Conoscere la meta

Si deve conoscere la meta prima del percorso.
Chi non ha uno scopo non prova quasi mai diletto in nessuna operazione“.
(Jean Paul, scrittore tedesco nato nel 1763)

Avere chiara la finalità del nostro agire sembra scontato, ma non lo è.
Nella realtà siamo così poco ponderati nelle nostre scelte, che il più delle volte “partiamo” senza sapere dove esattamente ci condurrà l’azione intrapresa. La riflessione e la pacatezza non sappiamo cosa siano. Eppure avremmo bisogno di recuperare queste virtù, per ridare senso, il vero senso, al nostro agire quotidiano e, perchè no, anche alla nostra vita. Solo così potremmo ritrovare il gusto nelle cose che facciamo, senza che siano soltanto le emozioni a governarci la vita. Perchè, sappiatelo, le emozioni passano, si dileguano, a volte lasciandoci devastati e vuoti.
Pensare bene a dove si vuole arrivare, darsi ragione delle proprie scelte….non credete che valga la pena incominciare a provarci?
Meditate, ragazzi, meditate!

Le classi e l’amicizia

Ecco le frasi delle classi sull’amicizia. Provate a costruire le vostre, mettendo insieme le parole utilizzate dai ragazzi.
classe 2A

classe2B

classe2B di Castelraimondo

classe 2C

classe2D

classe 2E

L’icona dell’amicizia

Quanto contava per Gesù l’amicizia? Andate a leggere i seguenti passi:

Lc 10,38-42; Gv 11,33-36; Gv 13,23.

Vi propongo un’icona copta del VII secolo che raffigura Cristo che abbraccia san Mena, abate del monastero di Alessandria. Questa immagine è comunemente denominata Icona dell’amicizia.
L’icona rappresenta Gesù che accompagna un discepolo. Gesù è ben riconoscibile dal nimbo (aureola) che attornia il capo con all’interno la croce luminosa. Questa aureola è segno della grazia divina che è comunicata al discepolo che cammina al fianco del suo Signore e dal contatto della mano destra che Gesù posa sulla spalla destra del discepolo. È la trasmissione della vita divina a chi segue Gesù via, verità e vita. Gesù è il maestro e Signore come indica il libro chiuso che regge nella mano sinistra, che è  il Vangelo, la lieta notizia, il dono prezioso (la copertina è ricca di pietre preziose) ed è il messaggio misterioso, il libro sigillato.
Il discepolo è guidato da Gesù che lo accompagna con la sua mano posta sulla spalla. Essa è sicurezza, protezione e anche dono di grazia che è espressa dal nimbo simbolo della santità; grazia che il discepolo non tiene per sé ma che dà in dono con il gesto della mano destra benedicente.
Nella sinistra egli tiene il rotolo, che può significare che egli ha fatto sua la Parola del Signore oppure che egli è nel numero dei salvati dalla grazia del Signore. Meno probabilmente può significare la regola del monastero che egli guida.
Le vesti sono di colori caldi che manifestano l’umanità e la povertà del Signore e del discepolo.
Forse la veste scura di Gesù può significare l’abito monastico.
I grandi occhi manifestano l’apertura del cuore (sono la finestra dell’anima), la disponibilità a lasciarsi leggere dentro, anzi il desiderio stesso di entrare in comunione con chi contempla l’icona.
Il fedele infatti nella contemplazione viene come assunto dal mistero della grazia che è comunicata dalla presenza del Signore, dal camminare al suo fianco, dal sentire quella mano che non solo dà sicurezza e conforto nel cammino, ma sembra anche essere come di sostegno alla stesso Signore Gesù; l’usura del tempo ha consumato nell’icona il colore e ha fatto sparire i piedi stessi di Gesù, che sembra ora camminare con i piedi del discepolo, sbigottito dall’esperienza stessa che sta vivendo.

