delle diverse religioni.