Cos’è la felicità?

«Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità».
Zygmunt Bauman

 «La parola “felicità” ha due significati molto diversi. Quello più comune è “sentirsi bene”. In altre parole, provare un senso di piacere, contentezza e gratificazione. A tutti noi piacciono queste sensazioni, quindi chiaramente le rincorriamo. Come tutte le emozioni umane, però, le sensazioni di felicità non durano. Per quanto ci sforziamo di trattenerle, ogni volta scivolano via. E, una vita dedicata all’inseguimento di queste belle sensazioni è, sul lungo periodo, profondamente insoddisfacente. In realtà, più rincorriamo le sensazioni piacevoli, più tendiamo a soffrire di ansia e depressione. L’altro significato della parola “felicità”, molto meno comune, è “vivere una vita ricca, piena e significativa”. Quando agiamo in nome di ciò che conta veramente nel profondo del nostro animo, ci muoviamo nelle direzioni che consideriamo degne e preziose, chiariamo cosa è importante per noi nella vita e ci comportiamo di conseguenza, allora la nostra esistenza diventa ricca, piena e significativa, e proviamo un forte senso di vitalità. Non si tratta di una sensazione fugace: è un senso profondo di una vita ben vissuta. E per quanto una vita di questo tipo ci darà sicuramente molte sensazioni piacevoli, ce ne darà anche di spiacevoli, come tristezza, paura e rabbia. Dobbiamo metterlo in conto. Se viviamo una vita piena, proveremo l’intera gamma delle emozioni umane».
 Russ Harris dal libro “La trappola della felicità”

Condivido con questi autori, l’idea che la felicità non è in una vita senza problemi, per quanto i problemi a volte complichino assai la vita.
Il sentirsi felici effettivamente va oltre. E’ uno stato d’animo, una quiete che ci pervade, un senso di pienezza che ci fa stare bene, con noi stessi, gli altri, il mondo.


Perché c’è in noi questo desiderio di felicità?
Sant’Agostino ci direbbe che questo desiderio è desiderio di Dio (“Ci hai fatti per te, Signore; perciò il nostro cuore è inquieto finché non riposerà in te”).
Dio e la felicità per lui, ma anche per me, hanno molto a che fare. Gesù comincia infatti la sua predicazione con un annuncio di gioia: il Regno di Dio è vicino! La predicazione degli Apostoli prende l’avvio da un’ altra grande notizia portatrice di gioia e felicità: Gesù è risorto! La morte è sconfitta!

«Il cuore dell’uomo desidera la gioia. Tutti desideriamo la gioia, ogni famiglia, ogni popolo aspira alla felicità. Ma qual è la gioia che il cristiano è chiamato a vivere e a testimoniare?

È quella che viene dalla vicinanza di Dio, dalla sua presenza nella nostra vita. Da quando Gesù è entrato nella storia, con la sua nascita a Betlemme, l’umanità ha ricevuto il germe del Regno di Dio, come un terreno che riceve il seme, promessa del futuro raccolto. Non occorre più cercare altrove! Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre» (papa Francesco, Angelus, III Domenica di Avvento 2014)

Essere cristiani vuol dire quindi percorrere un cammino verso la gioia, la felicità piena, che non va cercata nelle cose, nel successo, nel potere, ma in Dio.
Come dice sempre Papa Francesco, un cristiano non può essere un tipo triste e lamentoso (ai catechisti, settembre 2016) perché ha incontrato la gioia che viene dall’incontro con Cristo.
L’arte della felicità secondo il Papa è un percorso semplice, alla portata di tutti, del quale i santi sono testimoni. «Se c’è qualcosa che caratterizza i santi è che sono veramente felici. Hanno scoperto il segreto della felicità autentica, che dimora in fondo all’anima ed ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Perciò i santi sono chiamati beati»(papa Francesco a Malmo,novembre 2016).
Il percorso della felicità è così il cammino delle Beatitudini. Riporto ancora le parole pronunciate dal Papa: «Sopportare con fede i mali che gli altri ti infliggono e perdonare di cuore; guardare negli occhi gli scartati e gli emarginati mostrando loro vicinanza;riconoscere Dio in ogni persona e lottare perché anche altri lo scoprano; proteggere e curare la casa comune, la natura; rinunciare al proprio benessere per il bene degli altri; lavorare per la piena comunione dei cristiani». Scegliere di percorrere questa strada significa vivere una vita piena, non accontentarsi del “tirare a campare”, non scegliere secondo le mode o le convenienze del mondo. Significa vivere in modo veramente umano, che in fondo è proprio quello che ci hanno detto i due autori citati all’inizio del post.
Vorrei però sottolineare (ed è una provocazione per gli alunni di terza che hanno affrontato questo argomento) che c’è Qualcuno che ha a cuore la nostra umanità più di quanto ne abbiamo noi stessi. Questo Qualcuno è un dispensatore di buoni consigli per essere felici. Non vale la pena ragionarci su?

