Il naufragio di Paolo, 1950 anni fa

In occasione del 1950.mo anniversario del naufragio di San Paolo, il Papa sarà a Malta, oggi e domani. Dopo l’incontro con le autorità civili, il Pontefice visiterà la Grotta di San Paolo a Rabat. Nell’isola, San Paolo restò per tre mesi (Atti, capp. 27-28) e  in questa grotta, sopra la quale oggi c’è la chiesa di san Publio, l’Apostolo delle Genti pregava, predicava la parola di Dio, celebrava l’eucaristia, e fondava e formava la prima comunità cristiana dell’isola.
Vi lascio un cartone animato che ricostruisce la vicenda del naufragio.

San Nativo Digitale

Non so se ci avete fatto caso, ma tra i link consigliati compare questa simpatica immagine.

 Di che si tratta?
Vi riporto cosa ha scritto l’amicoweb e collega Luca che spesso cito nel mio blog:

“L’idea mi è venuta dalla considerazione che gli adolescenti passano molto del loro tempo su Facebook ma condividono spesso notizie e argomenti di poco valore educativo; loro stessi sentono però il bisogno di leggere ogni tanto qualcosa di edificante. Allora prendendo spunto da San Scolaro che don Milani fece realizzare a Barbiana, con alcuni colleghi ho pensato di realizzare una pagina dedicata ad un Santo molto attuale, ovviamente inventato e scherzosamente chiamato “San Nativo Digitale”, proprio su Facebook, la piazza dove i giovani oggi “abitano”. Lo scopo per adesso è semplice, raccogliere in un unico luogo video, notizie, riflessioni, da far circolare nel mondo degli adolescenti. (…)
San Nativo come potrete vedere nell’immagine è un bambino con in mano un ipod e un netbook. Per chi di voi avesse un account su Facebook l’invito è a diventare un fan di “San Nativo Digitale” e al tempo stesso condividere la notizia con gli amici e conoscenti e magari anche su qualche sito o blog, parrocchiale e non… La pagina di San Nativo si trova a questo indirizzo.”

Che aspettate? Diventate fan!!!

L’Ostensione della Sindone, il mistero di un sudario

Dal pomeriggio di ieri è possibile accedere all’ Ostensione della Sindone. E’ un evento eccezionale che va al di là della semplice curiosità del vedere un telo su cui si è tanto scritto e discusso.
Ovviamente la fede non ha bisogno di questo lenzuolo per credere nella risurrezione di Gesù, ma l’immagine che vi è impressa interroga credenti e non credenti.
Come ha detto il cardinale Poletto, durante la Messa con cui si è aperta l’Ostensione, “Vogliamo vivere questo momento con tanta fede e tanto amore verso Cristo” , aggiungendo che il Sacro Lino è “un dono straordinario fatto alla Chiesa di Torino, perché si trova qui, ma anche a tutta la Chiesa e a tutto il mondo”.
Questa immagine della sofferenza di Cristo ci invita a pensare “alle grandi tribolazioni di molte famiglie povere, dei senza lavoro, alle croci quotidiane dei malati e dei moribondi, di quanti faticano a vivere dignitosamente e alle tante sofferenze nascoste vissute nel silenzio tra lacrime e disperazione”.
Certo che è curioso come questo telo interroghi più gli uomini e le donne di oggi che non quelli dei secoli passati. La tecnologia ci permette infatti di notare particolari che sfuggono all’occhio umano, ma nello stesso tempo ci mette di fronte ai nostri limiti, alla nostra incapacità di dare risposte a tutto.
Vi lascio questa scena, l’ultima del film “La Passione”, in cui la cinepresa si sofferma sul lenzuolo che si “svuota” del corpo di Gesù. Dai racconti evangelici fu proprio questa “stranezza”, quella cioè del lenzuolo rimasto esattamente dove era stato deposto il corpo di Gesù, a convincere Giovanni, l’unico ad assistere alla sepoltura, della risurrezione.
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette“. (Gv 20,3-8)

Oggi ho deciso di perdonare

Ogni anno, per la precisione il 21 marzo, l’associazione “Libera” organizza eventi per ricordare le vittime della mafia. Quest’anno la giornata è stata celebrata a Milano, con un corteo a cui hanno partecipato tantissime persone, tra le quali i familiari delle vittime di mafia.
Leggendo dell’iniziativa sul quotidiano Avvenire, mi ha particolarmente colpito la testimonianza di Debora Cantisano, che desidero condividere con voi.
“Lollò Cantisano era un bravo fotografo e una persona per­bene. Aveva una bella fami­glia e aveva coronato il sogno di u­na vita, comperarsi una casetta in riva al mare per l’estate a Bovali­no Marina. La ’ndrangheta lo rapì nel 1993, la famiglia pagò il ri­scatto, ma lui non fece mai più ri­torno.E per dieci, terribili anni di lui non si è saputo più nulla.
«Poi – racconta Debora, sua figlia, 38 anni – nel 2003 ricevo una let­tera anonima. Un uomo indicava il punto dove è stato sepolto e rac­conta a che i sequestratori l’ave­vano ucciso per errore. Volevano tramortirlo, ma lui era morto per un colpo ricevuto in testa. Aveva 56 anni. Il medico legale ha con­fermato che lo hanno ammazza­to sfondandogli il cranio. La let­tera si concludeva con una di­chiarazione di pentimento e la ri­chiesta di perdono».
Debora non si è mai arresa, ha sempre reagito al dolore impe­gnandosi.
 