Ma il mondo non esploderà

Così ha intitolato il suo commento Cesare De Carlo sul Quotidiano Nazionale del 31 ottobre 2011. A cosa si riferiva? Alla notizia, di cui vi parlavo anch’io qualche giorno fa, della nascita del 7 miliardesimo abitante della Terra.
Sette miliardi di esseri umani abitano questo pianeta e c’è chi vede nero: scarsità di spazi, cibo, acqua, petrolio, carbone e altre fonti energetiche. Ma vediamo cosa dice l’autore del commento di cui vi parlavo:
“Insomma una catastrofe, anche perché la popolazione secondo le più pessimistiche proiezioni potrebbe più che raddoppiare da qui alla fine del ventunesimo secolo: dagli attuale 7 a 15 miliardi.
Andrà così? Non necessariamente. Perché se è vero che negli ultimi sessant’anni gli abitanti della Terra sono passati da 2,5 a 7 miliardi, è altrettanto vero che in Europa, nelle Americhe, in Asia cala il tasso di natalità. E di molto. In Cina, la politica di un figlio per famiglia sta determinando due fenomeni: mancano all’appello 100 milioni di donne e aumenta rapidamente l’età media. In Giappone, un cittadino su quattro ha più di 65 anni, mentre il tasso di natalità è a 1,2 bambini per donna. Ancora più basso (0,9) in Italia, che con il Sol Levante si rivela il Paese più vecchio del mondo, e nel resto della (appunto) vecchia Europa. La Russia è a 1. Gli Stati Uniti a 1,3.
Scrive Fred Pearce in un recente saggio: oggi la media della natalità mondiale è la metà rispetto alle madri e alle nonne delle attuali mamme: 2,5 contro 5. E questo nonostante la spaventosa bomba demografica del continente più povero del mondo: ai primi quattordici posti della classifica di numero di bambini per donna ci sono altrettanti stati africani, con in testa Niger (4) e Uganda (5).
Secondo le proiezioni dello studioso, la popolazione continuerà a crescere moderatamente sino alla metà del secolo per declinare rapidamente. Il mondo dunque non esploderà. Basterà a calmare i pessimisti a oltranza?

Non credo. Il catastrofismo fa parte di un ecototalitarismo che in nome delle risorse da salvaguardare tende a limitare le nostre libertà. Precursore alla fine del Settecento ne fu Thomas Robert Malthus. Aveva previsto una carestia globale come conseguenza della crescente pressione demografica. La storia lo sconfessò”.
Sottoscrivo. Il danno più grave per il pianeta Terra non è essere qualche miliardo in più o in meno, ma il vivere senza riguardo gli uni per gli altri, cavallette impazzite (chi può) a distruggere un bene che è di tutti.
Meditiamo gente, meditiamo!

L’amicizia nella Bibbia

Nella Bibbia si narrano storie di amicizia, come quella tra Gionata e David o tra Rut e Noemi. Quest’ultima ci ha donato versetti colmi di commozione: «Perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te» (Rt 1,16-18). Grazie a tale insistenza Noemi comprese quale dono fosse Rut per la sua vita, così partirono insieme per il loro viaggio.
L’amicizia lega Davide a Gionata, figlio di Saul, primo re d’Israele. Tale amicizia, pura e disinteressata, non si arresta neanche quando Saul inizia a perseguitare Davide, perchè comprende che il giovane gli succederà come re. Alla morte suicida di Saul, sconfitto dai Filistei sui monti di Gelboe, e alla notizia della fine di suo figlio Gionata, Davide si straccia le vesti dal dolore ed esclama questo lamento:
«Perchè son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gionata, per la tua morte sento dolore,l’angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata!» (2Sam 1,25-26)

L’Antico Testamento ci invita a stare in guardia per individuare il vero amico, che è colui che «ama in ogni tempo, è come un fratello nei giorni tristi» (Prv 17,17). Il libro del Siracide dedica all’amicizia una sua parte, il cap. 6, e afferma: «Il parlare dolce moltiplica gli amici e la lingua affabile trova accoglienza. Prima di farti un amico, mettilo alla prova, non confidarti subito con lui. L’amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. C’è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C’è l’amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore»
«L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità». (Prv 17,17), ma « l’uomo tortuoso fa nascere la discordia e chi diffama divide gli amici» (Prv.16:28), ed ancora « L’olio e il profumo rallegrano il cuore e la dolcezza di un amico consola l’anima.» (Prv 27,8).
Come vedete, in questi due libri dell’Antico Testamento, Siracide e Proverbi diverse sono le frasi sull’amicizia.
Anche se sembra impossibile, un uomo può diventare amico di Dio. Abramo lo diventò.
Nell’Esodo leggiamo anche come Mosé parlava al Signore, entrando nella tenda del convegno, cioè il luogo della loro amicizia.
In Giovanni troviamo le parole con cui Gesù definisce, in termini di amicizia, il suo rapporto con i discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere anche a voi» (Gv 15,15).
Gesù è stato amico di Marta e Maria e del loro fratello Lazzaro a tal punto che davanti alla sua morte, dirà sant’Ireneo, Gesù pianse come uomo e amico e lo resuscitò come Dio.
Gesù vide la sua morte come un sacrificio di amicizia, perciò ha detto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv.15,13).
L’amicizia è un valore importante, per questo la Bibbia ne parla.
Il Dio in cui credono i cristiani è un Dio che si è fatto amico dell’uomo, compagno di vita. Per questo  chiede anche a noi di vivere come amici.

