Non c’è gioia senza amore

Cari amici, la gioia è intimamente le­gata all’amore: sono due frutti inseparabili dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). L’amore produce gioia, e la gioia è una forma d’amore.(…)
Pensando ai vari ambiti della vostra vi­ta, vorrei dirvi che amare significa co­stanza, fedeltà, tener fede agli impe­gni. E questo, in primo luogo, nelle a­micizie: i nostri amici si aspettano che siamo sinceri, leali, fedeli, perché il vero amore è perseverante anche e soprattutto nelle difficoltà. E lo stes­so vale per il lavoro, gli studi e i servizi che svolgete. La fedeltà e la perse­veranza nel bene conducono alla gioia, anche se non sempre questa è immediata.
Per entrare nella gioia dell’amore, sia­mo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il mi­nimo, ma ad impegnarci a fondo nel­la vita, con un’attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo ha necessità di uomini e donne competen­ti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d’ora al servizio del prossimo. Cercate il modo di con­tribuire a rendere la società più giu­sta e umana, là dove vi trovate. Che tutta la vostra vita sia guidata dallo spirito di servizio, e non dalla ricerca del potere, del successo materiale e del denaro.(…)
(Benedetto XVI ai giovani, nel messaggio per la GMG 2012)

E’ risorto!

L’evento della risurrezione.
Cliccate sull’immagine.


E con un ramo di mandorlo in fiore,
a le finestre batto e dico: «Aprite!
Cristo è risorto e germinan le vite
nuove e ritorna con l’april l’amore
Amatevi tra voi pei dolci e belli
sogni ch’oggi fioriscon sulla terra,
uomini della penna e della guerra,
uomini della vanga e dei martelli.
Aprite i cuori. In essi irrompa intera
di questo dì l’eterna giovinezza ».
Io passo e canto che la vita è bellezza.
Passa e canta con me la primavera.
Felice Pasqua
Ada Negri

i due catini

Due catini attirano in questi santi giorni la mia attenzione e mi rendono pensoso. Il primo è nelle mani del figlio di Dio la sera della cena con i Dodici. Il secondo servì a Pilato per mettersi al riparo dalle sue responsabilità e dalla sua coscienza.
Gesù sta per essere tradito. Tra poco sarà arrestato e condannato a morte.
Lui lo sa. Il tempo stringe. Eccolo allora chiedere ai suoi amici di lasciarsi lavare i piedi. Qualcuno si ribella. Lui insiste. Si china e versa acqua sulle loro polverose estremità.
Poi prende il catino e glielo consegna: “Come ho fatto io dovete fare voi se volete essere felici e rendere più bello il mondo. Se volete che la terra somigli un poco al paradiso. Servire è il verbo che dovete coniugare in tutti i modi e in tutti i tempi. Non sono le parole a toccare i cuori, ma l’amore. Gridate agli uomini che Dio li ama. Amare sempre è faticoso, ma possibile. Si muore dentro, è vero, ma se il seme non marcisce non ci sarà pane da mangiare né da consacrare. L’amore è il fondamento del mondo nuovo. Il catino. Tenetelo caro come l’oggetto più prezioso. Vi ricorderà la vostra missione e la vostra grandezza. Non abbiate paura, non sarete mai soli. Sempre vi terrò compagnia”.
Un altro uomo compare all’orizzonte. È il procuratore romano Pilato. La sua storia è destinata a intrecciarsi con quella di Gesù. I giudei glielo hanno consegnato perché lo condanni a morte. Pilato sa bene che un sopruso: quell’uomo è innocente. Il suo dovere gli imporrebbe di rimetterlo in libertà. Ma la folla lo intimorisce. Lo incita a fare in fretta. Gesù gli sta davanti sereno, maestoso. Lui è altezzoso, irascibile, insicuro. Lo interroga, senza mai guardarlo negli occhi limpidi come l’acqua di sorgente. Gesù tace. La gente grida.
Bestemmia. Minaccia. Pilato si arrende. Davanti a tanta cocciutaggine cede. “Facciano quel che vogliono – pensa – seguano pure la loro arcaica religione e le sue leggi. Mi lascino in pace. Non voglio impelagarmi in questa storia”. Poi anche lui fa ricorso a un catino. Non gli serve per raccogliere l’ acqua versata sui piedi di qualcuno, ma per lavare le proprie mani. Per convincere la folla, il condannato e se stesso di non avere colpa del sangue che sta per essere versato. Porge le mani e qualcuno, ossequioso, gliele bagna.
Illuso. Nessuno può far finta di non vedere quando invece ha visto; di non sapere quando ha già saputo. Pilato non sa che quell’acqua non lo laverà ma lo accuserà per sempre. Lo marchierà a fuoco.
Due uomini. Il primo accetta di morire in croce per tutti, anche per il secondo, ma l’altro non lo sa. Il secondo crede di avere potere sul primo e invece è proprio da lui che lo riceve. Due catini, così simili, così diversi. Ognuno deve scegliere quale dei due mettere nella bisaccia della vita: se il catino del servizio e dell’amore o quello della codardia che si fa complice del male. A ogni uomo è data la libertà di consegnarsi alla gioia vera che nasce dal servire e dal donare, o cedere all’illusione del piacere effimero del disimpegno e dell’egoismo. Ognuno deve scegliere se fermarsi davanti al fratello nel bisogno o svoltare al primo incrocio, nascondersi dietro la prima siepe.
Tanti svoltano. Prima di essere visti e chiamati a dare il proprio contributo.
Per paura di essere arsi dalla febbre della giustizia e della solidarietà. Altri – e sono un popolo che non finisce mai – vanno dritti per la strada tracciata dal Maestro. Sanno che non sempre è agevole, che potrebbe portarli a donare tutto e la loro stessa vita, ma non vogliono tirarsi indietro.
Come ammanettati all’unico Signore di cui non possono assolutamente fare a meno, si incamminano felici per le strade del mondo. Nel bagaglio lo stesso catino usato da Gesù la sera benedetta di tanti anni fa.

