Oggi 9 maggio: Sophie e Rosario

Il 9 maggio si celebra il centenario della nascita di Sophie Scholl, vittima del nazismo a 22 anni nel 1943. Per l’occasione è stata pubblicata una grafic novel dal titolo “Sophie, ragazza d’Europa”, disegnata da Giorgio Romagnoni, in cui due ventenni di oggi dialogano con lei. L’originale prodotto di 16 tavole, edito dal settimanale diocesano Vita Trentina e diffuso anche dal settimanale La Difesa del Popolo di Padova, è stato condiviso anche dall’associazione Rosa Bianca con il contributo di Paolo Ghezzi, studioso di Sophie Scholl: “Questa ragazza può essere sentita come una nostra contemporanea e il linguaggio del fumetto potrà spingere tanti giovani ad appassionarsi dei grandi amori di Sophie: la libertà, la giustizia, la fraternità… ”.

Oggi, 9 maggio, la Chiesa dichiarerà beato il giudice Rosario Angelo Livatino, ucciso dalla mafia, come don Pino Puglisi. 

Una giovane donna ed un giovane uomo trucidati da un sistema perverso (il regime nazista per la prima, l’illegalità e la prepotenza della mafia per il secondo) che non ha a cuore il bene dell’uomo. 
“Picciotti, che cosa vi ho fatto?” sono le ultime parole pronunciate dal giudice Livatino, come ci è stato riferito da uno dei killer. Perché la Chiesa lo ha proclamato beato? Perché Rosario sentiva un fortissimo bisogno di camminare sotto lo sguardo di Dio, consapevole della gravità del compito che aveva, che era quello di giudicare. Il rendere giustizia, era per lui dedizione a Dio, preghiera.
Ideatori e mandanti vollero mettere a tacere per sempre un uomo e un magistrato che incarnava, nella sua professione, il suo ideale di fede e di giustizia. Livatino era consapevole di rischiare la vita e per questo decise di non contrarre matrimonio e di non coinvolgere in un ipotetico agguato degli innocenti. Era un uomo che cercava la normalità del bene e aveva fatto voto di “camminare sempre sotto lo sguardo del Signore”.
Come vedete, è possibile opporsi a quella che qualcuno ha chiamato la “banalità del male”. Tanto nella scelta di Sophie che in quella di Rosario ha contato moltissimo la fede in un Dio che desidera incontrarci per aiutarci a vivere come persone belle, vere, giuste. 
Il giudice Livatino fu chiamato il giudice ragazzino, perché quando morì a 38 anni, per mano di quattro killer e per ordine della Stidda la mafia agrigentina, era il più giovane dei 27 magistrati uccisi in ragione del loro servizio dalla mafia o dai terroristi. 
Anche su di lui, per dare possibilità ai più giovani di conoscerne la storia, è stato realizzato un volume a fumetti.

 

Leggeri sì, ma non superficiali

Ve lo confesso: una delle cose che più non sopporto è la superficialità. Con questo non voglio dire che non c’è spazio per la leggerezza. Ma un conto è la leggerezza è altra cosa è la superficialità. 
Italo Calvino, in Lezioni americane, scrive: 
Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. […] La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume [ndr Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma]. 

Associo la superficialità al non pensare. Mi sembra purtroppo che in questo momento sia un atteggiamento un po’ troppo presente. 
 Ascoltate, da questo passaggio del film “Hannah Arendt”, di cosa sono capaci le persone che preferiscono la superficialità del non pensare.

 

Per la Giornata della Memoria

L’altro giorno una collega di religione mi chiede se ho da suggerirle qualcosa per la Giornata della Memoria. Guardando nel blog ho visto che c’erano diverse risorse a cui attingere. Ho pensato, allora, di raccoglierle in un linoit, aggiungendo altre risorse che avevo trovato, ma sulle quali non avevo costruito un post. L’ho condivido. Si tratta comunque di un work in progress, perché la memoria va sempre stimolata e arricchita per non andare perduta. E il Mondo ha bisogno di non perdere la memoria, perché il rischio che il passato ritorni è sempre presente. Cliccare sull’immagine.

