Scheda sul peccato originale

Ne stiamo parlando a scuola.
Per questo vi propongo una scheda su cui lavoreremo: si tratta del testo di Genesi 3 con le relative note per aiutarci nella comprensione, e alcune domande per focalizzare i concetti fondamentali.

Vi invito anche a rivedere un post del passato per vedere come viene definito il peccato dalla Chiesa. Cliccate qui.

Per non dimenticare l’orrore di cui siamo capaci

Istituito per legge nel 2000, il 27 gennaio è il giorno che commemora la persecuzione dei cittadini ebrei e di tutti coloro che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte. Sono trascorsi 68 anni da quando l’Armata Rossa liberò il campo di sterminio di Auschwitz. Un tempo lontano per i miei alunni. Un tempo che non va dimenticato, perché gli uomini sono fragili nella memoria, soprattutto quando questa ricorda loro la bestialità di cui l’essere umano può essere capace.
Il mio contributo alla memoria è la testimonianza video di alcuni sopravvissuti ai lager nazisti. Vi lascio anche il link a I nomi della Shoa, un sito che testimonia l’orrore che hanno dovuto subire gli ebrei italiani. Cliccate qui.
Per vedere il video, cliccate sull’immagine.

Dio ci vuole felici

Non confondiamo la serietà con la tristezza. Essere seri, cioè vivere con responsabilità gli impegni della vita,come i cristiani dovrebbero fare per amore di Dio e del prossimo, non vuol dire rinunciare alla felicità. Troppe volte si confonde la felicità con lo stordimento, il disimpegno, l’essere “fuori di testa”. Ma la felicità non è questo. I cristiani non sono chiamati ad essere tristi, ma a vivere in pienezza la propria vita.
Sentite cosa dice il Vangelo: siamo a una festa di nozze e viene a mancare il vino.
Se ci manca qualcosa, non ci sentiamo felici.
Gesù, sollecitato dalla madre, riempirà le anfore di vino (di acqua trasformata in vino) e la festa potrà proseguire. L’episodio in questione è quello delle nozze di Cana.
 Vi lascio le parole di Ermes Ronchi che commentano il Vangelo di oggi (Avvenire del 17/01/2013):  «E viene a mancare il vino». Il vino, in tutta la Bibbia, è il simbolo dell’amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minac­ciato. Simbolo della fede e dell’entusiasmo, della crea­tività, della passione che vengono a mancare. Non hanno più vino, espe­rienza che tutti abbiamo fat­to, quando stanchezza e ri­petizione prendono il so­pravvento. Quando ci assal­gono mille dubbi, quando gli amori sono senza gioia e le case senza festa. Ma ecco il punto di svolta del racconto. Maria, la madre attenta, sa­piente della sapienza del Magnificat (sa che Dio ha sa­zia gli affamati di vita), indi­ca la strada: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Il femminile capace di unire il dire e il fare! Fate il suo Van­gelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempi­ranno le anfore vuote del cuore, si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice. Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. 
A lungo abbiamo pensato che al divertimento Dio pre­ferisse il sacrificio, al gioco la gravità, e abbiamo ricoper­to il Vangelo con un velo di tristezza. Invece a Cana ci sorprende un Dio che gode della gioia degli uomini e se ne prende cura.
 «Dobbiamo trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo dentro la nostra felicità terrena »(Bonhoeffer).

Alla larga dai bulli

Tra le parole molto nominate nei giornali, alla radio, alla televisione, c’è bullismo. Non è una parola simpatica, perché fa subito pensare ad atteggiamenti violenti e prepotenti. Significa comportamento da bullo da parte di un individuo o di un gruppo. Oltre che di bullismo avrete sentito parlare spesso anche di ciberbullismo (o cyberbullismo ) cioè di comportamenti molesti o di persecuzione compiuti attraverso gli strumenti informatici, e in particolare attraverso internet, telefoni cellulari, Facebook ecc. Ma vi siete mai chiesti da dove venga il bullismo, e come sia nata la parola? Vediamo di scoprirlo insieme.
All’origine c’è la parola bullo. Bullo è una parola antica, che risale al Cinquecento. Probabilmente è arrivata nell’italiano dalla lingua tedesca; poi la forma bulo con una sola “l” è stata usata a Venezia, col significato di giovane arrogante e violento, e da lì si è diffusa nel resto d’Italia. Nel Novecento al significato appena ricordato si è aggiunto quello moderno di teppista, ma la parola è stata usata anche con una sfumatura diversa, per indicare chi si mette in mostra con spavalderia. Molto diffuso è anche il diminutivo bulletto. A questo punto nasce un’altra curiosità: da dove viene la parola teppista? Da teppa, parola lombarda che significa zolla d’erba . Nell’Ottocento un gruppo di giovani aveva l’abitudine di riunirsi nei prati erbosi del Castello Sforzesco, a Milano. Questi ragazzi erano prepotenti, rissosi e rumorosi e si diedero il nome di Compagnia della Teppa. Da qui a teppista per indicare chi commette atti violenti e vandalici il passo è breve. Motivo di più per stare alla larga da bulli, ciberbulli, bulletti e teppisti.
Articolo di Valeria Della Valle, su Popotus del 15 gennaio 2013

