Una piaga aperta

«La tratta degli esseri umani richie­de una risposta forte, fondata sulla assistenza e la protezione delle vit­time, l’applicazione rigorosa delle norme della giustizia penale, insie­me a una regolamentazione delle politiche migratorie e del mercato del lavoro», sostiene Yury Fedotov, vicesegretario generale dell’Onu e direttore esecutivo dell’Undoc, l’a­genzia contro la criminalità e il traf­fico di droga. L’allarme è confermato dal ‘Rap­porto Globale sulla tratta delle per­sone 2012’, recentemente ultima­to dall’Ufficio Onu di Vienna. Il dos­sier indica una riduzione comples­siva dell’età media delle vittime, re­gistrando un aumento del traffico di minori, finalizzato al lavoro forza­to e alle più bieche forme di sfrut­tamento, come l’accattonaggio e l’imprigionamento nei locali per pedofili. Due terzi di tutti i mino­renni schiavizzati sono bambine avviate allo sfruttamento sessuale. La stragrande maggioranza delle persone rivendute dai moderni ne­grieri sono donne, che rappresen­tano dal 55 al 60 per cento delle schiave rilevate a livello globale. Tut­tavia, la percentuale totale di don­ne adulte e ragazze minorenni rag­giunge in alcune aree (come i Pae­si Arabi e il sudest asiatico) il 75 per cento del totale.

Da Avvenire del 3 aprile 2012

La libertà

E se la libertà consistesse nella possibilità di rendere il mondo migliore? Non è detto che fare quello che ci piace migliori la nostra vita e quella degli altri. Anzi. Il più delle volte il dare sfogo ai nostri istinti genera mostri, lascia macerie intorno a noi e dentro di noi.
La “verità vi farà liberi” (Giovanni 8,31-42) ha detto Gesù. Cosa intenedeva dire?
Forse che la libertà non è il fare quello che si vuole, ma il volere ciò che è vero con la propria intelligenza, volontà, capacità di decidere?
Quante volte agiamo più per convenienza che secondo la verità che conosciamo? Quante volte preferiamo le “scorciatoie” piuttosto che le soluzioni più difficili ma che sentiamo giuste e vere? Quante volte ancora preferiamo l’opinione della maggioranza piuttosto che interrogarci sul bene e sul male? Per non parlare delle molte volte in cui preferiamo non farci domande e agire così, come viene.
Sant’Agostino dopo una vita assai dissoluta ha dovuto faticare molto per trovare la libertà, ossia per spezzare le catene delle sue cattive abitudini e della passione carnale. Dopo la conversione scrisse con convinzione: “Oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui serviamo la legge del peccato siamo schiavi” (Commento al Vangelo di Giovanni, tratt. 41, 10; cfr CCC, 1733).
La Verità di cui parla Gesù non è un concetto o una dottrina. E’ nell’incontro con la sua persona che scopriamo la verità su Dio e sull’uomo.
Gesù, come ha detto Benedetto XVI, «ci aiuta a sconfiggere i nostri egoismi, ad uscire dalle nostre ambizioni e a vincere ciò che ci opprime. Colui che opera il male, colui che commette peccato, è schiavo del peccato e non raggiungerà mai la libertà . Solo rinunciando all’odio e al nostro cuore indurito e cieco, saremo liberi, ed una nuova vita germoglierà in noi» (omelia di Mercoledì, 28 marzo 2012, a Cuba).
La libertà che ci offre Gesù ci libera veramente, e fa di noi dei liberatori a nostra volta.
Perché, quando sperimenti l’amore di Dio che vuole fare di te una creatura nuova, non puoi rimanere indifferente di fronte alle tante schiavitù che vengono proposte, se non a volte, imposte (denaro, successo, potere, ecc).
Vi lascio questo video.

Il pane della libertà (Pesach)

Continuiamo il nostro “viaggio” alla scoperta dell’ebraismo, entrando in una casa romana in occasione del Seder di Pesach. La famiglia è intorno alla tavola in festa per leggere e celebrare il racconto dell’uscita degli ebrei dall’Egitto, con canti e cibi simbolici. Un rito che, di generazione in generazione, celebra la libertà e rafforza l’identità del popolo ebraico.
Cliccare sull’immagine.

