Condividere: i rischi della rete

In questi giorni ho proposto agli alunni di seconda media una seria riflessione sui rischi della condivisione via social. Condividere, stavamo vedendo con riferimento alla nuova proposta didattica, è un bel verbo che rischia però di diventare qualcosa di poco piacevole e intelligente quando lo mettiamo in atto in modo poco critico, come spesso accade sui social.
Con riferimento ai fatti accaduti a pochi chilometri da noi, e senza demonizzare nessuno, ci siamo resi conto come visualizzazioni e condivisioni in Rete creano fenomeni mediatici di dubbio gusto e dubbio talento. Certo, basta “acchiappare” quello che il pubblico vuole (e già questo, di per sé è alquanto triste e avvilente) o creare un personaggio che incuriosisca, stimoli inconfessati desideri o pulsioni, e lasciare che sia proprio questo pubblico a scatenarsi nella condivisione. Il gioco è fatto. E’ nato il fenomeno del momento. Anche le fake news trovano spazio in questo impulso acritico alla condivisione. Domande:
Tutto, ma proprio tutto, va condiviso?
Siamo consapevoli che con i nostri click e i nostri like anche noi finiamo per diventare complici della circolazione di tutta la “spazzatura” che si trova nel web?
MIUR e “Generazioni Connesse” nel 2015 hanno varato una campagna di consapevolezza sull’uso di Internet. Sette personaggi, alle prese con situazioni legate al web, aiutano i ragazzi a rendersi conto dei comportamenti rischiosi o sbagliati nella Rete.
Cliccando sull’immagine potrete accedere alla pagina che vi permetterà di conoscere i personaggi della serie e di vedere il promo di tutti i cartoni animati realizzati per la vostra navigazione in Internet più sicura e intelligente.

Ps: cliccando qui, potete accedere alla pagina in cui potete vedere tutti gli episodi completi.

Per quanto sta in te

Penso di poter dedicare le parole di questa poesia ai miei studenti della scuola superiore. 

Lo sento come un invito accorato a non sprecare la propria vita nella ricerca affannosa del consenso degli altri o al lasciarsi andare di fronte agli insuccessi. La vita ci diventa estranea quando rinunciamo alla ricerca di ciò che veramente ci rende felici per accontentarci di momenti fugaci, di sballi estremi. La vita non è mai abbastanza, perché il nostro orizzonte va oltre.

Papa Francesco e i sogni

I sogni sono importanti. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana. E i sogni dei giovani sono i più importanti di tutti.
Un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato; non potrà capire la vita, la forza della vita. I sogni ti svegliano, di portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità. Ecco, voi avete nel cuore queste stelle brillanti che sono i vostri sogni: sono la vostra responsabilità e il vostro tesoro. Fate che siano anche il vostro futuro! E questo è il lavoro che voi dovete fare: trasformare i sogni di oggi nella realtà del futuro, e per questo ci vuole coraggio….
Certo, i sogni vanno fatti crescere, vanno purificati, messi alla prova e vanno anche condivisi. Ma vi siete mai chiesti da dove vengono i vostri sogni? I miei sogni, da dove vengono? Sono nati guardando la televisione? Ascoltando un amico? Sognando ad occhi aperti? Sono sogni grandi oppure sogni piccoli, miseri, che si accontentano del meno possibile? I sogni della comodità, i sogni del solo benessere: “No, no, io sto bene così, non vado più avanti”. Ma questi sogni ti faranno morire, nella vita! Faranno che la tua vita non sia una cosa grande! I sogni della tranquillità, i sogni che addormentano i giovani e che fanno di un giovane coraggioso un giovane da divano.
E’ triste vedere i giovani sul divano, guardando come passa la vita davanti a loro. I giovani – l’ho detto altre volte – senza sogni, che vanno in pensione a 20, 22 anni: ma che cosa brutta, un giovane in pensione! Invece, il giovane che sogna cose grandi va avanti, non va in pensione presto…
E la Bibbia ci dice che i sogni grandi sono quelli capaci di essere fecondi: i sogni grandi sono quelli che danno fecondità, sono capaci di seminare pace, di seminare fraternità, di seminare gioia, come oggi; ecco, questi sono sogni grandi perché pensano a tutti con il NOI.
Una volta, un sacerdote mi ha fatto una domanda: “Mi dica, qual è il contrario di ‘io’?”. E io, ingenuo, sono scivolato nel tranello e ho detto: “Il contrario di io è ‘tu’” – “No, Padre: questo è il seme della guerra. Il contrario di ‘io’ è ‘noi’”. Se io dico: il contrario sei tu, faccio la guerra; se io dico che il contrario dell’egoismo è ‘noi’, faccio la pace, faccio la comunità, porto avanti i sogni dell’amicizia, della pace.
Pensate: i veri sogni sono i sogni del ‘noi’. I sogni grandi includono, coinvolgono, sono estroversi, condividono, generano nuova vita. E i sogni grandi, per restare tali, hanno bisogno di una sorgente inesauribile di speranza, di un Infinito che soffia dentro e li dilata. I sogni grandi hanno bisogno di Dio per non diventare miraggi o delirio di onnipotenza. Tu puoi sognare le cose grandi, ma da solo è pericoloso, perché potrai cadere nel delirio di onnipotenza. Ma con Dio non aver paura: vai avanti. Sogna in grande….

