Troppe cose non funzionano

Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell’altar maggiore e disse: «Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano». «Non mi pare», rispose il Cristo. «Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano».
Dal romanzo Il mondo piccolo di Giovanni Guareschi (1908-1968)

Troppe cose non funzionano

Don Camillo guardò in su verso il Cristo dell’altar maggiore e disse: «Gesù, al mondo ci sono troppe cose che non funzionano». «Non mi pare», rispose il Cristo. «Al mondo ci sono soltanto gli uomini che non funzionano».
Dal romanzo Il mondo piccolo di Giovanni Guareschi (1908-1968)

Daniele, dall’esercito al Seminario

di Paolo Guiducci (Avvenire del 13 agosto 2010)

Dai cieli più pericolosi del mondo, solcati come capita­no dell’esercito, alla missione per conto di Dio. L’avventuro­sa storia di Daniele Leoni, 40 anni, la si potrebbe racchiu­dere tra questi due poli. In realtà, in mezzo c’è l’entusia­smante vicenda di un uomo che ha trovato il senso profondo della vita: servire la Chie­sa. Certo, non capita tutti i giorni che un ufficiale dell’esercito, tuta mimetica e cloche di eli­cotteri da guerra impugnata nei cieli di Al­bania, Bosnia, Kosovo e per due volte Iraq, decida di virare in maniera così decisa e con la prospettiva, ormai vicina, di indossare il clergyman.
«Nel 1998, dopo 7 anni di esercito, sono ap­prodato al reggimento di Rimini – racconta Leoni, con l’accento che ne tradisce l’origine aretina –. Ne ero felice, perché mi avvicinavo a casa: in precedenza prestavo servizio in Friuli». La conversione non è da Innomina­to, tutta in una notte, ma frutto di un lungo cammino. «Avevo abbandonato la Chiesa e non ne sentivo il bisogno – prosegue il semi­narista –. Nel fine settimana tornavo a casa, dai miei amici». E dall’esercito: per anni ha pi­lotato elicotteri da guerra nelle missioni ita­liane più pericolose. «Servire il proprio Paese all’estero – assicura – è motivo di incredibile orgoglio. Resta l’angoscia di assistere a tanto dolore, a tanta disperazione». La svolta arri­va nel 2001. «C’era stata una precedente e­sperienza francescana. Un seme che ha col­tivato il Signore. Con il trascorrere dei mesi
sentivo accrescere dentro di me il desiderio di verità e felicità». Per 10 mesi Daniele si de­dica contemporaneamente al servizio della nazione e alla scoperta della chiamata in Se­minario. Al termine dell’approfondimento, il capitano fa ritorno in caserma, tra gli sfottò dei commilitoni. La voce del Signore nel 2007 si fa però più intensa. Daniele inizia un nuo­vo percorso, nel Seminario ‘Don Benzi’ di Ri­mini. «Don Andrea Turchini, il rettore, mi ha accolto a braccia aperte. Gesù parla a ciascu­no, in un momento storico preciso». Leoni o­ra prega e suona la chitarra, i gradi di capita­no appartengono al passato, il futuro è dietro l’angolo: «A ottobre farò richiesta di ammis­sione a diaconato e presbiterato».
Al termine degli studi teologici, tra tre anni, il ca­pitano Daniele Leoni, 40 anni, pilota di elicotte­ri nelle zone di guerra, intraprenderà la sua nuo­va missione: presbitero di Dio e per la Chiesa.

Daniele, dall’esercito al Seminario

di Paolo Guiducci (Avvenire del 13 agosto 2010)