Juniò

Non aveva mai pianto Juniò.
Quando fu costretta a separarsi da lui, la mamma gli disse che avrebbe dovuto essere forte. Aveva sopportato di non avere più un padre. Adesso doveva farsi forte perché la mamma e la gemellina se ne andavano e le loro vite si sarebbero dovute dividere. Separarsi per provare a salvarsi. Ma Juniò è stato forte. E lo era ogni volta che doveva mettersi in posa per farsi scattare una foto e inviarla alla mamma nel frattempo giunta in Italia su un barcone. Juniò sorrideva e la rassicurava. A 7 anni doveva dimostrare di saper mantenere le promesse. Che non si sarebbe fatto vincere dal più straziante degli abbandoni.
Pensate, sette anni. L’età dei giochi, della mamma che praticamente ti fa tutto, l’età anche dei capricci. Juniò ha dovuto invece dimostrare di essere grande ed è ritornato bambino quando ha potuto riabbracciare la mamma e la sorella.
Vi propongo quanto scrive Nello Scavo su AVVENIRE dell/8 luglio 2020
La mamma non ha mai perso la speranza. Diceva di conoscere quel suo ragazzo, che seppur bambino Juniò non è tipo da darla vinta ai cattivi. Lì a Zawyah, le autorità internazionali stavano facendo il possibile per riuscire a tirarlo fuori. Unhcr-Acnur, Oim, erano finalmente riuscite a rintracciarlo in un casolare non lontano dal centro di prigionia ufficiale, quello del guardacoste-trafficante Bija e di suo cugino Osama, il padrone della vita e della morte dei migranti internati. Nel pieno degli scontri armati, con violente faide interne alle milizie, Juniò era scomparso insieme alla donna che lo accudiva e con la neonata di lei.
Settimane dopo dalla Sea Watch una migrante è riuscita a mettersi in contatto con la mamma di Juniò: «Siamo salvi, dicono che ci porteranno in Italia ». Così, grazie al team di Sea Watch, è stato possibile mettere a confronto le foto del bambino a bordo con quelle che la mamma di Juniò aveva fatto avere ad Avvenire: nessun dubbio che si trattasse di lui. A quel punto grazie al lavoro incessante della Croce rossa italiana, che ha preso in carico Juniò sulla nave quarantena Moby Zazà, e l’impegno delle autorità territoriali in Sicilia, è stato possibile stabilire il riconoscimento formale e avviare il ricongiungimento mentre a Capo Rizzuto il direttore del centro di permanenza, Mario Siniscalco, insieme al personale non ha mai lasciato da sola la donna con la figlia avviando tutte le procedure per riunire la famiglia.
Entrambi i bambini sono già stati iscritti a una scuola elementare di Roma, e per loro si profila un futuro finalmente più sereno. La scrittrice Caterina Bonvicini, che si trovava a bordo della Ocean Viking quando la mamma e la sorellina del bambino ivoriano furono salvate, si farà carico con il marito, il giornalista Riccardo Chiaberge, di accogliere e accompagnare la famiglia nel cammino d’inserimento in Italia.
Una storia a lieto fine che ha rischiato molte volte in queste settimane di avere un epilogo drammatico: prima l’abbandono forzato in Libia, poi l’attraversamento del Mediterraneo, con il rischio di venire catturati da una motovedetta libica e portati stavolta nel campo di prigionia di Zawyah.
Da gennaio di quest’anno sono almeno 1.500 i migranti intercettati in mare, respinti verso la Libia e di cui si sono perse le tracce. Secondo gli ispettori delle Nazioni Unite anche i bambini non di rado sono vittime di soprusi e vessazioni. Juniò è salvo, la sua famiglia è tornata insieme. Ma per centinaia di Juniò, in Libia, le storie non hanno alcun finale.

Abbiamo visto cose…..

Il replicante Roy Batty, nel film di fantascienza Blade Runner del 1982, diceva: «I’ve seen things you people wouldn’t believe…».
Nella lunga Quaresima di questo 2020, anche noi abbiamo visto cose che non avremmo mai immaginato di dover vedere.
Come ne usciremo? Io vorrei che custodissimo queste immagini, non per continuare a farci del male o per una sorta di compiacimento dello straordinario o del macabro, ma per ricordarci che la vita va apprezzata, che la superficialità va bandita in ogni dove, che “tutto andrà bene” se saremo capaci di fare squadra e di non lasciarci guidare dall’orgoglio e dalla superbia.
Papa Francesco lo ha detto e lo sta dicendo in tutte le salse, che il mondo deve riscoprire la solidarietà, l’attenzione per i bisognosi, la cura della Terra.
Vi lascio un suo pensiero, tratto dal momento di preghiera per l’umanità tenutosi in una piazza san Pietro terribilmente vuota, ma straordinariamente piena del palpitare dei cuori di tantissime persone.


Czeslawa Kwoka, morta a 15 anni

Quando i tuoi occhi incontrano gli occhi del’altro come fai a non riconoscervi te stesso?
Non sto vaneggiando, ragazzi, ma non faccio altro che ripetere, questa volta in modo diverso, quanto diceva la canzone con cui abbiamo aperto l’anno scolastico. Ricordate? “Io sono l’altro” è il brano di un cantautore italiano che, in un certo senso, sta facendo da sfondo a tutte le proposte dell’ora di religione di questo anno scolastico.
“L’altro” che oggi vi propongo è una persona reale: una ragazzina poco più grande di voi.
Una ragazza poco più grande, al tempo della foto, anche di Liliana Segre, che già conosciamo e che allora di anni ne aveva tredici (come molti di voi, oggi).
Le cronache di questi giorni continuano, purtroppo, a raccontarci di intimidazioni, minacce e commenti indegni rivolti alla signora Segre, come se la barbarie di allora non avesse rinunciato ad appestare i pensieri di tanta gente.
Come si fa, guardando gli occhi di questa ragazza, a rimanere indifferenti?


