Leggeri sì, ma non superficiali

Ve lo confesso: una delle cose che più non sopporto è la superficialità. Con questo non voglio dire che non c’è spazio per la leggerezza. Ma un conto è la leggerezza è altra cosa è la superficialità. 
Italo Calvino, in Lezioni americane, scrive: 
Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. […] La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume [ndr Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma]. 

Associo la superficialità al non pensare. Mi sembra purtroppo che in questo momento sia un atteggiamento un po’ troppo presente. 
 Ascoltate, da questo passaggio del film “Hannah Arendt”, di cosa sono capaci le persone che preferiscono la superficialità del non pensare.

 

Se Alexéi per studiare si arrampica su un albero

L’altro giorno, durante i consigli di classe, alcuni genitori facevano notare che tenere le finestre aperte in aula avrebbe forse salvato i loro figli dal covid, ma non dalla bronchite. Purtroppo le aule scolastiche non hanno sistemi di filtraggio dell’aria e stare in 25, 26 e più in un’aula non è il massimo. E’ anche vero che questa epidemia sta mettendo a dura prova i nervi di tutti, però si dovrebbe cercare un po’ di equilibrio, soprattutto se pensiamo a chi è messo in condizioni peggiori di noi. Ho letto su Avvenire di qualche giorno fa la storia di un ragazzo che, per seguire le lezioni non solo rischia la bronchite, ma anche di rompersi l’osso del collo. 
Da Avvenire del 26/11/2020, articolo di LUCIA CAPUZZI 

Il tragitto dalla casa all’aula è di 308 metri. Una distanza minima in apparenza. Se non fosse che gli ultimi otto metri sono da percorrere in verticale. Tanta è l’altezza dell’albero di betulla che, ogni giorno, Alexéi Dudoladov deve scalare con il cellulare in tasca per scaricare i materiali delle lezioni online e sperare di connettersi su zoom, fin quando non cade la linea. 
Con la facoltà di Ingegneria meccanica navale chiusa dalla fine di ottobre – come le altre – a causa del Covid, il ventunenne non ha altro modo per tenersi al passo con il programma. Nel suo villaggio, Stankevichi – un pugno di case dove risiede una cinquantina di abitanti, nel cuore della steppa siberiana –, Internet va a singhiozzo.
Alexéi lo ha fatto più volte presente agli insegnanti, ma questi ultimi pensavano esagerasse. Appena duecento chilometri separano la comunità da Omsk, dove si trova l’Istituto del trasporto acquatico che frequenta. Ma la “distanza digitale” tra i due punti è siderale. I russi che vivono in aree rurali hanno meno di un decimo di possibilità di accesso alla rete rispetto a quanti abitano nelle città. In zone remote e povere come la Siberia, la percentuale si riduce ulteriormente e in modo drastico. 
Per incrementare il segnale, sarebbe sufficiente un amplificatore portatile. Il suo costo – l’equivalente di 88 euro – corrisponde, però, a due terzi del salario minimo. Una somma inarrivabile per la famiglia Dudoladov. Alexéi, però, non si è dato per vinto. Era arrivato da poco a Omsk quando ha dovuto fare ritorno al villaggio per la chiusura dell’ateneo. Da ottobre, la Russia è stata sferzata dalla seconda ondata della pandemia. […] Per arginare il contagio, le autorità regionali hanno chiuso le aule. Le lezioni sono proseguite sul Web. 
Per non perdersele, Alexéi ha cercato l’unico punto in cui riesce a prendere il segnale: la cima della betulla. Così, nonostante la temperatura ben al di sotto dello zero, percorre i 300 metri fino all’albero, poi si arrampica fra i suoi rami, connette il telefono e scarica il più possibile. Non solo. Il ragazzo ha anche deciso di filmare la scena e pubblicarla – sempre dall’alto dell’albero – su TikTok e Instagram, in modo da denunciare l’isolamento in cui si trovano molte località siberiane. In breve, i video sono stati visti da oltre 2,5 milioni di utenti. 
La Russia e il resto del mondo hanno conosciuto la storia di Alexéi. Perfino il governatore di Omsk, Alexander Burkov, si è occupato della questione, promettendo di risolvere il problema senza specificare, però, come e quando. Al momento, il giovane è solo riuscito ad ottenere un programma accademico personalizzato. Non è, però, soddisfatto. «Non è un problema solo mio. Per quanto tempo ancora i ragazzi dei villaggi dovranno continuare a salire sui tetti o sugli alberi per poter studiare? ». Cartina di tornasole di molti nodi sociali irrisolti, il Covid ha acceso i riflettori sugli “isolati digitali”. Il 53 per cento della popolazione del globo è connessa a Internet. La media, però, si basa su un mix di due estremi. Nel Nord del pianeta, gli esclusi dalla rete sono meno del 15 per cento. In Africa subsahariana sono oltre l’80 per cento. In America Latina sfiora il 60 per cento. Non a caso, in queste regioni è la radio la principale fonte di informazione. Ed è stato anche lo strumento più impiegato per garantire qualche forma di istruzione a distanza. 
Uno studio dell’Unicef, sottolineava l’esclusione dal circuito scolastico di uno studente su tre del pianeta a causa della mancanza di connessione: almeno 463 milioni di bambini su un totale di 1,5 miliardi. Tre quarti di loro vive in zone rurali. 
«Si tratta di un’emergenza educativa globale, le cui ripercussioni sulle società e le economie potrebbero pesare per decenni», ha spiegato Henrietta Fore, direttore esecutivo di Unicef. Gli ostacoli tecnici non sono, però, gli unici. 
La pandemia rischia di tagliare definitivamente fuori dalle classi quasi il 2 per cento della popolazione scolastica mondiale, condannata al lavoro schiavo o ai matrimoni forzati. 

