Buddha e Gesù costruttori di pace

Oggi sentiamo con particolare intensità che la pace è un bene estremamente fragile. Abbiamo visto come ci voglia pochissimo per passare da una situazione di “normalità” ad una in cui ogni giorno ti chiedi se ci sarà un domani e come questo sarà. 
La pace non è comunque l’assenza di guerra, ma è una rivoluzione da fare nel cuore e nella mente. Richiede fiducia, dialogo, umiltà; insomma qualità di cui il nostro mondo, purtroppo😔, non abbonda. Papa Francesco, rivolto alla delegazione di autorità del Buddhismo in Mongolia (28 maggio) si è così espresso: 
La pace è oggi l’ardente anelito dell’umanità. Pertanto, attraverso il dialogo a tutti i livelli, è urgente promuovere una cultura della pace e della nonviolenza e lavorare per questo. Questo dialogo deve invitare tutti a rifiutare la violenza in ogni sua forma, compresa la violenza contro l’ambiente. Purtroppo, c’è chi continua ad abusare della religione usandola per giustificare atti di violenza e di odio. Gesù e Buddha sono stati costruttori di pace e promotori della nonviolenza.
Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). 
Perciò, «essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2017, 3). 
Il messaggio centrale del Buddha era la nonviolenza e la pace. Insegnò che «la vittoria si lascia dietro una scia di odio, perché il vinto soffre. Abbandona ogni pensiero di vittoria e sconfitta e vivi nella pace e nella gioia» (Dhammapada, XV, 5 [201]).
Sottolineò inoltre che la conquista di sé è più grande di quella degli altri: «Meglio vincere te stesso che vincere mille battaglie contro mille uomini» (ibid., VIII, 4 [103]). 
In un mondo devastato da conflitti e guerre, come leader religiosi, profondamente radicati nelle nostre rispettive dottrine religiose, abbiamo il dovere di suscitare nell’umanità la volontà di rinunciare alla violenza e di costruire una cultura di pace. 
[…] la Chiesa si impegna pienamente a promuovere una cultura dell’incontro, seguendo il suo Maestro e Fondatore il quale ha detto: “Amatevi come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). Rafforziamo la nostra amicizia per il bene di tutti.

Un ateo e il Natale

Una bellissima pagina su Maria del filosofo francese Jean Paul Sartre. 
Scrisse queste righe per il Natale del 1940, quando si trovava nel campo di prigionia di Treviri, dove rimase fino al 1941. Quanto è lontano questo testo dall’esistenzialismo senza prospettive soprannaturali di cui diverrà maestro! 
In fondo ognuno di noi ha la capacità di cogliere il soprannaturale e più che pretendere risposte dalla religione, dovremmo chiederle che ci aiuti a farci le domande giuste, quelle che ci incamminano verso il senso da dare alla vita. Da questa disponibilità l’incontro con Dio arriverà come grazia. 
Queste righe sono di una tenerezza incredibile verso la figura di Maria. E’ attraverso di lei che possiamo cogliere la meraviglia di questo Dio che si fa toccare.


«Ciò che bisognerebbe dipingere sul viso di Maria è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne e il frutto del suo ventre. L’ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio, lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là!. E si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino che mette paura. Poiché tutte le madri sono così attratte davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino che si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre, poiché egli è Dio ed oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio. Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo, che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride». 
(Jean Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono: racconto di Natale per cristiani e non cristiani)

Giuseppe Flavio e la storicità di Gesù

Uno dei più importanti documenti non cristiani che sostiene l’esistenza storica di Gesù è il “Testimonium Flavianum”, ovvero la pagina dedicata a Gesù di Nazaret dallo storico ebreo Giuseppe Flavio nell’opera “Antichità giudaiche”, scritta in lingua greca attorno al 93 d.C. 
Luciano Canfora, antichista, docente di filologia greca e latina, ha analizzato questo testo ed è arrivato alla conclusione che il Testimonium (e l’attribuzione a Giuseppe Flavio) sia autentico. Il fatto che tale affermazione venga da un intellettuale marxista molto impegnato la rende ancora più interessante. 

