Unici e per questo diversi, ma….

Camilla ha sintetizzato molto bene l’ unità di apprendimento che abbiamo affrontato nella prima parte dell’anno.
Vi lascio il suo lavoro e approfitto per ringraziarla per l’impegno e la disponibilità mostrate.

 

Non si può normalizzare l’Olocausto. La riflessione di un ebreo sopravvissuto alla Shoah.

L’argomento che più frequentemente si ripete è ancora valido: il popolo ebreo era ed è l’unico popolo destinato all’estinzione completa. Questo significa che un ebreo nell’Estremo Oriente o un ebreo a New York o in Norvegia era condannato a morte. Nessun altro popolo condivide questo destino tranne un popolo dell’antichità, gli Etruschi. Furono estinti e nessuno sa il perché. Un bel giorno i Romani decisero di ammazzare tutti gli Etruschi e questa decisione si trasformò in un fatto. Questa decisione fu tale che i Romani giunsero a distruggere completamente la cultura e la lingua etrusche. Un ulteriore motivo della singolarità di Auschwitz è che nessun popolo fu mai tanto solo quanto quello ebreo. Durante la guerra anche altri uomini furono eliminati dai tedeschi, non solo gli ebrei. Per tutti esistevano comitati di soccorso che sostenevano questa gente. I comunisti furono sostenuti da Mosca, altri da Washington o Londra, gli ebrei non ebbero alcun aiuto. Non ebbero nessuno alloro fianco.
Perfino dopo la guerra gli ebrei non avevano una patria dove poter andare. Quando un francese fu liberato dal campo di concentramento, poté ritornare a casa sua; addirittura i tedeschi, che erano nei lager, poterono farlo. Gli ebrei non sapevano dove andare. Se fossero tornati dove vivevano prima, sarebbero stati perseguitati anche dopo la guerra, e perfino uccisi. In Ungheria, per esempio, l’antisemitismo fu più forte dopo la guerra che non prima, poiché coloro che si erano impossessati delle proprietà degli ebrei scacciati non volevano restituire nulla a coloro che erano riusciti a tornare. Le vittime dovevano sopportare una pena doppia.
 

Stralcio dalle riflessioni di Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto, scrittore e premio Nobel per la pace nel 1986, raccolte nel volume ‘Dove si arrende la notte. Un ebreo e un cristiano in dialogo dopo Auschwitz‘ (Rubbettino, pagine 148, euro 13,00)

Quando vennero a prendere gli ebrei…

Gira nel web una poesia attribuita erroneamente a Bertold Brecht. In realtà il testo, leggermente differente da quello diffuso, è da attribuirsi ad alcuni discorsi di Martin Niemöller, teologo e pastore protestante tedesco.
Non sono in grado di potervi dire di più sull’origine di questo brano, che comunque vi lascio, perchè in questi giorni, in cui ricordiamo la tragedia dell’Olocausto, dobbiamo riflettere sui pericoli legati ad atteggiamenti di indifferenza o tacita complicità.

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Pietre d’inciampo per non dimenticare

Passano gli anni, ma non è possibile dimenticare la tragedia della Shoah.
Per non tacitare la nostra coscienza, cadendo nell’errore che la barbarie ebbe altri carnefici, non dobbiamo neanche dimenticare che la persecuzione antiebraica investì cittadini italiani, con la complicità di altri italiani. L’inferno, insomma, non si è compiuto solo oltre le Alpi, perchè anche quartieri e strade d’Italia ne furono il palcoscenico.
L’operazione ”Stolpersteine’‘, che si è ripetuta a Roma su iniziativa dello scultore tedesco Gunter Demnig, ha come obiettivo quello di non dimenticare i tanti cittadini italiani deportati nei campi di sterminio nazisti perchè di “razza ebraica” (quanto faccio fatica a scrivere un’assurdità del genere!), attraverso l’installazione di nuovi e lucenti sanpietrini nei luoghi da cui furono strappati per sempre. Pietre d’inciampo per non dimenticare. Pietre d’inciampo per ricordare che la follia razzista, xenofoba, intollerante può irrompere nella normalità della quotidianità.

Perchè non si può fare a meno della comunità

Nessun uomo è un’isola, intero per se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata dall’onda del mare, l’Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te“.
Questa frase di John Donne, poeta inglese che visse tra il XVI e XVII secolo, sta a ricordarci che siamo “interconnessi” gli uni con gli altri. Se ci pensate bene tutta la nostra vita, sin da prima di venire al mondo, è sempre collegata a qualcun altro. Di qualche collegamento, forse avremmo  preferito farne a meno, ma, volenti o nolenti, abbiamo bisogno della comunità.
Vediamo cosa possiamo ricevere e imparare da un buon gruppo. Attenzione però. Evitiamo di confondere la comunità o il gruppo con la “banda bassotti” o le “orde barbariche”!!!

Grazie al mio vivere in comunità (famiglia, classe, gruppo):

  • posso imparare a essere umile, a smussare gli aspetti un po’ più spigolosi del mio carattere;
  • arricchisco la mia vita grazie alle esperienze e alle parole degli altri;
  • ricevo considerazione, stima, conforto, aiuto materiale e spirituale;
  • imparo a interagire con chi ha caratteristiche diverse dalle mie;
  • imparo a vedere i bisogni degli altri e imparo a farmene carico.