[…] Ma voi non lasciatevi rubare i vostri sogni. C’è un ragazzo, qui in Italia, ventenne, ventiduenne, che incominciò a sognare e a sognare alla grande. E il suo papà, un grande uomo d’affari, cercò di convincerlo e lui: “No, io voglio sognare. Sogno questo che sento dentro”. E alla fine, se n’è andato, per sognare. E il papà lo ha seguito. E quel giovane si è rifugiato nel vescovado, si è spogliato delle vesti e le ha date al padre: “Lasciami andare per il mio cammino”. Questo giovane, un italiano del XIII secolo, si chiamava Francesco e ha cambiato la storia dell’Italia. Francesco ha rischiato per sognare in grande; non conosceva le frontiere e sognando ha finito la vita. Pensiamo: era un giovane come noi. Ma come sognava! Dicevano che era pazzo perché sognava così. E ha fatto tanto bene e continua a farlo.
[…] “E come faccio, Padre, per non farmi rubare i sogni?”. Cercate maestri buoni capaci di aiutarvi a comprenderli e a renderli concreti nella gradualità e nella serenità. Siate a vostra volta maestri buoni, maestri di speranza e di fiducia verso le nuove generazioni che vi incalzano.
“Ma come, io posso diventare maestro?”. Sì, un giovane che è capace di sognare, diventa maestro, con la testimonianza. Perché è una testimonianza che scuote, che fa muovere i cuori e fa vedere degli ideali che la vita corrente copre. Non smettete di sognare e siate maestri nel sogno. Il sogno è di una grande forza. “Padre, e dove posso comprare le pastiglie che mi faranno sognare?”. No, quelle no! Quelle non ti fanno sognare: quelle di addormentano il cuore! Quelle ti bruciano i neuroni. Quelle ti rovinano la vita.
“E dove posso comprare i sogni?”. Non si comprano, i sogni. I sogni sono un dono, un dono di Dio, un dono che Dio semina nei vostri cuori. I sogni ci sono dati gratuitamente, ma perché noi li diamo anche gratuitamente agli altri.
Offrite i vostri sogni: nessuno, prendendoli, vi farà impoverire. Offriteli agli altri gratuitamente.

Papa Francesco ai giovani italiani, Circo Massimo, Sabato, 11 agosto 2018

Non fatevi manipolare, ribellatevi!

E’ una sorta di SOS quello che il Papa ha lanciato ai giovani di tutto il mondo per metterli in guardia dalle manipolazioni, dal rischio del pensiero unico, dal tentativo in atto di ridurre le giovani generazioni a fenomeni di massa spesso a fini commerciali.
«Un giovane gioioso è 
difficile da manipolare» ha affermato Papa Francesco, in occasione della Domenica delle Palme, davanti a centinaia di giovani arrivati da tutto il mondo in preparazione del sinodo che quest’autunno si aprirà in Vaticano, facendo riferimento alla gioia che offre il cristianesimo. «Per questo la gioia è per alcuni 
motivo di fastidio. Far tacere i giovani -ha detto il Papa- è una tentazione sempre esistita» e «ci sono molti modi per 
rendere i giovani silenziosi”, “anestetizzarli e addormentarli 
perché non facciano rumore. Cari giovani, sta a voi la
 decisione», «se gli altri tacciono, se noi anziani e 
responsabili, tante volte corrotti, stiamo zitti, se il mondo 
tace vi domando: voi griderete? Per favore, decidetevi prima
 che gridino le pietre».