Dai cieli più pericolosi del mondo, solcati come capita­no dell’esercito, alla missione per conto di Dio. L’avventuro­sa storia di Daniele Leoni, 40 anni, la si potrebbe racchiu­dere tra questi due poli. In realtà, in mezzo c’è l’entusia­smante vicenda di un uomo che ha trovato il senso profondo della vita: servire la Chie­sa. Certo, non capita tutti i giorni che un ufficiale dell’esercito, tuta mimetica e cloche di eli­cotteri da guerra impugnata nei cieli di Al­bania, Bosnia, Kosovo e per due volte Iraq, decida di virare in maniera così decisa e con la prospettiva, ormai vicina, di indossare il clergyman.
«Nel 1998, dopo 7 anni di esercito, sono ap­prodato al reggimento di Rimini – racconta Leoni, con l’accento che ne tradisce l’origine aretina –. Ne ero felice, perché mi avvicinavo a casa: in precedenza prestavo servizio in Friuli». La conversione non è da Innomina­to, tutta in una notte, ma frutto di un lungo cammino. «Avevo abbandonato la Chiesa e non ne sentivo il bisogno – prosegue il semi­narista –. Nel fine settimana tornavo a casa, dai miei amici». E dall’esercito: per anni ha pi­lotato elicotteri da guerra nelle missioni ita­liane più pericolose. «Servire il proprio Paese all’estero – assicura – è motivo di incredibile orgoglio. Resta l’angoscia di assistere a tanto dolore, a tanta disperazione». La svolta arri­va nel 2001. «C’era stata una precedente e­sperienza francescana. Un seme che ha col­tivato il Signore. Con il trascorrere dei mesi
sentivo accrescere dentro di me il desiderio di verità e felicità». Per 10 mesi Daniele si de­dica contemporaneamente al servizio della nazione e alla scoperta della chiamata in Se­minario. Al termine dell’approfondimento, il capitano fa ritorno in caserma, tra gli sfottò dei commilitoni. La voce del Signore nel 2007 si fa però più intensa. Daniele inizia un nuo­vo percorso, nel Seminario ‘Don Benzi’ di Ri­mini. «Don Andrea Turchini, il rettore, mi ha accolto a braccia aperte. Gesù parla a ciascu­no, in un momento storico preciso». Leoni o­ra prega e suona la chitarra, i gradi di capita­no appartengono al passato, il futuro è dietro l’angolo: «A ottobre farò richiesta di ammis­sione a diaconato e presbiterato».
Al termine degli studi teologici, tra tre anni, il ca­pitano Daniele Leoni, 40 anni, pilota di elicotte­ri nelle zone di guerra, intraprenderà la sua nuo­va missione: presbitero di Dio e per la Chiesa.