Cosa sono le icone

La parola “icona” significa “immagine” ed è un particolare tipo di arte figurativa sacra del cristianesimo orientale. L’icona si scrive perché i fedeli possano leggerla, Infatti, i cristiani, devono poter leggere nell’icona la verità della loro fede per stabilire l’incontro con la divinità, con Maria, con i santi… L’icona deve essere contemplata in silenzio e in preghiera. Nelle chiese ortodosse, le icone vengono collocate sulle pareti, ma soprattutto sull’iconostasi che è una specie di parete in legno che divide il presbiterio dalla navata.
L’icona, lavorata su una tavoletta di legno, è caratterizzata dal colore. I colori fondamentali sono il verde (la natura, la creazione), l’azzurro (il cielo, la trascendenza), il giallo (lo splendore, la luce divina), il rosso (l’umanità), il bianco (la divinità). Ma è fondamentale anche l’oro che, oltre a dare maggior pregio all’opera, garantisce all’icona una luce tutta sua, non una luce riflessa.
La copertura d’oro o d’argento, che è possibile vedere in alcune icone, si chiama “riza“. Naturalmente al lavoro dell’artista si aggiunge, con la riza, il lavoro dell’orafo. Ecco perché in queste icone si possono riconoscere anche i punzoni con i quali si incide la data, il marchio della città di origine, la prova che garantisce la qualità dell’argento e le iniziali dell’orafo.
Nel cristianesimo orientale è grande la venerazione per Maria Madre di Dio e tutte le icone si richiamano ad alcuni prototipi. Secondo la tradizione ortodossa, fu l’evangelista Luca a dipingere le icone di Maria che le approvò e le benedisse. Da allora quasi tutte le icone di Maria vennero eseguite ispirandosi a quelle di Luca secondo questi prototipi:
1. Hodighitria (= Colei che indica la via): Maria e il bambino sono rappresentati frontalmente ed hanno un aspetto maestoso. Gesù, più che un bambino, è il “Dio con noi” e Maria non lo guarda, ma con la mano indica agli uomini il Figlio (Gesù è la Via che conduce al Padre) che li benedice.
2. Eléousa (= Tenerezza): Maria è la Madre tenera e nello stesso tempo sofferenza per la consapevolezza della Passione del Figlio che affettuosamente abbraccia.
(Tratto da: P. Troìa – C. Vetturini, L’Ora di Religione, Guida per l’insegnante, Le Monnier 2004).
L’immagine del post è un’icona di Maria Madre della Tenerezza. Ho fatto realizzare un’icona simile da una mia amica suora. Il lavoro per realizzare un’icona è rigorosamente a mano e non ha nulla a che fare con il decoupage. Non si tratta solo di un lavoro artistico, perchè un’icona è qualcosa di più: è una eco visuale dell’Incarnazione, la predicazione vivente della Chiesa, una traduzione per immagini della conoscenza teologica e spirituale.

La festa delle zucche

Ieri sera, vigilia di Ognissanti, sembrava di essere a Capodanno o a Carnevale. In ogni angolo del paese frotte di ragazzini andavano sparando diavolerie varie, con botti più o meno rumorosi (minimo 10 euro a ragazzino andati in fumo; alla faccia della crisi!). Passino i gruppetti che girano per le case per il “dolcetto scherzetto”, ma cosa c’entrano i botti? Halloween vuol dire Tutti i Santi, come ho avuto già modo di raccontare, e i santi non vanno certo cacciati a suon di botti!!!
E’ proprio vero. Halloween sta sempre più diventando la Festa delle Zucche. Vuote!