Vocazione e progetto di vita

Etty Hillesum scriveva: «La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé» (Diario, 1940-1943 p.127).
Ci siamo chiesti cosa volesse dire e tutti abbiamo concordato nel sostenere – riprendendo le parole di Pier Giorgio Frassati – che «non dobbiamo vivacchiare, ma vivere».
Che differenza tra questi personaggi e il “terrorista piccolo piccolo” dell’articolo di Gramellini!
Una vita “contro”, quella di  chi sceglie la violenza e la morte, una vita “con” quella di Pier Giorgio e di Etty.
Un altro aspetto che ci ha colpito dei due personaggi che ho proposto è stato la loro capacità di amare.
Etty scriveva che «Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E’ l’unica soluzione possibile. E’ quel pezzettino d’eternità che ci portiamo dentro».
Pier Giorgio vive la sua vita nell’amore verso Dio e per i poveri, cui dona tutto se stesso.
Cos’è allora che ci rende veramente umani? E’ proprio questa capacità di amore.
Dice papa Francesco:
«Amare il prossimo facendoci noi stessi prossimo è ciò che ci costituisce come persone. Riconoscere l’altro come nostro simile non ci ‘dà’ nulla, ma ci rende esseri umani. Soltanto così potremo essere una vera comunità di uomini e non un’orda di bestie» (dal libro “E’ l’amore che apre gli occhi”, Rizzoli).
Si potrebbe allora dire che il progetto di vita che abbiamo da realizzare sia proprio questo: amare.
L’amore è vittoria sull’egoismo, è, come leggiamo nel nostro libro di testo, il progetto di vita che ci fa conoscere la verità e rende liberi.
Vi propongo una scheda su cui lavorare. A scuola avremo modo di confrontarci.
Buon lavoro!