Un calciatore e la fede

di Luca Mazza da Avvenire del 13 agosto 2011

Un calciatore. Una vita. Due svolte. La prima risale al novembre 2010, quando nella carriera di Stefano Mauri, allora 30enne, si verifica una metamorfosi decisiva. Nel giro di poche settimane da buon giocatore di Serie A si “trasforma” in titolare inamovibile del centrocampo della Lazio, che ai tempi era sorprendentemente in testa al campionato. Lui è un jolly: mediano, mezzala, trequartista, puntuale negli inserimenti senza palla e perfetto uomo assist. «Credo di essere stato sempre apprezzato dagli allenatori che ho avuto – dice il vice capitano della Lazio ­proprio per questa mia duttilità tattica».
Una qualità che lo scorso anno ha convinto il ct Prandelli a convocarlo in Nazionale, dove ha giocato alcune partite decisive per la qualificazione ai prossimi Europei in Polonia e Ucraina.
Prima di allora, qualche buon campionato, ma anche tanti fischi.
Perché una piazza esigente e umorale come quella romana ora lo idolatra, ma in passato non gli ha perdonato niente. Anzi, fino a poco tempo fa, nella capitale girava insistentemente una voce: «Mauri è un tipo che fa le ore piccole nei locali, frequenta belle donne e il suo scarso rendimento in campo è figlio di quello stile di vita…». Una chiacchiera da bar che con il passaparola è ben presto diventata un tormentone metropolitano. Mauri era diventato così bersaglio di fischi allo stadio Olimpico al primo passaggio sbagliato. Una contestazione che al giocatore dava molto fastidio: «Sono un ragazzo giovane ed è normale che mi sia divertito in passato – racconta il centrocampista brianzolo – ma certo senza arrivare agli eccessi che si sentivano in giro. E poi chi crede ancora a questo ritornello è rimasto un po’ indietro, perché da quattro anni sono fidanzato con Miriam e dal 2007 non frequento più discoteche. Le serate al massimo le trascorro a cena con gli amici». Tra loro ci sono anche alcuni compagni di squadra, come Cristian Brocchi e Sergio Floccari.
Ed è proprio in compagnia degli altri due biancocelesti che arriva la seconda svolta, in questo caso del «Mauri uomo».
Giugno 2011: Mauri scopre la fede in Dio.
Su consiglio di Floccari, calciatore cattolico e praticante, decide insieme a Brocchi di partire per un pellegrinaggio a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina. Alla fine di un campionato lungo e faticoso, quasi tutti i loro colleghi preferiscono raggiungere mete esotiche, in cui spesso vengono paparazzati in dolce compagnia.
Loro tre, invece, avevano optato per una scelta diversa: «Sergio c’era già stato in passato per motivi personali – racconta Mauri – e aveva parlato a me, come a molti altri compagni di squadra, di questa bella esperienza. Io inizialmente ero un po’ scettico, perché nonostante provenissi da una famiglia profondamente religiosa non potevo certo definirmi un cattolico praticante. Non andavo mai a Messa e non riuscivo a pregare, perché vivevo quei momenti come un peso. Alla fine però, non ricordo neanche per quale motivo, decisi di partire». Ad accompagnare i tre giocatori anche le rispettive famiglie: «Tra zii, genitori, mogli e fidanzate eravamo un gruppo di quaranta persone.
Durante l’anno risulta difficile riunirsi con parenti e persone care, così sfruttammo l’occasione».
Non se l’aspettava Mauri di vivere un’esperienza di fede così umanamente ricca e coinvolgente. Ha visto e conosciuto realtà lontane anni luce da chi fa la vita del calciatore: «Ho parlato con un ex tossicodipendente che ha abbandonato la famiglia e perso il lavoro per colpa della droga. Non aveva più voglia di vivere. L’ha ritrovata, è riuscito a rialzarsi e si è ripreso i suoi affetti grazie al sostegno di una comunità cristiana».
L’aspetto che l’ha maggiormente colpito è la forza di volontà di alcuni fedeli, che andava oltre i loro limiti fisici: «C’erano invalidi e anziani che per arrivare in cima al monte delle Apparizioni hanno fatto sforzi fisici enormi e quasi impossibili viste le loro condizioni. Eppure ce l’hanno fatta. Questi episodi mi hanno fatto comprendere come molte volte la forza d’animo sia più importante di quella fisica». A Medjugorje Mauri ha scoperto anche il piacere della preghiera: «In quel contesto, veniva quasi naturale. Più volte al giorno, durante il pellegrinaggio, si dedicava del tempo alla preghiera. L’ho vissuto come un momento di gioia e non come un’imposizione». A Roma, dopo il pellegrinaggio in questo luogo di culto, è tornato un Mauri diverso, «con uno sguardo nuovo e più profondo nei confronti della religione», come ha scritto sul suo sito internet (www.smauri.it) inaugurato pochi giorni fa. «Ho iniziato un percorso di fede – dice Mauri – Medjugorje mi ha certamente cambiato in meglio.
Anche come calciatore. Se prima subivo un torto da un collega lo vivevo come un attacco personale, ora invece cerco sempre di vedere il buono negli altri e sono molto più propenso al perdono».
Mauri è diventato più aperto e disponibile anche con i suoi tifosi. Adesso si sta preparando per iniziare una nuova stagione con la Lazio. Giovedì 18 agosto ci sarà la prima partita ufficiale in Europa League (contro i macedoni del Rabotnicki). «La società ha costruito un organico importante. Partiamo subito dietro le due milanesi e ci sono tutte le premesse per fare bene in Italia e in Europa, per arrivare a maggio a giocarci qualcosa di importante». Poi Mauri ha già in mente il programma per la prossima estate: «A giugno tornerò a Medjugorje.
Spero però a fine mese, perché vorrà dire che prima sarò impegnato con la Nazionale agli Europei…».