Il brano evangelico che Papa Francesco prende a esempio per ampliare la riflessione e riportarla ai giorni nostri è quello dei farisei che se la prendono con Gesù e gli chiedono 
di calmarli e farli stare zitti. «Ci sono molti modi per rendere 
i giovani silenziosi e invisibili. Molti modi di anestetizzarli 
e addormentarli perché’ non facciano “rumore”, perché non si 
facciano domande e non si mettano in discussione. Ci sono molti 
modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano e i 
loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, 
meschine, tristi».

«In questa Domenica delle Palme, celebrando la Giornata 
Mondiale della Gioventù, ci fa bene ascoltare – ha 
sottolineato Francesco – la risposta di Gesù ai farisei di 
ieri e di tutti i tempi: «Se questi taceranno, grideranno le 
pietre». Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a 
voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere 
nel “crocifiggilo!” del venerdì. E sta a voi non restare 
zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili 
stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: 
voi griderete? Per favore – ha chiesto il Papa ai ragazzi di 
tutto il mondo – decidetevi prima che gridino le pietre».
Adattato da Il Papa lancia Sos ai giovani: «Non fatevi manipolare ribellatevi» di Franca Giansoldati in www.ilmessaggero.it

Profughi senza famiglia

Tra i profughi che sbarcano nelle nostre coste tanti sono i bambini e i ragazzi. Che ne è di loro?
Le loro storie raccontate da Viviana Daloiso in Avvenire del 24 dicembre 2017.

«Bella, l’Italia. Io posso camminare libero per la strada, senza la paura di morire». Ihsan lo dice sorridendo e poi scappa via, per continuare la partita. Sono una quindicina, assiepati attorno al calciobalilla: afghani, eritrei, algerini, egiziani. Pantaloni larghi, cappellini girati, cuffie all’orecchio. Eccoli qui, i minori stranieri non accompagnati. La sigla sui report statistici e nei lavori parlamentari è “msna”: numeri d’un fenomeno dirompente, negli ultimi anni. Di cui l’Italia – fuori da queste quattro mura a due passi dalla Stazione Centrale, nel cuore di Milano – sa poco o nulla.
Cosa vuol dire, arrivare da soli su un barcone a 15 anni? Cosa significa crescere senza genitori, lontani da casa, in una terra che non conosci? Perché, si parte?
Basta una mattina per scoprirlo al Civico Zero di Save the children.
Il luogo che non c’è da cui ricominciano tante storie. Alle nove il piccolo atrio – una vetrina anonima affacciata sulla strada – pullula di ragazzi. Sembra d’essere in una scuola italiana: ci sono le figurine, i diari zeppi di scritte, le chiacchiere, la musica. E la scuola inizia davvero, nel giro di qualche minuto, perché qui i minori tutti i giorni vengono – liberamente, dalle comunità e dai centri di accoglienza della metropoli e dell’hinterland– a imparare l’italiano.
 «Bella l’Italia e bello l’italiano» dice ancora Ihsan, col suo sorriso infinito: a 14 anni è arrivato delegittimato via mare, da solo, ed è così contento quando gli mettono in mano la scheda di lavoro. Figure a cui abbinare parole: c’è la penna, la sedia, il temperino. Bello tutto, per Ihsan. «Guarda, ho imparato a scriverlo da solo “temperino”».