La Bibbia nel linguaggio quotidiano

Sono tante le espressioni italiane che derivano direttamente dalla Bibbia.
Vi invito a visitare alcune pagine del web per scoprire il significato di tanti modi di dire che utilizziamo nel linguaggio corrente e che hanno, appunto, una radice biblica.
Cliccate sui titoli.

La famiglia, luogo dove si impara il nome di Dio

«Santità non significa assenza di difetti, ma pensare i pensieri di Dio e tradurli, con fatica e gioia, in gesti. Ora in cima ai pensieri di Dio c’è l’amore. In quella casa dove c’è amore, lì c’è Dio. E non parlo di amore spirituale, ma dell’amore vivo e potente, incarnato e quotidiano, visibile e segreto. Che sta in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un soprannome affettuoso, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel desiderio di abbracciarsi. Non ci sono due amori: l’amore di Dio e l’amore umano. C’è un unico grande progetto, un solo amore che muove Adamo verso Eva, me verso l’amico, il genitore verso il figlio, Dio verso l’umanità, a Betlemme.
Scese con loro a Nazaret e stava loro sottomesso. Gesù lascia i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita. Per anni impara l’arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non autoritario, che sa anche tirarsi indietro. Come poteva altrimenti trattare le donne con quel suo modo sovranamente libero? E inaugurare relazioni nuove tra uomo e donna, paritarie e senza paure?
Le beatitudini Gesù le ha viste, vissute, imparate da loro: erano poveri, giusti, puri nel cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: sì, sì; no, no. Stava così bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama: abbà, papà. Che vuole estendere quelle relazioni a livello di massa e dirà: voi siete tutti fratelli.
Anche oggi tante famiglie, in silenzio, lontano dai riflettori, con grande fatica, tessono tenaci legami d’amore, di buon vicinato, d’aiuto e collaborazione, straordinarie nelle piccole cose, come a Nazaret. Sante. La famiglia è il luogo dove si impara il nome di Dio, e il suo nome più bello è: amore, padre e madre. La famiglia è il primo luogo dove si assapora l’amore e, quindi, si gusta il sapore di Dio. La casa è il luogo dove risiede il primo magistero, più importante ancora di quello della Chiesa. È dalla porta di casa che escono i santi, quelli che sapranno dare e ricevere amore e che, per questo, sapranno essere felici».
 Ermes Ronchi, commento alle lettura del Vangelo del 30 dicembre 2012, in Avvenire del 27/12/2012

Agli educatori

Da Segno nel mondo di novembre (rivista quindicinale dell’Azione Cattolica) Angelo Petrosino, maestro e scrittore per bambini,  offre alcuni suggerimenti a me e a tutti quelli che, per “mestiere” o per ruolo naturale sono chiamati ad educare. In fondo l’educazione non richiede chissà quali tecniche, ma passione, interesse e soprattutto amore.

«Se nei loro confronti abbiamo l’empatia necessaria che si ha verso coloro che amiamo e nel cui futuro crediamo, allora dobbiamo cambiare alcuni dei nostri atteggiamenti. Dobbiamo mettere meno rassegnazione, meno sentimenti di impotenza e di indifferenza in quello che facciamo. l bambini hanno bisogno di avere accanto adulti curiosi, interessati, appassionati. Persone che non si abbandonino al cinismo corrente, alla tentazione di demandare tutto agli altri e che non rinuncino a essere protagoniste della loro vita. A scuola ho sempre combattuto la routine, la monotonia, la ripetitività delle proposte. Ho ascoltato, ho cercato di capire, non ho mai lusingato il narcisismo di nessuno, ma ho sempre incoraggiato tutti a dare il meglio di sé. Ogni bambino contava nella sua interezza per me. Quando i bambini capiscono questo, sono disposti a seguirti e ad affrontare difficoltà che richiedono impegno e fatica. Lo stesso dovrebbe avvenire in casa. Bisogna trovare il tempo necessario per stare insieme, per ascoltare, per suggerire, senza rinunciare al proprio ruolo di adulti, evitando di fare gli amici dei propri figli. Non bisogna lasciarli con se stessi, ma nemmeno schiacciarli con richieste esagerate che non potranno soddisfare. Educare i bambini e farsi educare da loro, insomma».