Un calciatore e la fede

di Luca Mazza da Avvenire del 13 agosto 2011

Un calciatore. Una vita. Due svolte. La prima risale al novembre 2010, quando nella carriera di Stefano Mauri, allora 30enne, si verifica una metamorfosi decisiva. Nel giro di poche settimane da buon giocatore di Serie A si “trasforma” in titolare inamovibile del centrocampo della Lazio, che ai tempi era sorprendentemente in testa al campionato. Lui è un jolly: mediano, mezzala, trequartista, puntuale negli inserimenti senza palla e perfetto uomo assist. «Credo di essere stato sempre apprezzato dagli allenatori che ho avuto – dice il vice capitano della Lazio ­proprio per questa mia duttilità tattica».
Una qualità che lo scorso anno ha convinto il ct Prandelli a convocarlo in Nazionale, dove ha giocato alcune partite decisive per la qualificazione ai prossimi Europei in Polonia e Ucraina.
Prima di allora, qualche buon campionato, ma anche tanti fischi.
Perché una piazza esigente e umorale come quella romana ora lo idolatra, ma in passato non gli ha perdonato niente. Anzi, fino a poco tempo fa, nella capitale girava insistentemente una voce: «Mauri è un tipo che fa le ore piccole nei locali, frequenta belle donne e il suo scarso rendimento in campo è figlio di quello stile di vita…». Una chiacchiera da bar che con il passaparola è ben presto diventata un tormentone metropolitano. Mauri era diventato così bersaglio di fischi allo stadio Olimpico al primo passaggio sbagliato. Una contestazione che al giocatore dava molto fastidio: «Sono un ragazzo giovane ed è normale che mi sia divertito in passato – racconta il centrocampista brianzolo – ma certo senza arrivare agli eccessi che si sentivano in giro. E poi chi crede ancora a questo ritornello è rimasto un po’ indietro, perché da quattro anni sono fidanzato con Miriam e dal 2007 non frequento più discoteche. Le serate al massimo le trascorro a cena con gli amici». Tra loro ci sono anche alcuni compagni di squadra, come Cristian Brocchi e Sergio Floccari.
Ed è proprio in compagnia degli altri due biancocelesti che arriva la seconda svolta, in questo caso del «Mauri uomo».
Giugno 2011: Mauri scopre la fede in Dio.
Su consiglio di Floccari, calciatore cattolico e praticante, decide insieme a Brocchi di partire per un pellegrinaggio a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina. Alla fine di un campionato lungo e faticoso, quasi tutti i loro colleghi preferiscono raggiungere mete esotiche, in cui spesso vengono paparazzati in dolce compagnia.
Loro tre, invece, avevano optato per una scelta diversa: «Sergio c’era già stato in passato per motivi personali – racconta Mauri – e aveva parlato a me, come a molti altri compagni di squadra, di questa bella esperienza. Io inizialmente ero un po’ scettico, perché nonostante provenissi da una famiglia profondamente religiosa non potevo certo definirmi un cattolico praticante. Non andavo mai a Messa e non riuscivo a pregare, perché vivevo quei momenti come un peso. Alla fine però, non ricordo neanche per quale motivo, decisi di partire». Ad accompagnare i tre giocatori anche le rispettive famiglie: «Tra zii, genitori, mogli e fidanzate eravamo un gruppo di quaranta persone.
Durante l’anno risulta difficile riunirsi con parenti e persone care, così sfruttammo l’occasione».
Non se l’aspettava Mauri di vivere un’esperienza di fede così umanamente ricca e coinvolgente. Ha visto e conosciuto realtà lontane anni luce da chi fa la vita del calciatore: «Ho parlato con un ex tossicodipendente che ha abbandonato la famiglia e perso il lavoro per colpa della droga. Non aveva più voglia di vivere. L’ha ritrovata, è riuscito a rialzarsi e si è ripreso i suoi affetti grazie al sostegno di una comunità cristiana».
L’aspetto che l’ha maggiormente colpito è la forza di volontà di alcuni fedeli, che andava oltre i loro limiti fisici: «C’erano invalidi e anziani che per arrivare in cima al monte delle Apparizioni hanno fatto sforzi fisici enormi e quasi impossibili viste le loro condizioni. Eppure ce l’hanno fatta. Questi episodi mi hanno fatto comprendere come molte volte la forza d’animo sia più importante di quella fisica». A Medjugorje Mauri ha scoperto anche il piacere della preghiera: «In quel contesto, veniva quasi naturale. Più volte al giorno, durante il pellegrinaggio, si dedicava del tempo alla preghiera. L’ho vissuto come un momento di gioia e non come un’imposizione». A Roma, dopo il pellegrinaggio in questo luogo di culto, è tornato un Mauri diverso, «con uno sguardo nuovo e più profondo nei confronti della religione», come ha scritto sul suo sito internet (www.smauri.it) inaugurato pochi giorni fa. «Ho iniziato un percorso di fede – dice Mauri – Medjugorje mi ha certamente cambiato in meglio.
Anche come calciatore. Se prima subivo un torto da un collega lo vivevo come un attacco personale, ora invece cerco sempre di vedere il buono negli altri e sono molto più propenso al perdono».
Mauri è diventato più aperto e disponibile anche con i suoi tifosi. Adesso si sta preparando per iniziare una nuova stagione con la Lazio. Giovedì 18 agosto ci sarà la prima partita ufficiale in Europa League (contro i macedoni del Rabotnicki). «La società ha costruito un organico importante. Partiamo subito dietro le due milanesi e ci sono tutte le premesse per fare bene in Italia e in Europa, per arrivare a maggio a giocarci qualcosa di importante». Poi Mauri ha già in mente il programma per la prossima estate: «A giugno tornerò a Medjugorje.
Spero però a fine mese, perché vorrà dire che prima sarò impegnato con la Nazionale agli Europei…».