Oggi l’insegnante è ammalata e allora a far lezione pensa Mahdi, che di mestiere al Civico Zero fa il mediatore culturale. È tunisino, ha poco più di 30 anni e anche lui una storia di speranze tradite, nel suo Paese, da cui è partito per venire in Italia a studiare. I ragazzi lo considerano una specie di autorità, «come in generale tutti gli adulti con cui entrano in contatto – racconta Valentina Polizzi, anima della struttura che coordina per Save the children dalla sua nascita, nel 2014 –. Il fatto che sono soli, che hanno intrapreso il loro viaggio senza i genitori, trasforma ogni figura adulta in un punto di riferimento, da rispettare e ascoltare». In effetti non vola una mosca, in questa lezione d’italiano con 25 adolescenti dagli 11 ai 17 anni di tutto il mondo. È una famiglia strampalata e straordinaria: il grande che aiuta il piccolo, il forte che aiuta il debole, Fabio che non alza mai lo sguardo dal foglio, Miji che scrive tutto impettito alla lavagna.
«L’italiano è tutto, per loro, è la garanzia di potersi costruire un futuro e di andare a lavorare – continua Valentina –, ecco perché la loro risposta in termini di risultato a volte è impressionante: abbiamo ragazzi che in un mese parlano la nostra lingua, in tre sanno scriverla».

Questo anche perché molti di questi minori hanno studiato, nei loro Paesi: «Le famiglie li hanno fatti partire proprio perché tenevano a loro particolarmente, perché volevano garantirgli un futuro». Figli prediletti, mandati a vivere – o morire, non importa – altrove.

È il caso dei ragazzi eritrei, in particolare. Come Sekou, 15 anni: «A casa mia avrei dovuto fare il soldato, avrei portato il fucile. E forse mi avrebbero costretto a uccidere qualche mio amico, persino mio fratello potevo uccidere, lo capisci?». Certo che no. Sekou ci ha messo 4 anni ad arrivare in Italia, è partito che ne aveva 11: l’hanno rapito tre volte, lungo la strada, venduto e comprato, poi l’abisso della Libia, di cui non racconta niente, nemmeno a Mahdi. Al Civico Zero lo prendono in giro perché sta sempre al telefono con la sua mamma: «Tutti i giorni, a tutte le ore, parla con lei – racconta Valentina –. E lei una volta a settimana chiede di parlare con qualcuno di noi, lui ce la passa».

La mamma, da un altro Continente, chiede se beve abbastanza latte, Sekou, «perché deve crescere», e vuol sentirsi dire che studia, che si comporta bene. «Un giorno io la porterò qui» sussurra lui, e giù a studiare di nuovo, a scrivere “matita” e “temperino” perché appena dopo l’Italia la salvezza è l’italiano, per questi ragazzi.
 A fine lezione c’è qualche colloquio individuale: i mediatori (uno parla il tigrino, due l’arabo) accolgono i ragazzi, le loro richieste, i loro dubbi. Gli altri ricominciano il biliardino o ascoltano il rap di Master Sina, il minore non accompagnato che racconta la sua storia su Youtube e registra decine di milioni di visualizzazioni tra l’Italia e la Tunisia. Il giovedì c’è il laboratorio d’arte e di video, il venerdì li portano al parco a giocare, o in gita nei musei. A Natale la tombola, non importa se cristiani o musulmani. «Non ci sono queste cose da dove vengo io – continua Faraji coi suoi 11 anni, e i baffetti sul viso da bimbo – perché c’è regime». Non sa spiegare cos’è, ma la tombola e il calciobalilla «sono meglio. Questo lo so».

L’adolescenza come tempo di sfide: proposta per il terzo liceo sportivo

Ricordo la mia adolescenza come un tempo di grandi domande e interrogativi. E’ stato anche un tempo di grandi sogni e ideali, pur nell’incertezza di quello che ero e che sarei voluta diventare. Io non so se per gli adolescenti di oggi sia la stessa cosa ma, credo, come dice anche il prof D’Avenia, che l’adolescenza è un tendere a qualcosa: «movimento di ascesa da sé a se stessi, per un impeto scritto nella carne e nello spirito, di cui non si è padroni e per questo paralizza» (da La Stampa, 18 giugno 2015). L’adolescenza è quindi un tempo di sfide.
Lascio la mia proposta per i ragazzi del terzo sportivo.
 