Carlo Acutis

Domenica prossima, ad Assisi, verrà beatificato Carlo Acutis. Chi era? 
Nato nel 1991, è morto nel 2006 per una leucemia fulminante. Devoto in particolare alla Madonna, aveva creato vari siti web e una mostra sui miracoli eucaristici.
Ve lo presento attraverso le parole della mamma, Antonia Salzano. 
“Quando il 23 gennaio si eseguì la ricognizione canonica sulle spoglie mortali del giovanissimo servo di Dio, la sua salma fu trovata intatta. «Io stavo lì, mio marito non volle vedere. Era ancora il nostro ragazzone, alto 1,82, solo la pelle un po’ più scura, con tutti i suoi capelli neri e ricci. E lo stesso peso, quello che si era predetto da solo». 
«Pochi giorni dopo il funerale, all’alba fui svegliata da una voce: “Testamento”. Frugai in camera sua, pensavo di trovarvi uno scritto. Nulla. Accesi il pc, lo strumento che preferiva. Sul desktop c’era un filmato brevissimo che si era girato da solo ad Assisi tre mesi prima: “Quando peserò 70 chili, sono destinato a morire”. E guardava spensierato il cielo». Entrò in coma alle 14 dell’11 ottobre 2006, con il sorriso sulle labbra. Credevamo che si fosse addormentato. Alle 17 fu dichiarata la morte cerebrale, la mattina del 12 quella legale. Avremmo voluto donare i suoi organi, ma non fu possibile, ci dissero che erano compromessi dalla malattia. Un bel paradosso, perché il cuore, perfetto, ora sarà esposto in un ostensorio nella basilica papale di San Francesco ad Assisi». 
In che modo Carlo scoprì la fede? 
«Non certo per merito di noi genitori, lo scriva pure. In vita mia ero stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non è che la domenica andasse a messa». 
«Un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla. Ma c’era in lui una predisposizione naturale al sacro. A 3 anni e mezzo mi chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all’eucaristia a 7 anni, anziché a 10». «Lo lasciammo libero. Ci pareva una cosa bella, perciò chiedemmo una deroga. Per me fu una “Dio-incidenza”. 
Carlo mi salvò. Ero un’analfabeta della fede. Mi riavvicinai grazie a padre Ilio Carrai, il padre Pio di Bologna, altrimenti mi sarei sentita screditata nella mia autorità genitoriale. È un percorso che dura tuttora. Spero almeno di finire in purgatorio». 
Carlo fu precoce in tutto. Era un mostro di bravura. A 6 anni già padroneggiava il computer, girava per casa con il camice bianco e il badge “Scienziato informatico”. A 9 scriveva programmi elettronici grazie ai testi acquistati nella libreria del Politecnico». 