I puri di cuore

Ricordate le Beatitudini? Beati i puri di cuore, dice Gesù. Ma cosa vuol dire essere “puri di cuore”?
Per rispondere mi faccio aiutare dall’articolo di suor Maria Cristina Cruciani, pubblicato su Avvenire dell’11 luglio.
Fin dalle origini ci furono uomini dal cuore puro che camminarono con Dio come Abele, Enoc, Noè… come Abramo, che Dio affinò nella fede perché fosse del tutto pura: gli chiese il figlio affinché Abramo non amasse Dio perché glielo aveva dato mantenendo le promesse, ma perché Dio è Dio. Soltanto per questo!
E Abramo seguì il Signore: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1). Poi ci fu Giacobbe: «Ho visto Dio e sono rimasto vivo e chiamò quel luogo Penuel», volto di Dio (Gen 32,31).
Giacobbe non è più l’imbroglione ma Israele, riceve come una nuova identità, diremmo un cuore nuovo dall’incontro trasformante con Dio e ne porta i segni nel corpo: zoppicava quando oltrepassò Penuel. L’incontro con Dio, vedere Dio lascia il segno e nulla è più come prima. Quando Giacobbe-Israele ha il cuore guarito e ha visto Dio può incontrare suo fratello.
La struggente nostalgia del volto di Dio si traduce per Mosè in supplica ardita: «Mostrami la tua gloria» (cfr. Es33,18).
Allora Dio rispose a Mosè che neppure lui avrebbe potuto vedere il volto di Dio senza morire, ma accadrà che l’uomo potrà vedere il volto di Dio nel volto umano del Signore Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre mio» (Gv 14,9) tanto che ormai possiamo anche raffigurare Dio nel volto ‘sindonico’ del Signore Gesù, splendore della gloria del Padre e luogo ove abita la pienezza di Dio.
Più oltre, dopo Mosè, troviamo nelle Scritture che Dio nello scegliere per Israele un re, ne guarda il cuore: Saul, Davide e quindi i profeti come Geremia, Isaia e infine il Servo del Signore…
Sono poi in particolare i Salmi che si preoccupano del cuore, inteso appunto come la sede della volontà, delle decisioni, come la coscienza che va anche formata, plasmata, purificata, affinata. Subito il Salmo 1 proclama la beatitudine di chi si compiace della legge del Signore e non segue il consiglio degli empi, non indugia con i peccatori; offrire sacrifici di giustizia e cercare il volto del Signore ricolma il cuore di gioia, dice il Salmo 4; il Signore è difesa di chi ha il cuore buono… Ne potremmo citare molti!
L’Orante si preoccupa del cuore perché il Signore conosce cosa c’è nell’uomo, i suoi pensieri e i desideri del suo cuore. «Chi salirà il monte del Signore? – dice il Salmo 23 -, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» e – potremmo dire – chi non solo non dice menzogna ma non vive nella menzogna. Vivere nella menzogna significa avere un cuore occupato dagli idoli che non sono Dio ma solo inganno.
Giungendo quindi al Nuovo Testamento, incontriamo Gesù, il Figlio amato che il Padre ha dato nella potenza dello Spirito perché tanto ha amato il mondo.
Il cuore di Gesù, ossia la sua coscienza di Figlio, è la nostra forma, il termine di paragone, fino a: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2).
Com’è Gesù? L’evangelista Matteo ci solleva un poco il velo del cuore di Gesù: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre vite » (Mt 11,28-30).
Dal corpo risorto di Gesù è riversato nei nostri cuori lo Spirito Santo, cioè la forza risanatrice e purificatrice di Dio che crea in noi un cuore nuovo, un cuore di carne al posto del cuore di pietra; diciamo meglio: un cuore di figli! […]
La vita cristiana è una storia di purificazione del cuore, di rigenerazione profonda, nell’intimo, come una rinascita e un divenire ciò che si è per grazia. Infatti, insegna Gesù, è l’intimo dell’uomo che è inquinato: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca… Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo» (Mt 15,19). Nessuno avrebbe potuto sanare da sé il suo cuore se lo Spirito di Gesù risorto non fosse stato dato. Ecco che bisogna accettare di essere salvati. Occorre divenire piccoli, come i bambini, o meglio come «il piccolo» del Padre che è Gesù.
[…] Chi è dunque colui che è capace di vedere Dio e non morire? La Bibbia risponderebbe così: colui che non va dietro agli idoli, di qualunque genere essi siano, conosce la gioia di essere salvato e riconosce di essere bisognoso, incapace di salvarsi da solo e peccatore, e sa che quando Dio lo accusa, in qualche modo, ha ragione e lo vuole salvo, vivo! È insomma un uomo nella verità, che non si mette al posto di Dio, a lui si affida e si fida di lui, è felice di Dio! È contento di essere creatura.
Con uno così Dio può fare meraviglie ed egli può divenire tutto luce come Dio è luce, semplice come Dio, essere buono come è buono Dio, fatto di cuore buono, trasparente, limpido, tutto pieno di Spirito Santo […].
Quando vedete un uomo o una donna, belli di una luce interiore, luminosi, pieni di gioia, semplici, non preoccupati di ciò che di loro si può dire o pensare, gente che non ha più nulla da perdere perché hanno dato e consegnato tutto di sé, queste persone vedono Dio. Vivono alla luce del suo volto come in un liquido amniotico «perché in lui siamo, ci muoviamo ed esistiamo », ripeté Paolo agli ateniesi.
Esse vivono alla sua presenza, sanno che egli c’è e ne contemplano i segni nei fratelli e sorelle, negli eventi, negli incontri, nella creazione. Essi hanno acquisito la sapienza, come invita a fare il profeta Baruc la notte di Pasqua: imparate la sapienza, fate come le stelle: il creatore le chiama ed esse dicono: eccoci! E brillano di gioia alla sua presenza.
Un uomo vero, trasparente, puro, semplice, somigliantissimo a Dio, è beato, è nella gioia, già qui sulla terra. Viene alla mente l’umile Serafino di Sarovche insegna al suo discepolo Motovilov un messaggio per tutti: «Lo scopo della vita cristiana è acquisire lo Spirito Santo», cioè avere la vita divina in noi, essere divinizzati: tu sei nello Spirito Santo, e dunque sei tutto luce e calore. Questa è l’esperienza del puro di cuore.