Ecumenismo: dialogo per l’unità

La storia del cristianesimo è popolata di grandi testimonianze di fede ma anche di fratture. Molto profonda quella che si consumò nel XVI secolo portando alla Riforma protestante.
Anche se le sue radici andrebbero ricercate nei secoli precedenti, comunemente la sua data di nascita viene fatta coincidere con la pubblicazione sulla porta della Cattedrale di Wittemberg in Germania, delle cosiddette 95 tesi da parte di Martin Lutero. Con quel gesto l’allora monaco agostiniano intendeva contestare la pratica delle indulgenze e in generale l’opera della Chiesa, rifiutando di fatto l’autorità della sede di Roma, del Papa.
Dalla sua ribellione sarebbero nate diverse comunità ecclesiali, legate alla Riforma ma tra loro differenti. Oltre alla Chiesa luterana, vi si riconoscono ad esempio quelle Riformate legate soprattutto all’insegnamento di Calvino mentre in Italia la più numerosa è la Chiesa evangelica valdese, dal nome del suo ispiratore Pietro Valdo.
Le differenze tra protestanti e cattolici sono profonde e riguardano sia l’organizzazione della Chiesa che la teologia con concezioni molto diverse, ad esempio, riguardo i ministri di culto e i sacramenti. Da questo rapidissimo viaggio emerge come i cristiani siano tra loro divisi.
Esiste però, soprattutto a partire dal XX secolo, un forte movimento di credenti impegnati a lavorare per ricomporre le divisioni in unità.
Si chiama ecumenismo e la nostra Chiesa cattolica, senza voler rinunciare per questo al suo immenso patrimonio di fede e alle sue tradizioni vi è impegnata in prima persona sin dal Concilio Vaticano II. Basti per tutti ricordare l’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II e i ripetuti interventi di Benedetto XVI.
Ma anche papa Francesco tra i primi gesti del suo pontificato, ha voluto ci fosse l’incontro con i delegati delle altre Chiese cristiane.

Da Popotus del 28 marzo 2013

Cristiani, le differenze di una stessa fede

Per i credenti, Pasqua, cioè la festa della Risurrezione del Signore è la festa più importante dell’anno. Non tutti i cristiani però la celebrano lo stesso giorno. Accade per un problema di calcoli matematici, e astronomici. I cattolici seguono infatti il calendario gregoriano, una parte del mondo ortodosso quello giuliano. Così quest’anno la Pasqua, fissata nella prima domenica che segue il plenilunio dopo l’equinozio di primavera, è stata festeggiata questa domenica dai cattolici e il 5 maggio lo sarà dagli ortodossi. La data delle festività non è tuttavia l’unica differenza che separa chi crede in Gesù. Come si sa infatti i cristiani sono divisi tra loro in tre grandi famiglie: cattolici, ortodossi e protestanti, cui va aggiunta la Comunione anglicana. La rottura più antica risale all’XI secolo, al 1054 per la precisione, quando si consumò la separazione tra il patriarcato di Roma e quello di Costantinopoli. Alla base rivalità, vicende politiche, ragioni culturali e teologiche, organizzazione e vita delle comunità (cioè motivazioni ecclesiologiche). Sta di fatto che a seguito della separazione del 1054, il cristianesimo si divise tra cattolici, prevalentemente occidentali e ortodossi, per lo più orientali. Oggi la Chiesa ortodossa, comprende sotto il primato “d’onore” del patriarca di Costantinopoli che si dice primus inter pares, primo tra i pari, una quindicina di chiese “autocefale”, che cioè non riconoscono altre autorità religiose al di sopra di sé. Accanto ai quattro patriarcati più antichi, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, un ruolo molto importante è svolto dal patriarcato di Mosca che vanta un gran numero di fedeli. Oggi a separare cattolici e ortodossi sono soprattutto ragioni storiche e culturali, oltreché teologiche con la vicenda legata a un aspetto del Credo e un diverso modo di intendere il ruolo del Papa.

