Crea la felicità

Che senso dare alla mia vita? Per cosa lavorare, impegnarsi, se poi tutto ha fine?
Che pensieri profondi sono usciti l’altro giorno da una di quelle classi non sempre facili, dove spesso gli alunni vanno richiamati perchè chiacchierano, giocherellano, sembrano insensibili a tutto. A fatica, perchè di confusione ne fanno sempre tanta, si è parlato con serenità e disponibilità di come ognuno la pensava per cercare di trovare risposta a quelle domande.
Ho pensato di aggiungere qualcosa a quanto si è detto e, per stupirvi un po’, non vi presento il pensiero di un santo (sarei troppo scontata, vero?), ma di un filosofo e giurista inglese, non certo uomo di Chiesa, ma piuttosto laico. Leggete cosa dice Jeremy Bentham:
Crea tutta la felicità che sei in grado di creare, elimina tutta l’infelicità che sei in grado di eliminare: ogni giorno ti darà l’occasione, ti inviterà ad aggiungere qualcosa ai piaceri altrui, o a diminuire qualcosa delle loro sofferenze.
E per ogni granello di gioia che seminerai nel petto di un altro, troverai un raccolto nel tuo petto, mentre ogni dispiacere che toglierai dai pensieri e sentimenti di un’altra creatura sarà sostituito da meravigliosa pace e gioia nel santuario della tua anima“.
Che ne dite? Ne riparliamo a scuola?
Meditate, ragazzi, meditate!!!

Vicini agli amici giapponesi

Un sisma terribile, uno tsunami devastante.  Come non sentirci vicini al popolo giapponese che con dignità e compostezza sta cercando di far fronte a questa prova durissima.
Certo che, di fronte allo scatenarsi della Natura, l’uomo si ritrova a dover fare i conti con la propria impotenza.
Il Giappone è un paese che ha saputo investire moltissimo sulla prevenzione, tanto che un fenomeno così estremo in altre parti del mondo avrebbe fatto chissà quante vittime. Eppure di fronte allo tsunami si è potuto far poco. Siamo precari su questa Terra!
Eventi del genere dovrebbero autarci a riscoprire l’umanità che ci accomuna, a gettare le armi (non solo fisiche) con cui quotidianamente ci facciamo del male.
Non possiamo che sentirci vicini al popolo giapponese, ma dobbiamo anche ritrovare l’umiltà per non sentirci mai troppo arrivati, mai troppo perfetti, mai troppo nel giusto. Si cresce in umanità riconoscendo i propri limiti e impegnandosi a superarli. Si cresce in umanità se ci facciamo prossimi, se ci riscopriamo fratelli.

I numeri e il loro significato: DODICI

Il numero 12 è un numero sacro: 4 (il mondo spaziale) x 3 (tempo sacro) = 12 (il tempo compiuto).
E’ il numero della Chiesa universale.
Le 12 tribù d’Israele e la loro discendenza (Gn 25,33).
I 12 figli di Giacobbe.
Le 12 pietre dell’altare ricostruito da Elia, in ricordo dei 12 figli di Giacobbe (1Re 18,30-32).
I 12 apostoli.
Le 12 stelle della corona della Donna dell’Apocalisse (Ap 12).
Le 12 porte della Gerusalemme celeste (Ap 21,12.21).
I 12 mesi dell’anno: ciclo liturgico completo, con la sua spiegazione cosmica.
12 è anche il numero della Chiesa trionfante.

Tratto da “Tutto calcolato“, Agenda dell’educatore ACR 2010/2011.
Continua……

Un marzo di venti anni fa

Esattamente venti anni fa, nel giro di u­na settimana – tra il 5 ed il 9 marzo –, nella città di Brindisi giungevano oltre 25mila cittadini albanesi. Fuggivano dalla povertà e dalla disperazione, fuggivano con ogni mezzo possibile da un Paese che era in preda al caos e alla guerra civile. Ad accoglierli soltanto la gente e la Ca­ritas: chi raccoglieva vestiario e prodotti di prima necessità, chi invitava nei bar gli albanesi per una ricca colazio­ne; chi faceva la spesa nei supermercati, chi cucinava e distribuiva il cibo alle persone che vagava­no attonite per le stra­de. Proprio per non dimenticare la solidarietà di cui fu capace la popolazione brindisina,  la Caritas diocesana ha organizzato alcuni giorni fa una tavola rotonda sul tema “1991-2011. Accoglienza, convivenza, reci­procità“. Certamente un bell’esempio di solidarietà che nulla toglie ad altre realtà del nostro Paese che stanno fronteggiando, proprio in questi giorni, situazioni simili.
Se ricordo questi eventi è per raccontarvi di chi, a distanza di vent’anni, può dire di avercela fatta, perchè si è inserito e si è costruito una vita nel nostro Paese. Cosetta, Niko e Gjoka sono oggi cittadini italiani. Arrivati come i tanti di allora, in un barcone carico di gente con il cuore spezzato, hanno visto la speranza diventare integrazione.
Se volete leggere la loro storia pubblicata su Avvenire del 6 marzo 2011, cliccate qui.