La felicità non è un’app

«Non accontentatevi della mediocrità, di “vivacchiare” stando comodi e seduti; non fidatevi di chi vi distrae dalla vera ricchezza, che siete voi, dicendovi che la vita è bella solo se si hanno molte cose; diffidate di chi vuol farvi credere che valete quando vi mascherate da forti, come gli eroi dei film, o quando portate abiti all’ultima moda. La vostra felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una “app” che si scarica sul telefonino: nemmeno la versione più aggiornata potrà aiutarvi a diventare liberi e grandi nell’amore».
(papa Francesco nell’omelia al Giubileo dei ragazzi e delle ragazze, domenica 24 aprile 2016)

Per orientarsi nella scelta della scuola superiore

Lentamente, ma inesorabilmente, ci stiamo avvicinando alla scelta della scuola superiore.
Abbiamo riflettuto, all’interno dell’irc, su come arrivare a scelte il più possibile mature e consapevoli, e adesso, come referente per l’orientamento, vi suggerisco alcune dritte più immediate.
Per prima cosa vi invito a dare un’occhiata su quanto è stato postato negli anni passati e di materiale ne troverete parecchio.
Con questo post aggiungo ulteriori risorse.
In particolare vi suggerisco di andare a dare un’occhiata ad un sito che vi aiuterà a scoprire diverse professioni. Certamente il mondo del lavoro è ancora lontano per voi, ma credo sia molto utile avere un’idea sulle diverse attività lavorative. Per questo vi invito a cliccare qui. Verrete indirizzati al sito “orienta online” dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori).
Un altro riferimento utile è la piccola guida per orientarsi e scegliere al meglio, che ho trovato in Focus Junior. Cliccate qui.
Vi lascio anche un’immagine che riassume i diversi indirizzi della scuola superiore e una vignetta per sorridere un po’, ma anche per pensare.

E’ l’ora dell’orientamento

I miei alunni di terza lo sanno che questo è per loro l’anno della scelta della scuola superiore e sanno anche che, in vista di questa scelta, saranno “costretti”, forse per la prima volta, a riflettere seriamente sul loro futuro. Conosco, perché sono tanti anni che insegno, le loro domande, i loro dubbi, le ansie che vivono: in modo più o meno inconfessato hanno una paura tremenda di sbagliare.
Come insegnante mi dico che non si può ridurre l’orientamento delle classi terze alla sola informazione relativa agli indirizzi di studio o alle varie attività lavorative. In fondo tutte le esperienze che viviamo in modo consapevole richiedono capacità orientative, perché ci portano a dover scegliere tra diverse possibilità, tra diversi orizzonti di vita.
Per questo ho proposto ai ragazzi un sondaggio su quali fossero gli ideali che ritenevano più importanti. Muniti di cellulari (ebbene sì, lo confesso, sono una di quelle insegnanti che per particolari attività consente – ovviamente con il benestare del dirigente e dei genitori – l’utilizzo dei dispositivi mobili), gli alunni hanno risposto ad alcune domande che avevo preparato su socrative.com. Dall’analisi dei risultati di tutte le “mie” sei terze è emerso come ai primi due posti ci fossero queste due scelte: essere felici e avere amici. Esito prevedibile ma non  per questo banale.
Proprio per aiutarli a riflettere su quanto sia importante rispondere a questi ideali con scelte buone e consapevoli, ho strutturato per loro un percorso di apprendimento che prevede, tra le varie attività, l’analisi di alcuni documenti che li aiutino a riflettere sul senso della vita. Tra i vari testi, tra cui ovviamente non mancano dei riferimenti biblici, mi è sembrato interessante un brano tratto dal libro “Il senso della vita” di Oscar Brenifier e Jacques Després, che ho trovato – non ricordo più attraverso quale ricerca – a questo link: http://cdn2.scuolabook.it/Uploaded/sei_25272_preview/25272_preview.pdf
Ho provato ad adattare il testo che mi interessava, tra i tanti proposti, in una scheda di lavoro per gli alunni, che è possibile scaricare cliccando sulla riproduzione del quadro, scelto non a caso, “Viandante su un mare di nebbia” di Caspar David Friedrich.