Prendo in prestito le parole di Antonio Socci che nel suo blog Lo straniero ha riportato questa notizia.

Perché è importante il Testimonium? 
Perché conferma l’assoluta attendibilità storica degli eventi di Gesù narrati nei Vangeli. 
Il suo autore, Giuseppe Flavio, è una personalità molto rilevante. Nasce attorno al 37 d.C., appartiene a una delle principali famiglie sacerdotali di Gerusalemme ed è imparentato con la dinastia degli Asmonei. Compie delicate missioni diplomatiche e nel 66 d.C., cominciata la rivolta contro la dominazione romana, viene nominato capo militare delle forze ribelli in Galilea. Di fronte alla sconfitta si consegna ai romani e predice al generale Tito Flavio Vespasiano che sarebbe diventato imperatore. Poi Gerusalemme fu espugnata dai romani, il Tempio distrutto e gli ebrei subirono una strage terrificante. Giuseppe non solo fu liberato dall’Imperatore, ma fu protetto e addirittura “adottato” dalla famiglia Flavia. Nella sua nuova vita di corte, a Roma, fu autore di importanti opere storiche, come – appunto – le “Antichità giudaiche” e “La guerra giudaica”, dove attribuisce la catastrofe bellica agli zeloti. 
I suoi libri sono preziose fonti di informazioni storiche sul mondo ebraico. Egli scrive – fra gli altri – di Giovanni Battista e del martirio dell’apostolo Giacomo, cugino di Gesù e capo della comunità cristiana di Gerusalemme. 
Il famoso passo su Gesù (che riporto nella versione di Canfora) è questo: 

In quel lasso di tempo appare Gesù, uomo sapiente, sempre che si debba definirlo ‘uomo’. Era infatti facitore di mirabilia, maestro di uomini: di quelli che con diletto accolgono le verità. E molti Ebrei e molti dell’elemento greco [pagano] attraeva a sé. Il Cristo lui era! E dopo che, su denuncia dei nostri notabili [primores], Ponzio Pilato l’ebbe condannato alla croce, per lo meno quelli che per primi gli si erano affezionati non smisero. A costoro riapparve infatti [come] vivo tre giorni dopo [la morte]: questo e miriadi di altre cose mirabolanti su di lui avevano detto i divini profeti. E ancora adesso non ha smesso di esistere la ‘tribù’ dei ‘cristiani’, che da lui prendono nome”. 
E’ una testimonianza clamorosa, perché conferma la storicità del racconto dei vangeli (la predicazione di Gesù, i miracoli, la crocifissione e la resurrezione), ma anche perché è scritta da una tale personalità. Giuseppe infatti era nato a Gerusalemme nel 37 in una famiglia sacerdotale che faceva parte parte dell’élite del Tempio durante i fatti di Gesù. I suoi erano stati testimoni diretti dei fatti. Lui stesso visse a Gerusalemme negli anni immediatamente successivi. Dunque nessuno come lui poteva smentire quanto era riferito nei Vangeli. Invece lo conferma in pieno. Se, dal giorno in cui si diffuse a Gerusalemme la notizia della resurrezione di Gesù di Nazaret, le autorità avessero sbugiardato i “galilei”, indicando a tutti dov’era il sepolcro contenente ancora il corpo del crocifisso, Giuseppe Flavio avrebbe scritto che la notizia della resurrezione si era rivelata falsa. Ma così non fece. E neanche riporta la versione ufficiale delle autorità del tempo (che il corpo era stato trafugato dai suoi discepoli). 
Oggi Canfora, da filologo, conferma l’attribuzione a Giuseppe Flavio di questo testo. Ritiene che vi siano solo due frasi “inserite o ritoccate tardivamente” e sarebbero: “se pure lo si può definire uomo” ed “Egli era il Cristo”. 