Convertiti alla carità

La carità cristiana, tradotta nei termini concreti della solidarietà, dell’assistenza, dell’accoglienza, costituì un potente fattore di conversione e di diffusione della nuova fede. Per cogliere adeguatamente questo aspetto dello sviluppo storico del cristianesimo, bisogna tenere nel massimo conto il fatto che le Chiese cristiane si affermarono tutte e quasi esclusivamente, tra I e IV secolo, in ambiente urbano: anzi, soprattutto in quelli che nell’impero romano si potevano considerare i centri urbani più grandi – quella trentina circa che toccavano o superavano i 30.000 abitanti, quasi tutti ubicati nell’area orientale del Mediterraneo –, e prima degli altri i centri portuali quali Alessandria, Antiochia, Cesarea Marittima, Atene, Corinto, Efeso, Smirne, Tessalonica; e, in Africa occidentale – per gli antichi l’Egitto e la Cirenaica appartenevano piuttosto all’Asia –, Cartagine e Leptis Magna.
Si è spesso affermato e si continua ad affermare che il segreto della diffusione della nuova fede consisteva anzitutto nella speranza di una beata vita futura, una vita dopo la morte o addirittura una risurrezione fisica, che i fedeli del Risorto appunto proponevano. Ma tutto ciò appare poco convincente. Molti erano i culti orfici, iniziatici, ermetici, misterici che promettevano varie forme di sopravvivenza o di salvezza dell’anima dopo la morte.
Il fatto è che le comunità cristiane, oltre a propagare questa speranza, offrivano concretamente aiuto e sostegno ai meno abbienti o ai miseri – i poveri, gli ammalati, le vedove, gli orfani – per affrontare e alleviare gli aspetti più duri e spietati di un’esistenza individuale e collettiva che, specie a partire dalla seconda metà del II secolo, si era andata facendo sempre più difficile tra crisi economiche, periodi di carestia, crescente insicurezza.

La solidarietà dei cristiani tra loro e la carità anche nei confronti di coloro che non appartenevano alle loro comunità – qualcosa rispetto alla quale i sodalizi pagani erano assenti o inadeguati – fu un potente fattore di conversione.
La carità fu esercitata con molta dedizione anche nei duri momenti delle persecuzioni, com’è testimoniato ad esempio dall’attività del vescovo Cipriano di Cartagine al tempo dell’epidemia di peste del 252, e da quanto Eusebio ci racconta a proposito dell’impegno di presbiteri, diaconi e semplici fedeli durante un’altra crisi epidemica, stavolta di tifo, scoppiata ad Alessandria nel 268.

Fra tutte le opere di carità, una delle più rischiose, raccomandate e seguite era la visita a coloro i quali a causa della fede erano stati incarcerati. Cipriano di Cartagine resta comunque un modello di carità si può dire insuperabile: è rimasta memorabile la lettera con la quale egli accompagna nel 283 il dono di 100.000 sesterzi ai vescovi di Numidia, esaltando commosso i meriti della carità.
Con la vittoria del cristianesimo, con il ruolo pubblico già da Costantino attribuito ai vescovi nell’amministrazione delle riserve alimentari a vedove e orfani e poi la decisione teodosiana di proclamare la fede in Gesù Redentore unica licita religio dell’impero, le iniziative caritatevoli si moltiplicarono. Fin dai primi tempi della vita libera della chiesa si affermò la concreta prassi della carità nei confronti dei bisognosi e degli ammalati, come insegnano testi quali la Didaché e le Costituzioni apostoliche. Le offerte venivano raccolte in una cassa comune e si tenevano accurati elenchi dei poveri da mantenere.

La storia delle opere di carità del tempo si può ovviamente ricostruire, dato lo stato delle fonti, in modo alquanto rapsodico: non mancano tuttavia ragguagli significativi. Basilio di Cesarea (vissuto nel IV secolo) fondò immediatamente fuori della cinta muraria della sua città un vero e proprio ospedale, la Basileide. Nelle opere di carità si distinsero Giovanni Crisostomo, Epifanio di Pavia, Cesario d’Arles, Massimo di Torino. A Roma, ormai non più sede imperiale, la tradizione delle antiche frumentationes fu mantenuta dalle frequenti elargizioni di derrate alimentari da parte di veri e propri difensori della città e padri dei poveri come Leone Magno e Gregorio Magno. Era questa ferma convinzione di Gregorio, il quale impiegava costantemente e intensamente le proprietà della sua gens Anicia per alleviare le pene dei meno fortunati e considerava tutte le sue risorse utilitates pauperum, al servizio degli indigenti.