Un cristiano che credeva nella tolleranza e nella libertà religiosa

La mia battaglia continuerà, nonostante le difficoltà e le minacce che ho ricevuto. Il mio unico scopo è difendere i diritti fondamentali, la libertà religiosa e la vita stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose. Sono pronto a ogni sacrificio per questa missione, che assolvo con lo spirito di un servo di Dio. Ora vi è ancora molto lavoro da fare, dobbiamo affrontare sfide molto serie come quella sulla blasfemia. Cercherò di testimoniare, nel mio impegno, la fede in Gesù Cristo“.

(Shahbaz Bhatti, ministro pakistano di fede cattolica, ucciso dai fondamentalisti il 2 marzo del 2011)

A Maria nella Giornata della donna

Oggi è la Giornata della donna.
Devo dire che come donna guardo con una certa insofferenza la banalizzazione di questa giornata, che il più delle volte si riduce al regalo di un mazzo di mimose. Poi tutto resta come sempre: il lavoro a casa che continua a gravare sulle nostre spalle, la difficoltà nel conciliare la vita familiare e lavorativa, gli oltraggi e la banalizzazione che offendono il nostro corpo, e tante altre cose che fatico a mandar giù.
Comunque meno male che, almeno una volta all’anno, di noi ci si debba per forza ricordare.
Il regalo che vorrei oggi fare alle mie alunne, colleghe ed eventuali lettrici del blog,  sono alcuni passi tratti dal “Magnificat, un incontro con Maria”  di Alda Merini.
In Maria vedo le tante donne che piangono i figli caduti, perduti, lontani. Ma in Maria vedo anche la speranza che nasce dal sentire l’abbraccio dell’amore di Dio. A volte mi chiedo se noi donne siamo ancora capaci di portare l’amore, quell’amore che in Maria si fece Figlio e Salvatore dell’umanità.

Quando il cielo baciò la terra nacque Maria.
Che vuol dire la semplice,
la buona, la colma di grazia.
Maria è il respiro dell’anima,
è l’ultimo soffio dell’uomo.
Maria discende in noi,
è come l’acqua che si diffonde
in tutte le membra e le anima,
e da carne inerte che siamo noi
diventiamo viva potenza.


Essere stranieri è un’esperienza che ci tocca tutti

Mi sono imbattuta alcuni giorni fa in un’intervista a Enzo Bianchi che ritengo utile per approfondire il discorso che stiamo facendo (mi rivolgo agli alunni di terza) sull’ospitalità e l’accoglienza.
Nel nostro “viaggio” ci siamo imbattuti nell’esperienza di emigrazione che ha riguardato tanti nostri connazionali e nei testi biblici che ci hanno ricordato il dovere dell’ospitalità e dell’accoglienza. A tutto questo vi aggiungo alcuni passi di questa intervista, pubblicata su una rivista per noi insegnanti di religione, che si chiama “Insegnare religione” della editrice Elledici (numero di Marzo-Aprile 2011).
Mauro Goia e Giovanni Godio chiedono al priore di Bose:
– A proposito di mondi diversi. Lei ha scritto in un suo recente libretto, L’altro siamo noi che “essere straniero” fa parte dell’esperienza umana, di ogni essere umano, al di là e al di sopra delle contingenze politiche e storiche. Perchè?
E’ un’esperienza che ci tocca tutti. Ci sono momenti della vita in cui siamo stranieri a noi stessi, cioè sentiamo il nostro corpo o una parte di noi come qualcosa di estraneo. Non parlo solo delle circostanze della malattia: corpo e mente, a volte, camminano su strani sentieri di “stranierità”. Non vorremmo percorrerli, ci troviamo su di essi senza sapere né come né perché. Ma dovrebbero almeno lasciarci inscritta una “memoria di stranierità” capace di aiutarci nel vivere sociale e, in particolare, nel confronto con il fenomeno dell’emigrazione nel nostro tempo”.
– Un fenomeno che desta inquietitudini, paure.
Dobbiamo tenere conto, certamente, del fatto che la “stranierità” desta paura: è la paura di chi incontra lo straniero come è la paura dello straniero. E’ una paura che va guardata in faccia, che va assunta ma anche razionalizzata. Una paura che deve spingerci a trovare dei cammini creativi di convivenza. Cercando ciascuno di restare se stesso, di mantenere la propria identità, ma anche ricordando che le identità sono l’esito di attraversamenti creativi di culture diverse, etiche diverse, spiritualità diverse“.
Alla domanda rivolta da due giornalisti su come creare integrazione, visto il fallimento dei “modelli” fino ad ora seguiti, Enzo Bianchi risponde:
…attenzione, una vera integrazione, una vera accoglienza delle altre cultura non può restare semplicemente uno slogan generico, “amare gli stranieri”, “accogliere tutti”. Questa è ingenuità, un’ingenuità che è anche di molti cristiani. L’immigrazione va governata, l’integrazione deve trovare vie praticabili. E ognuno di noi dovrebbe partire non da un principo astratto, “amo e accolgo gli stranieri”, ma dal particolare e dal quotidiano: come mi comporto con l’immigrato della via sotto casa, della porta accanto?“.
Quanti spunti in questo stralcio di intervista! Forse i concetti affrontati vi sembrano difficili, ma non vi ci trovate qualcosa della canzone che abbiamo ascoltato a scuola?
Avremo modo di parlarne in classe.