Pensiamo ai “sommari” che ci presenta il libro degli Atti degli Apostoli, in cui vengono descritte le caratteristiche della prima comunità cristiana. Ovviamente non erano tutte rose e fiori (pensate agli episodi di Anania e Saffira e a quello di Simon Mago). Eppure al suo interno la comunità vive come una sola famiglia: i beni in comune, la risposta alle necessità di ciascuno, l’atteggiamento di gioia e semplicità. Al suo esterno,  vive l’ubbidienza alla Legge e la frequenza al tempio, che la rende ben vista dalla gente e invoglia alla conversione e all’ingresso nel gruppo.
Non dimentichiamo però che al centro di quella esperienza c’è Gesù Cristo, vissuto e testimoniato come risposta al desiderio e al bisogno di vivere con gli altri.

Vorrei proporvi, a conclusione di questo intervento, una canzone degli U2. Si tratta di One, un brano molto popolare. Il testo sembra sottolineare l’aspirazione a riconciliarsi gli uni con gli altri, a sostenersi, superando i pregiudizi e l’indifferenza,  fino a sentirsi “uno”.


One love One blood One life…….One life With each other Sisters Brothers…One

Realizzare online scritte con ritagli di giornali

Vi piacerebbe realizzare una scritta che sembra fatta con i ritagli di giornale? L’immagine sopra dovrebbe darvi un’idea di cosa si può realizzare con un’applicazione online che si chiama Ransom Note Generator.

Come si fa?
Per prima cosa cliccate sopra la scritta del nome dell’applicazione, qua in alto. Comparirà la stringa in cui scriverete il vostro testo. Il generatore, reperendo immagini di lettere da Flickr, comporrà la scritta, che potrete condividere con un link oppure salvare con uno screenshot. Per chi è meno esperto vi spiego come.
Il termine inglese screenshot (da screen, schermo, e shot, scatto fotografico) indica ciò che viene visualizzato in un determinato istante sullo schermo del monitor. Per catturare lo schermo cliccate nella tastiera Stamp | R Sist.
Una volta eseguita la cattura, aprite un programma di elaborazione immagini, come Paintshop o Gimp (che è gratuito) e con modifica/incolla vi troverete l’immagine dello schermo appena salvata. Quindi procedete a selezionare solo l’area che vi interessa, la tagliate, la incollate su un nuovo file in modo da poterla salvare come immagine.
Spero che le mie indicazioni siano state chiare. Stampando le immagini realizzate, potrete personalizzare le copertine dei vostri quaderni o dei libri.
Non mi resta che augurarvi buon divertimento!!!

I numeri e il loro significato: SETTE

Il numero 7 è la cifra perfetta, la somma dell’increato e del creato. Dio + il mondo = l’Universo (4+3=7).
7 significa “sempre”. Questo numero viene citato spesso nel Libro dell’Apocalisse di San Giovanni: il libro sigillato con 7 sigilli, un angelo con 7 corna e 7 occhi, 7 lampade infuocate, 7 spiriti di Dio, 7 chiese, 7 stelle, 7 trombe e 7 coppe.
Esprime la pienezza: il 7° giorno dopo i 6 giorni della creazione, allorché Dio si riposò.
Il candelabro (menorah) a 7 bracci è uno dei pochi simboli di Israele.
Devi perdonare fino a 70 volte 7” disse Gesù a Pietro.
I primi diacono furono 7.
I sacramenti sono 7: battesimo, confermazione, eucaristia, penitenza, unzione dei malati, ordine sacro, matrimonio.
I doni dello Spirito Santo sono 7: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio.
I vizi capitali sono 7: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia.
La musica ha 7 note: do, re, mi, fa, sol, la, si.
Anche i pianeti noti nell’antichità sono 7: Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno.

Tratto da “Tutto calcolato“, Agenda dell’educatore ACR 2010/2011.
Continua……

Un filosofo e la questione Dio

«… non si può affermare che Dio è impossibile solo perché noi uomini non possiamo conoscerlo: Dio sfugge alla nostra conoscenza per definizione! Quando si dice che non è possibile che Dio esista, semplicemente si abbatte una rappresentazione di Dio che ci eravamo fatti. Ma non si risolve certo la questione di Dio dimostrando che non esisterebbe. La questione di Dio non può essere mai risolta al negativo, resta aperta per definizione. Sopravvive sempre alla ‘morte di Dio’, la storia del pensiero ne è testimone. Dio è sempre almeno ‘possibile’. Questa è una certezza, e già dice molto!».

«Ho sempre pensato che la realtà fosse solo una questione d’amore. Uno dei motivi per i quali trovo che sia razionale diventare cristiani è perché vi si parla al meglio dell’amore. Tutto quello che facciamo è per rispondere a un’interrogazione amorosa, per sapere se amo e sono amato.
Anche il motore della conoscenza è l’amore. Dunque trovo irrazionale partire da un punto di vista diverso dall’amore, quando la vita quotidiana ci mostra che solo l’amore è determinante per l’uomo».

(Jean Luc Marion, filosofo e storico francese contemporaneo)