Tratto da Franco Cardini, ‘Il pane donato. Piccola storia della carità‘, Emi,  in Avvenire del 10 febbraio 2015.

La leggerezza che Dio dona con la sua grazia

«Diffido dai cristiani lamentosi, noiosi, ripetitivi, prevedibili, tormentati, soprattutto quando credono che queste caratteristiche manifestino vicinanza a Dio.
Al contrario resto sedotto da coloro che, nonostante i motivi per permettersi tutti quegli atteggiamenti, hanno sempre uno scarto, un guizzo, una fiamma, perché abitano in una zona di loro stessi, di acqua e spirito, dove il regno dei cieli è già e sanno appartenervi, proprio a partire dalla loro umanità piena di limiti e tenebre, riscattata dall’apertura alla leggerezza, che solo Dio dona con la sua grazia.
Incedono nella vita con grazia, per l’appunto. Vi danzano, prestando tutta loro corporeità alla coreografia divina
».

Alessandro D’Avenia in Avvenire del 24 dicembre 2014

Il digiuno nell’era del web

Siamo in Quaresima.
Vi propongo una riflessione tratta da Popotus del 6 marzo.

Mangiare con moderazione, scegliere cibi semplici, rinunciare alla carne nei venerdì di Quaresima, dimenticare i piatti molto costosi, preparati con materie ricercate, utilizzate per cucinare quelli che un tempo si chiamavano «cibi da ricchi». Erano le indicazioni che la Chiesa forniva all’inizio del tempo quaresimale e che, in larga parte, sono tuttora scelte di saggezza e consigli per rimanere in buona salute. Oggi però, soprattutto per noi che viviamo nella parte ricca del mondo, il cibo ha perso gran parte del suo valore simbolico. Quello cioè a cui le nonne facevano riferimento raccomandando ai nipotini: «In Quaresima bisogna fare almeno un fioretto al giorno. Via cioccolatini, caramelle e lecca lecca». Indicazioni sempre valide, naturalmente, insieme però ad altre forme di digiuno che oggi, per tanti ragazzi ma anche per non pochi adulti, costano ben di più. Diciamo la verità. È più facile dire no a un cioccolatino o rinunciare a completare il livello di un gioco particolarmente entusiasmante alla play station? Magari quando la mamma chiama dicendo che è scaduto il tempo e bisogna correre a fare i compiti? E allora da ieri, mercoledì delle Ceneri e quindi giorno di avvio della Quaresima – tranne che nella diocesi di Milano dove il carnevale si prolunga fino a sabato – sarebbe proprio il caso di rispettare tre semplici proponimenti: limitare l’uso dei videogiochi secondo le indicazioni di mamma e papà; niente perdite di tempo con le app dello smartphone; spegnere la tv ogni sera mezz’ora prima del solito. Stesse raccomandazioni per i genitori. Limitare un po’ l’uso di internet e della tv serve per trovare un po’ tempo per stare insieme, per raccontarci le cose della giornata, per ascoltare meglio quello che hanno da dirci i grandi, senza quel sottofondo invadente e brontolone che arriva dal video acceso. È una forma di digiuno che farà bene a tutti. Meno tecnologia, più sorrisi.
E se fosse vero, non solo in Quaresìma?

La preghiera delle cinque dita

Papa Francesco quando era in Argentina scrisse una preghiera per insegnare a pregare. Eccola:
Una preghiera per ogni dito della mano
1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è “un dolce obbligo”.
2. Il dito successivo è l’indice. Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.
3. Il dito successivo è il più alto. Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti. Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l’opinione pubblica… Hanno bisogno della guida di Dio.
4. Il quarto dito è l’anulare. Lascerà molti sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte. Le preghiere per loro non saranno mai troppe. Ed è li per invitarci a pregare anche per le coppie sposate. 5. E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo. Come dice la Bibbia, “gli ultimi saranno i primi”. Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te e tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.