Il giornalista Socci contesta questa posizione affermando che
«per la prima frase si osserva che pure altrove Giuseppe usa iperboli simili riferite a grandi personalità religiose. Per la seconda frase è stato obiettato che uno scriba cristiano non avrebbe mai detto che Gesù “era” il Messia, il Cristo, ma che “è”. Quell’espressione, invece, appare coerente col pensiero di Giuseppe Flavio per il quale Gesù era un “messia sacerdotale” dei due o tre descritti in certe scritture esseniche, mentre il messia guerriero che portava la pace, secondo lui, era proprio Vespasiano. 
Tuttavia, al di là di questi dettagli (che, anche “corretti”, non cambiano la sostanza), la vera notizia è l’autenticità del Testimonium».

Come stai messo ad empatia?

Se vi dicessi che lo stile comunicativo di Gesù ha a che fare con l’empatia penso che mi guardereste perplessi. Prima di tutto vediamo cosa si intende per empatia. In qualunque dizionario trovate più o meno questa definizione:
«capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni».
A questo punto riuscirete a seguirmi meglio perché, chi più chi meno, sapete che con la sua vita, Gesù ci insegna a vedere gli altri in un modo diverso, condividendo i loro sentimenti e sostenendoli nei momenti di delusione.
Sin dal principio, i discepoli hanno potuto testimoniare la sensibilità di Gesù: la sua capacità di mettersi nei panni degli altri, la sua delicata comprensione di ciò che accade nel cuore dell’essere umano, la sua acutezza nel percepire il dolore degli altri.
Provo ad elencarvi un paio episodi in cui si coglie questo immedesimarsi di Gesù: arrivando a Nain, senza che sia stata pronunciata parola, si fece carico della tragedia della vedova che aveva perso il suo unico figlio; davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, pianse insieme a Marta e Maria.
Vi ricordo poi anche altri incontri di Gesù: Matteo, Zaccheo, la donna cananea, oppure l’adultera.
Lo sguardo di Gesù va oltre i pregiudizi, le differenze di cultura o le condotte di vita discutibili.
Non dimentichiamo però che per i cristiani Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo, che cioè ha condiviso la nostra stessa natura umana eccetto il peccato. Più empatia di così!
Lo stile comunicativo di Gesù, la sua stessa vita, testimoniano, per chi crede, l’amore di Dio, la relazione bella che Dio vuole costruire con ciascuno di noi.
Relazione ed empatia vanno, se così si può dire, a braccetto, perché non c’è empatia al di fuori di una relazione sincera con l’altro. Per essere più chiara vi faccio vedere questo video.

 

E’ il legame che costruiamo con gli altri che fa di noi delle persone più o meno empatiche.
Certo, non si è empatici se siamo concentrati in noi stessi, egoisti e invidiosi, pronti a giudicare e condannare.  A volte pur essendo empatici facciamo fatica ad esprimerci per timidezza e insicurezza. D’altro canto l’espansività non è automaticamente segno di empatia. L’empatia richiede delicatezza e capacità di vedere il bene anche dove sembra non ci sia. In fondo, proprio come faceva Gesù.
Vi propongo un test, tanto per riflettere sui nostri atteggiamenti. Come tutti i test non si tratta di dare un giudizio, ma di offrire un’occasione per acquisire consapevole dei nostri punti di forza o di debolezza.
Cliccando sull’immagine potete accedere al test.

Cristo, speranza che non delude

«Noi cristiani crediamo e sappiamo che la Risurrezione di Cristo è la vera speranza del mondo, quella che non delude. È la forza del chicco di grano, quella dell’amore che si abbassa e si dona fino alla fine, e che davvero rinnova il mondo. Questa forza porta frutto anche oggi nei solchi della nostra storia, segnata da tante ingiustizie e violenze. Porta frutti di speranza e di dignità dove ci sono miseria ed esclusione, dove c’è fame e manca il lavoro, in mezzo ai profughi e ai rifugiati – tante volte respinti dall’attuale cultura dello scarto –, alle vittime del narcotraffico, della tratta di persone e delle schiavitù dei nostri tempi».
(papa Francesco Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2018)

L’attesa messianica

Una presentazione in ppt per comprendere quali erano le caratteristiche del messia atteso ai tempi di Gesù. Ragazzi di prima, adesso tocca a voi: raccogliete informazioni per condividerle a scuola.

.