«Dopo il sequestro organizzam­mo un comitato di giovani, fu u­na cosa che fece rumore a Bova­lino. Volevamo tenere viva l’at­tenzione. Sono stati anni alluci­nanti, la speranza che mio padre fosse vivo non mi ha mai abban­donato. Almeno abbiamo potuto seppellirlo, rispetto ad altri siamo stati fortunati». Questa donna pic­cola e forte si è avvicinata a Libe­ra, si è impegnata negli incontri con i giovani. Oggi la casa sul ma­re di Lollò ospita campi estivi. So­prattutto, in lei è maturato il de­siderio di perdonare l’assassino del papà.
  «Quella lettera mi ha colpito. So­no credente e se uno decide di pentirsi, significa che ha compiu­to un cammino. Credo che un as­sassino possa cambiare e possa sinceramente diventare un’altra persona. Questo me lo diceva an­che mio padre». Così oggi Debo­ra ha deciso di incontrare i dete­nuti del carcere di Reggio Cala­bria.
 
«Non sono boss, sono la manova­lanza delle ’ndrine. Ma mi siedo di fronte a loro e racconto la storia di mio padre. Tutto qui. In genere da questo nasce un confronto. Cre­do che questo possa essere di sprone per chi ha sbagliato». Per prevenire altro male e riparare quello che è stato fatto”.

Diventare sacerdote

La vita ci chiama a delle scelte, e scegliere non è sempre facile. Avete visto quanti dubbi o incertezze per la scelta della scuola superiore? Pensarsi, alla vostra età, come voler essere tra dieci anni, è un esercizio difficile.
Qualche giorno fa, in alcune classi, si parlava proprio di questo: di come non fosse facile immaginarsi nel futuro e di come, molte volte, i progetti che si hanno in mente dipendano troppo dai modelli che ci propone la televisione e la società in generale.
L’ho buttata là – vi ricordate? – la domanda se qualcuno di voi avesse mai pensato ad una scelta religiosa, se qualche ragazzo avesse mai sentito il desiderio di diventare prete. Commenti divertiti, scongiuri…queste le reazioni.
Per “provocarvi” ancora un po’, vi propongo questo video, segnalato da Cesar su Aula de Reli, che racconta una vocazione al sacerdozio. Il titolo è “Sacerdote, testimone di misericordia”. E’ in spagnolo, ma anche se non sapete decifrare i titoletti che ogni tanto compaiono, vi sarà chiaro che essere sacerdote vuol dire essere a fianco dell’umanità, come ha fatto Gesù, portando speranza, conforto, testimoniando l’amore di Dio per ogni essere umano.

Andate anche a rivedere questo video realizzato da un gruppo di seminaristi, cliccando qui.

Un No al razzismo

Non so se avete mai sentito parlare di Rosa Parks. Vale la pena ricordare questa donna minuta morta nel 2005.

Il primo dicembre 1955 Rosa Louise McCauly sposata Parks, dopo una giornata di lavoro particolarmente pesante (era lavorante sarta in un grande magazzino di Montgomery, la capitale dell’Alabama), e dopo una lunga attesa alla fermata dell’autobus e al freddo, salì sull’autobus ed essendo esausta si mise a sedere in una delle file di mezzo, contravvendo a quelle che erano le disposizioni del tempo, che “riservavano” ai neri solo i posti in fondo. Infatti, negli stati del Sud degli USA, come l’Alabama, vigevano le leggi di “Jim Crow” che imponevano una violenta segregazione alla popolazione “di colore”. I negroes, come venivano chiamati con disprezzo gli afroamericani, non potevano accedere ai luoghi frequentati dai bianchi. “White only” era il cartello che appariva dappertutto, fuori dai ristoranti, dalle scuole, sui treni… I negroes avevano il loro bagni pubblici, i loro ospedali, scuole, negozi, i loro posti nei mezzi pubblici.
L’autobus continuò a caricare passeggeri finchè non fu pieno. Il conduttore del mezzo, vedendo un bianco   in piedi, pretese che Rosa si alzasse e gli cedesse il posto.


Rosa Parks si rifiutò e pronunciò un chiaro “No”. Da questa semplice parola scoppia un caso, e Rosa venne arrestata. La comunità nera locale guidata da un giovane pastore di nome Martin Luther King organizzò un boicottaggio alla società dei trasporti, e portò la vicenda di Rosa fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Alla fine, la segregazione sugli autobus venne dichiarata incostituzionale, e cominciò così una pagina nuova della storia americana.
Il libro “No. Il rifiuto che sconfisse il razzismo”  di Paola Capriolo, racconta la storia di questa pacifica battaglia che segnò la sconfitta di un sistema razzista e violento