CZESLAWA KWOKA – MORTA AD AUSCHWITZ A 15 ANNI. 
Non tutti i volti dei prigionieri, immortalati nelle fotografie durante il periodo di internamento nei campi di sterminio, hanno un nome. Anche se vogliamo ricordarli comunque, uno a uno. Queste fotografie, però, appartengono a una bellissima ragazza di 15 anni; Czeslawa Kwoka. 
Tutto quello che ci resta di Czesɫawa Kwoka è una serie di tre scatti che la inquadrano durante la sua prigionia nel campo di sterminio nazista di Auschwitz- Birkenau. Ci arrivò nel dicembre del 1942 insieme alla madre, ci morì nel marzo 1943 (un mese dopo la mamma) e non aveva ancora 15 anni. 
In questi scatti Czeslawa guarda dritto nella fotocamera del fotografo. Il fotografo è un prigioniero, polacco: un ventenne di nome Wilhelm Brasse, il cui gesto di ribellione al nazismo fu quello di non bruciare l’archivio fotografico che aveva contribuito a creare. 
Lo sguardo si Czeslawa è forte, determinato. Ma al contempo così puro. Una straordinaria bellezza da far male. Degli occhi asciutti dalle lacrime, che aveva versato poco prima. Si nota subito, negli scatti, un graffio sul volto. La spiegazione della ferita al labbro l’ha spiegata successivamente il fotografo: «Era così giovane e terrorizzata. La ragazza non capiva perché si trovasse lì, e non riusciva a capire quello che le era stato detto. Quindi una donna Kapo’ (chiamata anche Blokowa) prese un bastone e la picchiò sul volto. Questa donna tedesca stava sfogando tutta la propria rabbia sulla ragazza. Una bella ragazza, così innocente. La ragazza pianse, ma non poteva far niente. Prima che le scattassi la fotografia, la piccola si asciugò le lacrime e il sangue dal taglio sul labbro. A dire la verità, mi sono sentito come se fossi stato colpito io stesso, ma non ho potuto interferire. Sarebbe stata un’interferenza fatale. Non potevi dir nulla» 
Fonte: pagina FB di Un ponte per Anne Frank

Non siate pecore o pecoroni (Omaggio a mio padre)

Imparare a scegliere è un’arte difficile a cui occorre allenarsi sin da piccoli. È esercizio di una libertà che ci dimentichiamo di avere ogni volta che ci “accodiamo” alla folla.
Come tante pecore seguiamo il leader del momento, che spesso è del tutto inadeguato, tanto per non sentirci diversi dagli altri. Ma siamo così sicuri che ne valga la pena? Non potremmo pensare che essere fuori da un gruppo con valori inadatti possa essere un privilegio? Si. Un privilegio. Il privilegio di pensare con la nostra testa, di non essere condizionati dalle mode di turno. È faticoso, lo so. È certamente più facile lasciarsi trasportare dalla corrente. Ma a quale prezzo? Rinunciando a essere noi stessi perderemmo la nostra autenticità e unicità. Perché siamo unici e irripetibili, non siamo cloni.
Quante volte vi dico che potete essere meglio di quel che fate vedere, specialmente quando vi nascondete tra tante altre “pecore”?
Mio padre diceva a me e ai miei fratelli che per non essere pecoroni – per lui era peggio che essere pecore – dovevamo pensare con la nostra testa e, soprattutto,non venir mai meno a valori come l’onestà e la lealtà, anche a costo di essere esclusi o non capiti. Era un militare mio padre, che aveva fatto la guerra e che non si era mai “intruppato” .  Aveva invece sempre cercato di scegliere di stare dalla parte più giusta. A casa c’è un attestato in cui lo si elogia per il servizio prestato per la Marina Americana a Napoli dopo l’armistizio.

Dobbiamo essere pronti ad andare anche controcorrente se questo significa non adeguarsi a ciò che non è bello, giusto e vero. Facciamocele, ogni tanto, queste domande: Chi sto seguendo? Quali sono i miei modelli?

Ps Sono due anni, babbo, che sei con noi in modo diverso. Spero ti abbia fatto piacere, averti ricordato così.

Difendiamo la Terra

Oggi è il giorno del Global Strike for future. Adolescenti di tutto il mondo stanno rispondendo all’appello di Greta, la sedicenne svedese che ha invitato tutti gli studenti a rivolgere il loro appello ai Grandi della Terra perché si prendano finalmente provvedimenti seri e concreti per salvare il nostro Pianeta dal riscaldamento globale.
Come partecipazione “morale” all’evento questo è quanto proporrò oggi alle mie classi.