Adattato da Potus del 28 marzo 2013

Papa Francesco incontra il patriarca ortodosso Bartolomeo I

L’inferno, dove non c’è l’amore

Per parlare dell’inferno, Gesù si è fermato a osservare la valle scavata dal fiume Hinnon a sud di Gerusalemme, che nei periodi di siccità diventa luogo per i rifiuti.
Oggi parleremmo d’immondezzaio o di inceneritori più o meno ecologici. E dalla Geenna ha tratto spunti per raccontare alcune parabole che annunciano non soltanto l’esito positivo, ma anche quello infausto dell’esistenza umana.
Inferno è non rendersi conto che davanti alla propria porta c’è un povero in attesa di essere soccorso, come Lazzaro; è giudicare senza misericordia l’altro; è serrare il proprio cuore alla riconciliazione con il prossimo; è seminare zizzania in un campo di grano; è non mettere a frutto i talenti ricevuti; è vendere la propria vita per il potere e per la propria gloria.
Sapere che esiste l’inferno è conoscere un luogo dove non è possibile edificare, piantare, dove il fetore impedisce di respirare. In quel luogo Dio non entra poiché significherebbe che è connivente con il male, che il bene non è diverso dal male e che qualunque cosa facciamo Egli è dalla nostra parte.
A forza di dire che l’inferno non esiste o che se esiste è vuoto, si è trasferito l’inferno nella vita di ogni giorno, quando si è sempre insoddisfatti del potere, della ricchezza e dei piaceri. Ma, al di sopra di tutto, inferno è non credere all’amore di Dio in Cristo poiché chi non crede in lui non ha bisogno di essere condannato, ma si è già condannato e chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce (cf. Giovanni 3,18-20).
Gesù non ha parlato della Geenna come luogo di perdizione per spaventare i suoi ascoltatori, ma perché non ci s’illudesse che la misericordia di Dio possa prescindere dall’accoglienza del suo amore e dall’amore per il prossimo.
Non c’è nulla dell’inferno che sia una sorpresa, ma tutto è anticipato nell’ostinato rifiuto dell’amore di Dio.
Da Catechismo quotidiano di Antonio Pitta su Avvenire del 27 marzo 2013

L’inferno, dove non c’è l’amore

Per parlare dell’inferno, Gesù si è fermato a osservare la valle scavata dal fiume Hinnon a sud di Gerusalemme, che nei periodi di siccità diventa luogo per i rifiuti.
Oggi parleremmo d’immondezzaio o di inceneritori più o meno ecologici. E dalla Geenna ha tratto spunti per raccontare alcune parabole che annunciano non soltanto l’esito positivo, ma anche quello infausto dell’esistenza umana.
Inferno è non rendersi conto che davanti alla propria porta c’è un povero in attesa di essere soccorso, come Lazzaro; è giudicare senza misericordia l’altro; è serrare il proprio cuore alla riconciliazione con il prossimo; è seminare zizzania in un campo di grano; è non mettere a frutto i talenti ricevuti; è vendere la propria vita per il potere e per la propria gloria.
Sapere che esiste l’inferno è conoscere un luogo dove non è possibile edificare, piantare, dove il fetore impedisce di respirare. In quel luogo Dio non entra poiché significherebbe che è connivente con il male, che il bene non è diverso dal male e che qualunque cosa facciamo Egli è dalla nostra parte.
A forza di dire che l’inferno non esiste o che se esiste è vuoto, si è trasferito l’inferno nella vita di ogni giorno, quando si è sempre insoddisfatti del potere, della ricchezza e dei piaceri. Ma, al di sopra di tutto, inferno è non credere all’amore di Dio in Cristo poiché chi non crede in lui non ha bisogno di essere condannato, ma si è già condannato e chiunque fa il male odia la luce e non viene alla luce (cf. Giovanni 3,18-20).
Gesù non ha parlato della Geenna come luogo di perdizione per spaventare i suoi ascoltatori, ma perché non ci s’illudesse che la misericordia di Dio possa prescindere dall’accoglienza del suo amore e dall’amore per il prossimo.
Non c’è nulla dell’inferno che sia una sorpresa, ma tutto è anticipato nell’ostinato rifiuto dell’amore di Dio.
Da Catechismo quotidiano di Antonio Pitta su Avvenire del 27 marzo 2013