«I promotori della causa di beatificazione hanno analizzato in profondità la memoria del suo computer con le tecniche dell’indagine forense, senza riscontrare la minima traccia di attività sconvenienti. Sognava di adoperare il pc e il web per diffondere il Vangelo. Papa Francesco nella “Christus vivit” cita Carlo come esempio per i giovani. “Sapeva molto bene”, spiega, “che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati”, ma lui ha saputo uscirne “per comunicare valori e bellezza”. 
Il suo sguardo spaziava ben oltre Internet». «Fino alle mense dei poveri, quelle delle suore di Madre Teresa di Calcutta a Baggio e dei cappuccini in viale Piave, dove prestava servizio come volontario. La sera partiva da casa con recipienti pieni di cibo e bevande calde. Li portava ai clochard sotto l’Arco della Pace, per i quali con i risparmi delle sue mance comprava anche i sacchi a pelo. Lo accompagnava il nostro cameriere Rajesh Mohur, un bramino della casta sacerdotale indù, che si convertì al cattolicesimo vedendo come Carlo aiutava i diseredati».
Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe salito all’onore degli altari? 
«Ero certa che fosse santo già in vita. Fece guarire una signora da un tumore, supplicando la Madonna di Pompei.Quello che lo farà proclamare beato accadde in Brasile nel settimo anniversario della morte, il 12 ottobre 2013, a Campo Grande. Matheus, 6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti solidi. Padre Marcelo Tenório invitò i parrocchiani a una novena e appoggiò un pezzo di una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominciò a mangiare. La Tac dimostrò che il suo pancreas era divenuto identico a quello degli individui sani, senza che i chirurghi lo avessero operato. Una guarigione istantanea, completa, duratura e inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche». 
Tratto da https://notizieh24.eu/antonia-salzano-il-miracolo-di-carlo-acutis-mio-figlio-morto-15enne-di-leucemia-un-santo-per-il-web/
Vi lascio anche un video con le sue immagini.
 

La scelta tra ignoranza e verità

 
Scegliete l’ignoranza o la verità? 
Scegliere di incamminarsi verso la verità vuol dire lasciarsi incuriosire, sentirsi provocati ad abbandonare le false certezze, percorrere sentieri a volte faticosi. Tanto più abbandoniamo l’ignoranza, tanto più potremmo essere liberi dal pregiudizio, perché la cultura ci offre gli strumenti per comprendere la realtà e per imparare a pensare con la nostra testa. 
Scegliendo l’ignoranza si fa sicuramente meno fatica, ma la libertà che pensiamo di aver conquistato sarà fasulla. Pensate ai terrapiattisti o ai “non ce n’è coviddi”; ma veramente, si può nel 2000 e passa rinchiuderci in un pensiero che rifiuta la storia, la scienza, il progresso? L’ignoranza ci porta alla paura e a vedere complotti dappertutto. La cultura ci dà invece gli strumenti per farci le domande giuste, per dubitare in modo logico e per cercare risposte. La conoscenza dovrebbe anche renderci umili perché, come diceva Socrate, “so di non sapere”.
Tutto questo per dirvi che la scuola è importante, non solo per la socialità, ma anche perché ci stimola a pensare, a farci domande e a cercare risposte, a vincere la pigrizia che è una tentazione continua.
Diceva Victor Hugo che chi apre una scuola chiude una prigione e don Milani vedeva nella scuola uno
strumento di elevazione e giustizia sociale.

E adesso? un messaggio alle classi terze

Sabato scorso abbiamo concluso le iniziative legate all’Orientamento con un evento che ha visto coinvolti voi e i vostri genitori. Mentre ci salutavamo, alcuni  mi hanno chiesto: E adesso prof?
Vi lascio un video che si ispira alle ultime parole del libro “va’ dove ti porta il cuore” di Susanna Tamaro. Credo che, a questo punto, non resti che fare così. ☺️