MAURIZIO PATRICIELLO in Avvenire del 6 aprile 2012

Le prove della vita

Le prove della vita non sono una punizione divina, è un errore ritenerle condanna, se il Padre permette il disagio è per garantire al giusto di superare il prossimo inciampo. Quanto si impara dalle dure esperienze e quanto peccato conserva il non saperle dirigere verso il futuro. Se nell’ora della prova riesco a gridare: «Padre nelle tue mani affido il mio spirito», se consegno quell’ora nelle braccia di Dio, allora ogni prova, anche l’estrema, diventa spazio per imparare a vivere, per organizzare futuro.
Gennaro Matino, Buongiorno vita, su Avvenire del 17/03/2012

Il tempo

Essendo il tempo
il bene più prezioso che ci sia dato,
perché il meno recuperabile,
ogni volta che
ci voltiamo indietro a guardare
ci rende inquieti l’idea del tempo
eventualmente perduto.
Perduto sarebbe il tempo
in cui non avessimo vissuto da uomini,
non avessimo fatto esperienze,
imparato, operato, goduto e sofferto.
Tempo perduto è
il tempo non riempito, vuoto.
La Parola di Dio reclama il mio tempo.
Dio stesso è entrato nel tempo,
e vuole che io gli dia il mio tempo.
Essere cristiani
non è questione di un attimo
ma richiede tempo.

Dietrich Bonhoeffer

Il futuro appartiene ai curiosi

Essere curiosi (non “impiccioni”) vuol dire non dare per scontato nulla e mantenere la capacità di stupirsi. Una buona dose di curiosità è alla base di ogni apprendimento. E’ difficile imparare ciò che è al di fuori del nostro interesse. Con questo non intendo certo offrirvi una scusa per non impegnarvi nello studio (“sa, proff, questa cosa non mi interessa…”), ma farvi riflettere su quanto sia deleterio un atteggiamento troppo disincantato e chiuso ad ogni tipo di “solletichio” alla vostra curiosità. Datevi il tempo di capire se l’argomento che vi viene proposto possa o meno interessarvi, non chiudete subito le porte alla curiosità.
Il futuro appartiene ai curiosi, dice il video che vi propongo. La curiosità è la prerogativa dei cacciatori di tesori!