Uniti per la costruzione della pace

Per introdurci alla nuova unità di lavoro vi propongo questo video che ricorda l’incontro, promosso da Giovanni Paolo II, tra i rappresentanti delle varie religioni. Era il 1986 ed eravamo ad Assisi. La preghiera unì allora tutti gli uomini di buona volontà e rappresentò un forte richiamo  al ruolo delle religioni per la costruzione della pace.
Assisi è stato il simbolo, la realizzazione di ciò che deve essere il compito della Chiesa in un mondo in stato flagrante di pluralismo religioso: professare che la pienezza della rivelazione è in Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza di tutta l’umanità,  e testimoniare l’amore di Dio per ogni uomo. Nello stesso tempo ritenere anche che ogni religione è una via misteriosa per arrivare a Dio.

Uniti per la costruzione della pace

Per introdurci alla nuova unità di lavoro vi propongo questo video che ricorda l’incontro, promosso da Giovanni Paolo II, tra i rappresentanti delle varie religioni. Era il 1986 ed eravamo ad Assisi. La preghiera unì allora tutti gli uomini di buona volontà e rappresentò un forte richiamo  al ruolo delle religioni per la costruzione della pace.
Assisi è stato il simbolo, la realizzazione di ciò che deve essere il compito della Chiesa in un mondo in stato flagrante di pluralismo religioso: professare che la pienezza della rivelazione è in Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza di tutta l’umanità,  e testimoniare l’amore di Dio per ogni uomo. Nello stesso tempo ritenere anche che ogni religione è una via misteriosa per arrivare a Dio. 

Il Papa consiglia la “misericordina”

Angelus del 17 novembre 2013:

La “Misericordina” (…) “pubblicizzata” da Papa Francesco, che ne ha mostrata una scatoletta alla finestra, non è una medicina da farmacia! Ed il Papa stesso, parlando della “medicina” che stava per presentare ai fedeli lo ha detto chiaro “Non sono un farmacista”.
Ma che cosa è questa idea? Una trovata di pubblicità? No! Semplicemente, una preghiera. Quella del Santo Rosario, unità alla Coroncina della Divina Misericordia. E fa davvero bene, al cuore e soprattutto all’anima. La confezione è quella tipica di una qualsiasi medicina, con tanto di avvertenza sul contenuto: «59 granuli intracordiali». All’interno delle confezioni distribuite in Piazza San Pietro si trovano una corona del Rosario, un’immagine di Gesù misericordioso – con la scritta «Gesù confido in te» – ed il classico foglietto con posologia ed istruzioni per l’uso.
Un medicinale “altro”? In effetti, una semplice preghiera, anche più potente e che costa meno di un’Aspirina. Gli effetti, per chi crede, sono pero’ migliori.
Ed allora ecco le modalità d’uso, la posologia…. e le indicazioni varie!
CONTENUTO : 1 corona del Rosario, con la quale si può pregare anche ‘la coroncina della Divina Misericordia’
EFFETTI : Porta misericordia nell’anima, avvertita con una diffusa tranquillità del cuore. La sua efficacia è garantita dalle parole di Gesù.
APPLICAZIONE : Viene ‘applicato’ quando si desidera la conversione dei peccatori, si sente il bisogno di aiuto, manca la forza per combattere le tentazioni, non si riesce a perdonare qualcuno, si desidera la misericordia per un uomo moribondo e si vuole adorare Dio per tutte le grazie ricevute”. USO : Può essere applicato, sia dai bambini sia dagli adulti, tutte le volte che se ne avverte il bisogno. La somministrazione prevede la recita della Coroncina alla Divina Misericordia, promossa da Santa Faustina Kowalska. Non si riscontrano effetti imprevisti e controindicazioni. I Santi Sacramenti favoriscono l’efficacia del medicinale. Prima di usare il farmaco si consiglia di rivolgersi ad un sacerdote per ulteriori informazioni e di conservare le avvertenze in caso di riutilizzo.
Le scatole di ‘Misericordina’ sono state prodotte in migliaia di esemplari e in quattro lingue: italiano, spagnolo, inglese e polacco. L’iniziativa, che ha già avuto dei precedenti in Polonia, è stata promossa da monsignor Konrad Krajevski, elemosiniere pontificio. E’ un aiuto spirituale per la nostra anima e per diffondere ovunque l’amore, il perdono e la fraternità. Non dimenticatevi di prenderla, perché fa bene. Fa bene al cuore, all’anima e a tutta la vita”.
Dal sito http://www.papaboys.org